Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12682 del 20/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/06/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 20/06/2016), n.12682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5366-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

e contro

P.G., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

P.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE 8, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO MARTORIELLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNA COGO, giusta delega in atti;

– ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e giusta delega a

margine del ricorso;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 217/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/02/2010 R.G.N. 580/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale GRANOZZI

GAETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale e assorbimento del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza depositata il 18/2/2010, in riforma della decisione del giudice di primo grado, accoglieva la domanda avanzata nei confronti di Poste Italiane s.p.a. da P.G., assunta con contratto a termine per il periodo 6/3/2002-30/4/2002, dichiarando l’illegittimità del termine apposto al contratto e condannando Poste Italiane s.p.a. a riammettere in servizio la lavoratrice.

2.11 contratto era stato stipulato sotto la vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001 per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

2. La Corte territoriale, esclusa la sussistenza della risoluzione consensuale del rapporto per mutuo consenso ed affermata la piena soggezione del contratto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 riteneva la clausola non sufficientemente specifica e irrispettosa della previsione normativa di cui all’art. 1 del citato D.Lgs. 3. Per la cassazione della sentenza ricorre Poste italiane s.p.a.

sulla base di sei motivi, illustrati mediante memorie. La P. resiste con controricorso proponendo, altresì, ricorso incidentale sulla base di unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va rilevato, preliminarmente, che il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

2.La ricorrente premette che la P. in data successiva alla avvenuta riammissione in servizio, con nota del 12/5/2010, ha rinunciato al ripristino del rapporto di lavoro, talchè dovrebbe ritenersi intervenuta la cessazione della materia del contendere sulla domanda di riammissione in servizio. La circostanza, successiva alla sentenza impugnata, non comporta la cessazione della materia del contendere e non investe il thema decidendum del presente giudizio.

Del resto non può farsi luogo a declaratoria di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto del venir meno di ogni interesse alla decisione, formulando conclusioni conformi (v., fra le altre,Cass. 30/1/2014 n. 2063).

3. Vengono di seguito trascritti i motivi del ricorso principale: 1) violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). La società rileva che le affermazioni del giudice d’appello, secondo le quali la sola inerzia di una delle parti non vale a comprovare l’intervenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso sono riconducibili ad un’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1372 c.c., interpretato da consolidata giurisprudenza nel senso che la risoluzione è ammessa anche in presenza di comportamenti significativi. La società osserva che la soluzione fatta propria dal giudice d’appello appare in contrasto con l’art. 2697 c.c., facendo gravare sul datore di lavoro la prova dei fatti costitutivi della fattispecie risolutiva e la prova negativa della sussistenza di circostanze impeditive del suo perfezionamento;

2) Violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, art. 25 c.c.n.l. 11/1/2001, art. 2 e 74 c.c.n.l. 11/1/2001, artt. 1363 e 1367 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). La società evidenzia che la sentenza ha ingiustamente ritenuto non applicabile alla fattispecie in esame la disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e, di conseguenza, negato l’applicabilità della previsione di cui all’art. 25 c.c.n.l. 11/1/2001; 3) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. e ss. e art. 1325 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Osserva che la sentenza era illegittima nel punto in cui la Corte territoriale ha ritenuto non conforme al requisito di specificazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 la previsione posta a fondamento dell’assunzione. Rileva che l’individuazione delle concrete ragioni giustificative dell’apposizione del termine al contratto era possibile “per relationem” per il tramite delle espressioni letterali utilizzate e dell’analitica indicazione dei singoli accordi sindacali richiamati in contratto; 4) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Rileva la ricorrente principale che la sentenza gravata è insufficientemente e contraddittoriamente motivata circa l’asserita inidoneità dell’analitico riferimento ad una serie di accordi sindacali sulla mobilità del personale a costituire elemento di specificazione e rappresentazione delle concrete esigenze sottese all’assunzione; 5) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., art. 12 preleggi, artt. 244 e 421 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Parte ricorrente principale evidenzia che, sebbene non onerata, la parte datoriale aveva offerto la prova delle esigenze organizzative, anche connesse con il processo di mobilità, scaturente dagli accordi richiamati nella lettera di assunzione; 6) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 art. 12 disp. gen., art. 1362 c.c. e ss., art. 1419 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). La sentenza avrebbe errato nel punto in cui ha ritenuto la nullità parziale del contratto di lavoro, dovendosi, al contrario, ritenere essenziale il termine ed idoneo a determinare la caducazione dell’intero contratto.

4. Con il ricorso incidentale la P. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Rileva che in sentenza era stata disposta la compensazione delle spese in ragione della “novità e complessità delle questioni giuridiche trattate, inerenti l’interpretazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001” e che tale statuizione concreta violazione delle norme richiamate, poichè le ragioni illustrate non possono configurarsi come “gravi motivi” secondo la previsione dell’art. 92 c.p.c. nel testo precedente alla riforma introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11.

5. Quanto ai motivi del ricorso principale i medesimi sono infondati.

5.1 In ordine al primo motivo, questa Corte ha avuto modo di affermare, con orientamento che va ribadito in questa sede, che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-

11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 12-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).

Tale principio, conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6/7/2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita.(v. da ultimo Cass. 28-1-2014 n. 1780). In ogni caso, come pure è stato precisato da questa Corte, “la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-82011 n. 16932). Nel caso in esame la Corte di merito, attenendosi a tali principi, ha evidenziato che il semplice ritardo con il quale il lavoratore ha azionato (nei termini prescrizionali) le sue pretese è circostanza di per sè inidonea a far ritenere che vi sia stata rinuncia da parte del medesimo a far valere la nullità della clausola appositiva del termine. Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta congruamente motivato e resiste alla censura.

5.2. Con riferimento al secondo motivo, l’infondatezza si fonda sul principio, enunciato da Cass. Sez. L, Sentenza n. 16424 del 13/07/2010, Rv. 614987, al quale questa Corte intende dare continuità: “In materia di assunzioni a termine del personale postale, l’art. 74, comma 1 c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste italiane s.p.a. stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo. Ne consegue che i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 – che aveva previsto il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute nell’art. 25 suddetto c.c.n.l., stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti”.

5.3. Il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati unitariamente, poichè entrambi attengono al requisito della specificità della clausola di apposizione del termine. Come è stato precisato da Cass. 27-4-2010 n. 10033, conformi molte successive, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto”. Con riguardo a questi ultimi questa Corte ha altresì chiarito che, “seppure nel nuovo quadro normativa… non spetti più un autonomo potere di qualificazione delle esigenze aziendali idonee a consentire l’assunzione a termine, tuttavia, la mediazione collettiva ed i relativi esiti concertativi restano pur sempre un elemento rilevante di rappresentazione delle esigenze aziendali in termini compatibili con la tutela degli interessi dei dipendenti, con la conseguenza che gli stessi debbono essere attentamente valutati dal giudice ai fini della configurabilità nel caso concreto dei requisiti della fattispecie legale” (in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. L, Sentenza n. 2680 del 11/02/2015 (Rv. 634282). Orbene, va osservato che nella sentenza impugnata è contenuta una valutazione attenta e non censurabile in ordine alla carenza del richiesto canone della specificità: per un verso si rileva che la causale indicata nel contratto si limita ad una mera riproduzione testuale dell’art. 25 co. 2 del CCNL 2001, per altro verso si evidenzia che ulteriori indicazioni non possono essere tratte dagli accordi collettivi richiamati nella seconda parte della clausola, “alcuni irrilevanti, perchè anteriori alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, altri inconferenti in quanto riguardano alcuni aspetti del procedimento di mobilità volontaria ed esulano da quella ipotesi di cui al D.Lgs., art. 3, lett. b) in cui è consentito agli accordi sindacali di derogare ai divieti di assunzione a termine”. Così respinti il terzo e il quarto motivo, resta assorbito il quinto.

5.4. Del pari infondato è poi il sesto e ultimo motivo del ricorso principale, avuto riguardo al costante orientamento di questa Corte che configura la nullità della clausola come parziale ed inidonea a determinare la caducazione dell’intero contratto (per tutte si veda Sez. L, Sentenza n. 23057 del 15/11/2010 (Rv. 615612).

6. Allo stesso modo si palesa infondato il ricorso incidentale. Ed invero la statuizione di compensazione delle spese non incorre in erronea applicazione delle norme invocate (artt. 91 e 92 c.p.c.), stanti le incertezze della giurisprudenza in punto di interpretazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 all’epoca dello svolgimento delle fasi di merito.

7. Alla luce delle svolte argomentazioni il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati. In ragione della soccombenza reciproca si dichiarano compensate le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2016

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