Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12688 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12688 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 22675 — 2008 R.G. proposto da:
CHELI MARINA, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Pier Luigi da Palestrina, n. 63,
presso lo studio dell’avvocato Mario Contaldi che congiuntamente e disgiuntamente
all’avvocato professor Claudio Dal Piaz la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a
margine del ricorso.
RICORRENTE
contro
COMINA ALDO – c.f. CMNLDA49A22B285E – GROSSO BERNARDETTA – c.f.
GRSBNR49E66I822I – elettivamente domiciliati in Cuneo, alla via Battisti, n. 1, presso lo
studio dell’avvocato Aldo Pellegrino, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale
a margine del controricorso.
CONTRORICORRENTI
Avverso la sentenza n. 208 dei 28.11.2007/14.2.2008 della corte d’appello di Torino,

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Data pubblicazione: 05/06/2014

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 27 marzo 2014 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Sabina Lorenzelli, per delega dell’avvocato Mario Cotaldi, per la ricorrente,
Udito l’avvocato Aldo Pellegrino per i controricorrenti,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Rosario Russo,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto in data 18.9.2002 Marina Cheli citava a comparire innanzi al tribunale di Cuneo
Aldo Comina e Bernardetta Grosso.
Esponeva che aveva ricevuto in donazione con atto in data 29.10.1994 da Guglielmo e
Giovanni Marchetti porzione di fabbricato rurale distinta in catasto terreni al fol. 42, part.
258/1; che con atto a rogito notar Testa di Cuneo Aldo Comina e Bemardetta Grosso avevano
acquistato in data 4.6.1995 da Giovanni Carossio altra porzione del fabbricato rurale distinta
in catasto terreni al fol. 42, part. 258/2; che a decorrere dal 1997 i convenuti avevano
illecitamente occupato un vano ricompreso nella proprietà di ella attrice.
Chiedeva che si accertasse il suo diritto di proprietà limitatamente al vano illecitamente
occupato e che i convenuti fossero condannati a rilasciarlo.
Costituitisi, Aldo Comina e Bemardetta Grosso chiedevano il rigetto delle avverse istanze
ed in via riconvenzionale la condanna dell’attrice alla demolizione di un balcone, che
costituiva veduta diretta ed obliqua sulla proprietà di essi convenuti posta a distanza inferiore
a quella legale, nonché l’accertamento del loro diritto di comproprietà su di uno spazio di
terreno di 8 mq antistante la loro proprietà.
Con memoria ex art. 170 c.p.c. l’attrice, in via a sua volta riconvenzionale, chiedeva
accertarsi che lo spazio di 8 mq era di sua esclusiva proprietà e che la sopraelevazione della
falda del tetto dell’abitazione dei convenuti violava le distanze dal suo fabbricato.
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che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto del ricorso,

Disposta ed espletata c.t.u., ammesse ed assunte le prove testimoniali, con sentenza dei
21/25.2.2004 il tribunale di Cuneo rigettava le domande tutte dell’attrice ed, in accoglimento
delle riconvenzionali di parte convenuta, statuiva che il balcone costituiva veduta diretta ed
obliqua collocata a distanza inferiore a quella dovuta, condannava Marina Cheli a demolirlo
nella misura necessaria onde collocarlo a distanza legale, acclarava che la superficie di terreno

comproprietà delle parti in lite.
Interponeva appello Marina Cheli.
Si costituivano e resistevano Aldo Comina e Bemardetta Grosso.
Con sentenza n. 208 dei 28.11.2007/14.2.2008 della corte d’appello di Torino respingeva
il gravame e condannava l’appellante a rimborsare alle controparti le spese del grado.
A fondamento della statuizione il giudice del gravame, tra l’altro, evidenziava, in
relazione al primo motivo d’appello, che la medesima censura non era stata formulata in
maniera specifica ed, in ogni caso, che né alla stregua della complessiva descrizione degli
immobili oggetto degli atti derivativi che avevano preceduto la donazione in data 29.10.1994
né alla stregua delle complessive risultanze istruttorie poteva reputarsi dimostrata la proprietà
in capo all’appellante, pur per acquisto a titolo originario, della porzione immobiliare
rivendicata; in relazione al secondo motivo d’appello, che non era stato acquisito riscontro di
alcun titolo idoneo a giustificare la proprietà esclusiva in capo a Marina Cheli della superficie
di 8 mq “e che anzi la relazione di fatto di entrambe le parti e dei loro danti causa con il bene
era quella tipica dei comproprietari” (così sentenza d’appello, pag. 12); che sia il terzo che il
quarto motivo del gravame dovevano reputarsi inammissibili per in violazione dell’art. 342
c.p.c., giacché non recanti critica specifica e puntuale alla statuizione di prime cure.

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di mq 8 costituiva area cortilizia di pertinenza dei mappali 258/1 e 258/2 e, quindi, in

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Marina Cheli, chiedendo, sulla sorta di quattro
motivi — di cui il primo doppiamente articolato – la cassazione dell’impugnata sentenza, con
ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
Aldo Comina e Bernardetta Grosso hanno depositato controricorso; hanno chiesto
rigettarsi l’avverso ricorso, con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce — primo profilo – ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
3), c.p.c. la violazione dell’art. 342 c.p.c.; deduce — secondo profilo – ai sensi dell’art. 360, 1°
co., n. 3), c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 948 c.c.; altresì il vizio
di insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Mercé il primo profilo, segnatamente, Marina Cheli adduce che il primo motivo di
gravame, “seppur succintamente,.., conteneva una precisa e puntuale critica in ordine alla
pronuncia di primo grado” (così ricorso, pag. 13), sicché “risultava rispettare tutti i canoni
prescritti dall’art. 342 c.p.c.” (così ricorso, pag. 14).
La riferita ragione di censura è immeritevole di seguito.
E’ fuor di dubbio che il profilo evidenziato si qualifica in relazione alla previsione del n. 4
del 1° co. dell’art. 360 c.p.c..
Su tale scorta non può che ribadirsi l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, ai fini
della specificità dei motivi d’appello, quale richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella
prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò
determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del
gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni
adottate dal primo giudice (cfr. Cass. 29.11.2011, n. 25218, ove si soggiunge che, nel
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Marina Cheli ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

formulare un motivo di appello riguardante la pretesa erroneità della liquidazione dei danni
effettuata dal primo giudice, l’appellante non può esaurire la sua ragione di doglianza nella
reiterazione delle sue richieste e nell’affermazione della loro maggiore meritevolezza di
accoglimento rispetto all’operata liquidazione, ma ha l’onere di indicare specificamente per
ciascuna delle voci censurate, a pena di inammissibilità del ricorso, gli errori di fatto e di

In questi termini si osserva che l’affermazione della corte di merito, secondo cui le
doglianze dell’appellante consistono “sostanzialmente nel richiamo al contenuto degli atti
attraverso i quali il diritto di proprietà preteso sarebbe stato trasmesso a lei e prima a
Marchetti Guglielmo e Marchetti Giovanni, suoi danti causa, e nell’affermazione che
comunque il diritto di proprietà sull’immobile contestato sarebbe sorto per usucapione” (così

sentenza d’appello, pag. 8), non può che essere condivisa alla luce della riproduzione del
motivo d’appello, quale operata dalla ricorrente alle pagine 10 — 13 del ricorso a questa Corte
di legittimità (“segnatamente, l’allora appellante rammentava: “): la
riproposizione, pur legittima, del complesso documentale già offerto al vaglio del primo
giudice non si è tradotta nella formulazione di censure specifiche e puntuali al percorso
ricostruttivo che il primo giudice aveva seguito.
Del resto ne fornisce conferma la medesima Marina Cheli, allorché nel ricorso a questo
giudice del diritto — e, dunque, tuttora – deduce testualmente: “una corretta valutazione da
parte del Tribunale di Cuneo dei predetti elementi avrebbe di certo condotto alla dichiarazione
di proprietà del vano in contestazione in capo alla Sig.ra CHELI” (così ricorso, pag, 13).
Mercé il secondo profilo (del primo motivo), segnatamente, Marina Cheli adduce che “nel
testamento di Carossio Guglielmo fu Pietro si dichiara esplicitamente che nell’eredità lasciata
da Carossio Guglielmo a Carossio Nicolina è ricompresa la camera situata a nord della cucina

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diritto attribuibili alla sentenza).

del mappale 258/1” (così ricorso, pag. 16); che, “invero, ivi si legge: ” (così ricorso, pag. 16);che, “posto
che la casa abitata da Carossio Guglielmo corrisponde all’abitazione attualmente di proprietà
della sig.ra Cheli, è evidente che la porzione di immobile in questione è parte integrante di

avvalorata dalle risultanze della c.t.u. e dalle dichiarazioni testimoniali, dichiarazioni da cui si
desume che il vano era di proprietà di Germain Carossio ed non del dante causa dei
controricorrenti, Giovanni Carossio, mero conduttore del medesimo locale; che, d’altro canto,
Aldo Comina e Bernardetta Grosso “non hanno provato che… Carossio Giovanni avesse
posseduto in modo pacifico e continuato la porzione di fabbricato in questione” (così ricorso,

pag. 19); che, in particolare, i testi escussi hanno confermato che Giovanni Carossio aveva
utilizzato il vano conteso unicamente come deposito, giacché aveva altrove il laboratorio di
falegnameria.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 3), c.p.c. la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; altresì ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5),
c.p.c. il vizio di insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
All’uopo adduce che alla luce della ricostruzione delle intestazioni catastali operata dal
c.t.u. la motivazione del dictum di seconde cure, nella parte in cui ha disconosciuto la
proprietà esclusiva di ella ricorrente limitatamente al mappale 806 del fol. 42 di mq 8, risulta
del tutto insufficiente e contraddittoria; e ciò tanto più che dalle risultanze delle prove
testimoniali non è emerso in modo certo la comproprietà della medesima superficie di 8 mq.
Si giustifica la contestuale disamina e della seconda ragione di censura che concorre ad
integrare il primo motivo di ricorso e del secondo motivo di ricorso.

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quello di proprietà dell’attuale ricorrente” (così ricorso, pag. 16); che tale conclusione è

Difatti, e l’una e l’altra doglianza si qualificano essenzialmente — se non esclusivamente in relazione alla previsione del n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.c.: occorre tener conto che, da
un lato, Marina Cheli, siccome si trae conferma dall’enunciazione che – dei motivi – si è
dianzi operata, censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso,
dall’altro, che il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso ex art. 360, 1° co.,

ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle
norme giuridiche (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
In ogni caso sia l’una che l’altra doglianza sono destituite di fondamento.
Invero, la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì
la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse
sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge; ne consegue che il preteso vizio di
motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima,
può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia
rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass.

9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
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n. 5), c.p.c. può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti

Al contempo, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare
analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni
prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e I’ iter seguito
nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli

Nei termini esposti si evidenzia nella fattispecie che, allorquando ha opinato nel senso che
l’appellante, ricorrente in questa sede, non avesse assolto l’onere della probatio diabolica
correlato all’esperita rei vindicatio, nel senso che “nemmeno il possesso ultraventennale della
porzione immobiliare oggetto di controversia.., da parte di Cheli Marina e prima dei suoi
danti causa si può ritenere provato” (così sentenza d’appello, pag. 11), nel senso che “non vi è
alcun titolo giustificante la proprietà esclusiva in capo a Cheli Marina della porzione di cortile
di cui si discute, e che anzi la relazione di fatto di entrambe le parti e dei loro danti causa con
il bene era quella tipica dei comproprietari” (così sentenza d’appello, pag. 12), la corte
distrettuale ha senz’altro ancorato tali suoi dicta a motivazione ampia, articolata, congrua e
coerente.
E ciò tanto più ché i controricorrenti hanno puntualmente posto in risalto (cfr. pag. 3 – 4

del controricorso) l’incongruenza, evidentemente in rapporto al disposto dell’art. 979, 1° co.,
c.c., che inficia la ricostruzione patrocinata dalla ricorrente (pur con la memoria ex art. 378

c.p.c.: cfr. pagg. 4 — 5): Nicolina Carossio, dante causa del dante causa (Germano Carossio)
dei danti causa (Guglielmo e Giovanni Marchetti) di Marina Cheli, avrebbe acquistato per
effetto di legato testamentario il mero usufrutto del vano (ora — assume la ricorrente — di sua

proprietà) oggetto dell’asserita illecita occupazione e, nondimeno, l’avrebbe ceduto a Pietro e
Germano Carossio giusta l’atto di cessione e divisione in data 17.9.1926.

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logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).

Con il terzo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c. la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 869, 872 e 905 c.c.; altresì ai sensi dell’art. 360, 1°
co., n. 3), c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c..
All’uopo adduce che seppur succintamente col terzo motivo di appello aveva censurato
specificamente ed adeguatamente la statuizione di prime cure limitatamente alla parte in cui

distanze in ordine alla sopraelevazione della falda del tetto dell’immobile delle controparti
dall’immobile di sua proprietà; che a tal riguardo, inoltre, ella ricorrente aveva fatto esplicito
riferimento ai rilievi dell’arch. Buffon, il quale ben aveva rappresentato lo stato dei luoghi;
che dall’illegittima declaratoria di inammissibilità deriva un patente vizio di motivazione.
Il motivo non merita seguito.
Nel segno del già menzionato insegnamento n. 25218 del 29.11.2011 di questa Corte si
rimarca che l’affermazione della corte torinese, secondo cui “il contenuto della domanda in
esame svolta dalla Cheli continua ad essere oscuro anche dopo le estremamente sintetiche
indicazioni offerte al punto 3) dell’atto di appello” (così sentenza d’appello, pag. 13), non può
– del pari – che essere reiterata in questa sede alla luce della formulazione del motivo
d’appello, quale riprodotta dalla ricorrente a pagina 27 del ricorso a questa Corte di legittimità

(“la distanza dal tavolato del manto di copertura del tetto del lotto sud del mappale 258/2,
appartenente ai convenuti, a quello del 258/1 della Sig.ra Cheli, soprastante, è minore di
quanto dichiarato nella tavola 2 di progetto allegata alla domanda di concessione
edilizia… ‘): è ben evidente l’estrema genericità insita nel predicato “minore” che segna
l’essenza del motivo di gravame.
In pari tempo il giudice di seconde cure ha sottolineato l’estrema genericità “del richiamo
alle evidenziazioni, che si pretendono chiarificatrici, dell’arch. Giuseppe Buffon”

(così

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disponeva rigettarsi la domanda con cui ella ricorrente aveva lamentato la violazione delle

sentenza d’appello, pag. 13), riferendo, per giunta, dell’impossibilità tout court di
identificarle ed individuarle (“quali? Svolte dove?”: così sentenza d’appello, pag. 13).
Al cospetto del riferito passaggio motivazionale Marina Cheli si limita a dedurre e ribadire
in questa sede che nell’atto di gravame “ha fatto esplicito riferimento ai rilievi effettuati
dall’arch. Buffon il quale ha ben evidenziato lo stato dei luoghi, censurando la sentenza resa

E’ appena il caso di porre in risalto che i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono
connotarsi, a pena di inammissibilità, alla stregua, tra l’altro, del paradigma della specificità

(cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).
Con il quarto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c. la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 905 c.c. e 342 c.p.c..
All’uopo adduce che l’ultimo motivo d’appello — con cui aveva censurato la statuizione di
prime cure limitatamente alla parte in cui era stata accolta l’avversa riconvenzionale — “pare
sufficientemente chiaro nel rilevare la lacunosità della pronuncia di primo grado” (così

ricorso, pag. 29); che, in particolare, “veniva rilevata la lacunosità della pronuncia resa dal
Tribunale di Cuneo la quale si limitava ad aderire, in modo del tutto acritico, alle risultanze
della C.T.U. disposta in corso di causa” (così ricorso, pag. 30); che parimenti dall’illegittima
declaratoria di inammissibilità deriva un patente vizio di motivazione.
Il motivo è in ogni caso infondato.
E’ sufficiente al riguardo reiterare l’insegnamento di questa Corte secondo cui il giudice
di merito che riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico non è tenuto ad
esporre in modo specifico le ragioni che lo inducono a fare propri gli argomenti dell’ausiliare,
se dalla indicazione della consulenza tecnica possa desumersi che le contrarie deduzioni delle
parti siano state rigettate, dato che in tal caso l’obbligo della motivazione è assolto con
l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso (cfr. Cass. 9.12.1995, n. 12630).
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dal Tribunale di Cuneo” (così ricorso, pag. 27).

In tal guisa è del tutto ingiustificata la prospettazione della Cheli, dapprima al giudice
d’appello ed ora a questa Corte, alla cui stregua il primo giudice non avrebbe fornito “un
autonomo ed idoneo supporto motivazionale a fondamento dell’asserita violazione delle
distanze ad opera dell’immobile di proprietà” di ella ricorrente (così ricorso, pag. 30).
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del

La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese
del presente giudizio che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

giudizio di legittimità.

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