Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12680 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 19/05/2017, (ud. 15/04/2016, dep.19/05/2017),  n. 12680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.G., rappresentato e difeso da se medesimo ai sensi

dell’art. 86 c.p.c., nonchè, per procura a margine del ricorso,

dall’Avvocato Antonio Pescatore, elettivamente domiciliato in Roma,

via Paolo Emilio n. 34, presso lo studio dell’Avvocato Paola

D’Innocenzo;

– ricorrente e controricorrente a ricorso incidentale –

contro

MARI E MONTI di R.R. s.a.s., in liquidazione, in persona

del legale rappresentante pro tempore, R.R., in qualità

di socio accomandatario della Mari e Monti s.a.s di R.R.

e in proprio, e P.L., in proprio, e P.L. in

qualità di liquidatore e di socio accomandante della Mari e Monti

s.a.s. di R.R., rappresentati e difesi, per procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avvocati Giorgio Giorgi e

Andrea Melucco, elettivamente domiciliati presso lo studio del

secondo in Roma, via Antonio Bertoloni n. 27;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e

ASSICURATRICE MILANESE s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al controricorso, dagli Avvocati Giampiero Samorì e Andrea Sirena,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Carlo Felice n. 89, presso

lo studio dell’Avvocato Tiziano Mariani;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 224/2011,

depositata in data 31 gennaio 2011.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

aprile 2016 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano;

sentiti, per Mari & Monti di R.R. s.a.s., in

liquidazione, l’Avvocato Giorgio Giorgi e, per Assicuratrice

Milanese s.p.a., l’Avvocato Leonardo Brasca, per delega;;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.

Pratis Pierfelice, che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 17 febbraio 2003, Mari Monti s.a.s. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Varese, con il quale le veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 15.234,88 in favore dell’Avvocato G.G. a titolo di compenso per l’attività svolta in favore dell’opponente in una controversia civile dinnanzi al Tribunale di Milano e riguardante l’istanza monitoria proposta in relazione al credito vantato dalla società Mari & Monti nei confronti di Giardini Porto Cervo s.r.l. per l’importo di Euro 216.000,00.

L’opponente deduceva che l’Avvocato G., dopo avere ottenuto il decreto ingiuntivo, aveva svolto attività difensiva nell’ambito del giudizio di opposizione iniziato dalla società Giardini Porto Cervo e dopo avere ottenuto la reiezione della opposizione con sentenza del 29 maggio 2000, si era limito a predisporre atto di precetto per la somma di Euro 378.712,93, senza contestualmente provvedere ad iscrivere ipoteca giudiziale sui beni della debitrice, con conseguente grave pregiudizio del diritto alla percezione della somma dovuta. La Mari & Monti chiedeva quindi la revoca del decreto opposto e, in via riconvenzionale, la condanna del G. al risarcimento dei danni cagionati per difetto di diligenza, quantificandoli nell’importo del credito da essa vantato nei confronti della Giardini Porto Cervo s.r.l. e non potuto recuperare, stante l’intervenuto fallimento della società debitrice.

Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto delle domande e di essere autorizzato a chiamare in causa la Assicuratrice Milanese s.p.a. a titolo di manleva.

La società chiamata si costituiva associandosi alle richieste del G. e chiedendo, in caso di accoglimento della riconvenzionale, una congrua riduzione delle somme dovute.

Con sentenza del 14 marzo 2006, il Tribunale di Varese rigettava le domande della opponente. Il Tribunale riteneva, innanzi tutto, che l’obbligazione gravante sul professionista fosse da intendersi un’obbligazione di mezzi e non di risultato e che, conseguentemente, la mancanza di diligenza del professionista avrebbe potuto essere rilevante solo in caso di violazione dei doveri inerenti lo svolgimento della propria attività professionale. Rilevava, peraltro, che la società non aveva dato prova della sicura esistenza di beni immobili sufficienti a garantire la riscossione del proprio credito, sicchè doveva ritenersi insussistente la prova del nesso causale tra la condotta del professionista (mancata iscrizione di ipoteca) e il danno subito (impossibilità di insinuazione al passivo fallimentare).

Mari & Monti proponeva appello lamentando la omessa e comunque erronea motivazione circa la sussistenza della responsabilità professionale dell’Avvocato G. in relazione alla mancata iscrizione di ipoteca e l’erronea motivazione in relazione alla ritenuta mancanza di prova del danno derivato in conseguenza della condotta omissiva del professionista. Quest’ultimo si costituiva chiedendo la reiezione del gravame. Si costituiva altresì la società chiamata, la quale proponeva altresì appello incidentale condizionato circa l’assenza di condotta colpevole.

La Corte d’appello di Milano accoglieva il primo motivo di gravame e revocava il decreto ingiuntivo opposto, ritenendo sussistente un inadempimento del professionista che giustificava la mancata corresponsione del compenso per le sue prestazioni. Premesso che la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, la Corte d’appello osservava che, sebbene non incombesse sul G. l’obbligazione di garantire il recupero del credito vantato dalla sua assistita nei confronti della Giardini Porto Cervo s.r.l., rientrava certamente tra i suoi doveri quello di porre in essere tutte le attività necessarie per raggiungere quell’obiettivo, ivi compreso quello di attivare la procedura di pignoramento immobiliare dei beni di proprietà della debitrice; procedura che, sottolineava la Corte, era ricompresa nell’ambito del mandato conferito al G. dalla società appellante. La Corte riteneva dunque che, una volta ottenuta la pronuncia favorevole del Tribunale di Milano, il professionista fosse tenuto a tutti gli adempimenti necessari per dare esecuzione a quella sentenza; e ciò tanto più che la società rappresentata aveva tempestivamente pagato l’imposta di registro e nel febbraio 2001 aveva rappresentato al proprio difensore l’urgenza di definire tutti i rapporti di dare e avere ancora pendenti, stante la sua imminente liquidazione. Accertato, quindi, l’inadempimento del G. ai propri doveri professionali, la Corte d’appello riteneva che, ai sensi dell’art. 1460 c.c., fosse venuto meno l’obbligo dei clienti di pagare il compenso.

La Corte d’appello rigettava, invece, il motivo di appello con il quale l’appellante principale aveva rinnovato la domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della negligenza del G., quantificandoli in Euro 217.460,70. In proposito, la Corte rilevava che la domanda della Mari & Monti, pervenendo alla definizione di un petitum ontologicamente diverso rispetto a quello in ipotesi riconoscibile in caso di mancato recupero di un credito, risultava priva, ancor prima che di supporto probatorio, della necessaria allegazione di fatti e circostanze atti a provare la concreta verificazione del danno stesso, difettando l’indicazione della effettiva entità del concorso dei creditori nel fallimento della società debitrice. Ad avviso della Corte, infatti, la società appellante avrebbe dovuto allegare oltre alla capienza dei beni della società fallita rispetto al credito da essa vantato, anche la misura del concorso con gli altri creditori privilegiati, ai fini della verifica della capienza del fallimento rispetto a questi ultimi.

In considerazione dell’esito della lite, la Corte compensava poi per due terzi le spese dell’intero giudizio, ponendo il restante terzo a carico delle parti appellate ( G. e Assicuratrice Milanese s.p.a.).

Per la cassazione di questa sentenza l’Avvocato G.G. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi.

Hanno resistito Mari e Monti s.a.s. di R.R. & C., in persona del liquidatore P.L., nonchè R.R., in proprio e quale socio accomandatario della detta società, e P.L., quale liquidatore e socio accomandante della stessa. I controricorrenti hanno proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Al ricorso incidentale hanno resistito, con controricorso, sia il G. che Assicuratrice Milanese s.p.a..

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso principale si articola in quattro motivi.

1.1. – Con il primo motivo del ricorso principale, l’Avvocato G. denuncia vizio del procedimento e nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione o omessa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., e art. 101 c.p.c., comma 2. Premesso che sin dall’opposizione a decreto ingiuntivo con domanda riconvenzionale la Mari e Monti aveva individuato quale inadempimento all’obbligo di diligenza di esso ricorrente la mancata iscrizione ipotecaria e che tale inadempimento era stato anche posto a fondamento dell’atto di appello, il ricorrente principale si duole del fatto che la Corte d’appello sia giunta a ritenere sussistente un diverso inadempimento, e cioè la mancata (o tardata) attivazione di una procedura esecutiva immobiliare, incorrendo in tal modo nelle denunciate violazioni di norme processuali.

1.2. – Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1460, 1719, 2234, 2227 e 2697 c.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Pur ammettendosi che il profilo di responsabilità professionale individuato dalla Corte d’appello fosse stato dedotto dalla società Mari e Monti, tuttavia doveva in concreto escludersi la sussistenza di qualsivoglia profilo di responsabilità professionale sul punto. In particolare, osserva il ricorrente, la Corte d’appello si è limitata ad accertare il fatto obiettivo della mancata richiesta di pignoramento immobiliare, ma non ha in alcun modo considerato le ragioni, documentalmente risultanti, per le quali egli non aveva potuto procedere al pignoramento immobiliare (segnatamente, la mancata indicazione di beni immobili della debitrice suscettibili di una utile azione esecutiva). In sostanza, assume il ricorrente, la Corte d’appello lo avrebbe ritenuto responsabile della negligenza costituita dalla mancata richiesta di pignoramento senza accertare in alcun modo se la condotta in questione poteva essere effettuata sulla base degli elementi fornitigli dalla parte rappresentata.

1.3. – Con il terzo motivo del ricorso principale il G. lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227 e 1375 c.c. e nullità della sentenza per omessa pronuncia su una eccezione formulata in appello. Il ricorrente ricorda che già in primo grado aveva formulato una eccezione ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, rilevando che la società Mari e Monti non aveva fatto pervenire tempestivamente dati di investigazione patrimoniale del debitore e i mezzi necessari per la iscrizione ipotecaria, e che tale eccezione aveva ribadito in sede di costituzione in appello, sottolineando, appunto, che non rientra nei doveri di correttezza del professionista quello di intraprendere azioni giudiziarie aggiuntive con accollo dei costi e dei rischi relativi e che non gli erano mai stati forniti nè i dati cognitivi nè i mezzi finanziari per effettuare l’iscrizione ipotecaria, la cui mancata attuazione è stata individuata dalla società come fonte di responsabilità professionale. Il ricorrente si duole, quindi, che la Corte d’appello non abbia in alcun modo esaminato tale eccezione, incorrendo nel denunciato vizio.

1.4. – Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, del D.M. n. 127 del 2004 e degli artt. 1453, 1458 e 1460 c.c., dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia considerato che il mandato conferitogli dalla società Mari e Monti era relativo sia al processo di opposizione a decreto ingiuntivo sia all’eventuale successivo procedimento esecutivo, e che egli aveva quindi diritto a percepire un compenso per le due procedure, nella misura indicata in modo differenziato nella parcella depositata per il procedimento monitorio. Pertanto, ammesso che un inadempimento vi sia stato, questo sarebbe relativo alla sola fase esecutiva (mancata effettuazione del pignoramento immobiliare), sicchè del tutto erroneamente e in contrasto con le disposizioni su indicate, la Corte d’appello avrebbe ritenuto non dovuto il compenso richiesto per il giudizio di cognizione.

2. – Il ricorso incidentale è a sua volta articolato su tre motivi.

2.1. – Con il primo motivo i ricorrenti incidentali denunciano omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte d’appello ha affermato che vi era stato un deficit di allegazione sui fatti afferenti al fallimento tale da consentire di evincere la capienza dei beni della società fallita rispetto al credito vantato dalla società Mari e Monti, solo perchè non avrebbe esaminato i documenti prodotti, quali, da un lato, consentivano di rilevare la consistenza del patrimonio immobiliare della società fallita, dall’altro, la sua insufficienza a soddisfare i creditori chirografari.

2.2. – Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla domanda pregiudiziale svolta nel giudizio di appello, consistente nella richiesta di sospensione del giudizio risarcitorio in attesa della definizione della procedura fallimentare.

2.3. – Con il terzo motivo si deduce ancora nullità della sentenza per omessa pronuncia sul tema del danno da perdita di chance, nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia, rilevando che la mancata iscrizione ipotecaria aveva certamente determinato un danno da perdita di chance di recuperare dal fallimento la somma di cui era creditrice e che quindi il danno avrebbe dovuto essere ritenuto in re ipsa, procedendo alla relativa liquidazione anche in via equitativa. Errata sarebbe, dunque, la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda risarcitoria per la mancanza di prova del danno.

3. – Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Occorre premettere che, come affermato da questa Corte, “le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. Avuto riguardo, più in particolare all’attività professionale dell’avvocato, l’inadempimento del professionista non può essere desunto, senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata, sicchè la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività, dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie. La responsabilità dell’avvocato, pertanto, può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave. L’accertamento relativo al se la prestazione professionale in concreto eseguita implichi – o meno – la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, è rimesso al giudice di merito ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto” (Cass. n. 7618 del 1997).

Nel caso di specie, la società Mare e Monti aveva dato mandato all’Avvocato G. di procedere nei confronti della società I Giardini di Porto Cervo s.r.l. in via monitoria. Il mandato conferito al difensore di “rappresentarla e difenderla in ogni fase e grado del presente procedimento ed atti inerenti conseguenti e successivi compreso il processo esecutivo e l’eventuale giudizio di opposizione nonchè il grado di appello e i successivi”. La società aveva quindi fatto valere un inadempimento del difensore in quanto, ottenuta una pronuncia favorevole in sede di opposizione al richiesto decreto ingiuntivo, lo stesso non aveva dato seguito al mandato conferitogli di procedere nei confronti della società debitrice. E se è vero che negli scritti difensivi della odierna controricorrente e ricorrente incidentale la condotta negligente del difensore viene individuata esplicitamente nella mancata attivazione ai fini della iscrizione di ipoteca sui beni della società debitrice, è altresì vero che nell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dall’Avvocato G. per il pagamento dei propri compensi relativi al giudizio in cui aveva assistito la società Mare e Monti nei confronti della società I Giardini di Porto Cervo s.r.l. – all’esame del quale il Collegio può procedere in considerazione delle censure proposte -, era stata dedotta la mancata attivazione, da parte dell’Avvocato G., ai fini della acquisizione della formula esecutiva sulla decisione che aveva rigettato l’opposizione della Giardini di Porto Cervo s.r.l.. In particolare, nelle premesse dell’atto di citazione si legge: “5) è quindi evidente che, dalla data di comunicazione della sentenza (9 giugno 2000) occorreva iniziare il recupero coattivo della somma e a tal fine esercitare anzitutto le opportune garanzie legali sui beni della debitrice”; (…)”9) l’Avv. G. notificava, ex art. 140 c.p.c., alla debitrice, tra l’aprile 2001 e l’ottobre 2001, atto di precetto portante ingiunzione a pagare una somma pari a Lire 378.712.932 alla data del 13/04/2001, oltre successive; 10) l’esponente officiava invece altro legale, a seguito della cui attività, veniva trascritto pignoramento immobiliare sul vastissimo patrimonio della debitrice (…) in data 26/11/2001″. Nella parte in diritto del medesimo atto si evidenzia poi come “l’avvocato, nel compimento della sua attività deve predisporre i mezzi e le procedure idonee a far coincidere l’interesse del cliente con il risultato finale che si propone” e che, in particolare, l’Avvocato G. era stato “officiato fin dall’inizio della causa anche del potere di procedere addirittura esecutivamente”, e si contesta specificamente la mancata attivazione ai fini della iscrizione immediata di ipoteca giudiziale.

In sostanza, non può affermarsi, come pretende il ricorrente principale, che la Corte d’appello, nel rilevare una negligenza del G. nel mancato tempestivo inizio della procedura esecutiva nei confronti della I Giardini di Porto cervo s.r.l., sia incorsa nel denunciato vizio di violazione degli artt. 112, 345 e 101 c.p.c., dovendosi ritenere che la contestata mancata iscrizione ipotecaria costituisse una specificazione della più generale negligenza consistita nel ritardo con il quale il difensore aveva provveduto a consentire l’esecuzione della sentenza favorevole ai propri clienti. In sostanza, non ha errato la Corte d’appello nel ritenere che l’addebito rivolto dalla società Mare e Monti al proprio difensore, al quale aveva era stato conferito mandato non solo per il procedimento monitorio e per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ma anche per la procedura esecutiva e le relative opposizioni, fosse quello di non avere fatto seguire all’ottenimento di una pronuncia favorevole all’esito del giudizio di cognizione lo svolgimento della necessaria attività esecutiva volta al recupero coattivo del credito.

4. – Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

La Corte d’appello, invero, ha fondato la propria valutazione in ordine al mancato assolvimento diligente, da parte del ricorrente, della propria obbligazione di mezzi, sul rilievo della mancata attivazione, successivamente al deposito della sentenza che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo, al fine di consentire alla propria cliente il conseguimento di quanto ad essa dovuto. In particolare, la Corte d’appello ha valorizzato il rilievo che non era necessaria alcuna sollecitazione della cliente in ordine all’assunzione, da parte del difensore, dei “consequenziali e doverosi (…) adempimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza del Tribunale di Milano, senza che, sul punto, fosse necessario un mandato specifico del cliente. Ciò tanto più che la Mare & Monti sas aveva sollecitamente pagato l’imposta di registro (25.7.2000) e che in data 7.2.2001 aveva rappresentato l’urgenza di definire tutti i rapporti di dare – avere ancora pendenti stante la sua imminente liquidazione” (in proposito, nella sentenza impugnata viene espressamente richiamata la lettera del 7 febbraio 2001).

Le critiche che il ricorrente muove in ordine al mancato accertamento, da parte della Corte d’appello, delle condizioni per poter iniziare l’azione esecutiva afferiscono a profili che non incidono sul ritenuto mancato adempimento dell’obbligazione del professionista, quanto alla indicazione alla propria cliente delle condotte necessarie al fine di poter dare corso alla procedura esecutiva o alla iscrizione ipotecaria; tanto più che il professionista aveva avuto un mandato esplicito per procedere anche in via esecutiva e che l’adozione di misure a cautela del credito della cliente non richiedeva uno specifico e distinto mandato. In ogni caso, appare rilevante la circostanza che la Corte d’appello ha ritenuto addebitabile al professionista la mancata attivazione della procedura di pignoramento immobiliare dei beni di proprietà della debitrice, e cioè di un’attività “strettamente connessa e collaterale alla procedura esecutiva”, con ciò facendo implicitamente riferimento anche alla necessaria prospettazione alla cliente degli adempimenti necessari per una tempestiva esecuzione della sentenza favorevole. Con la precisazione che, in relazione a tali rapporti non costituiva circostanza idonea ad escludere l’inadempimento del professionista il fatto che la Mari & Monti non avesse specificamente suggerito al professionista l’adozione delle misure necessarie, atteso che, deve aggiungersi, rientra proprio nell’obbligazione di mezzi gravante sul professionista, la sollecitazione della cliente ad offrire le informazioni necessarie ovvero, ove tali notizie siano fruibili attraverso pubblici registri, a rappresentare tempestivamente alla parte le modalità operative per la loro acquisizione. Senza dire che, come esattamente rilevato dalla controricorrente, ai sensi dell’art. 655 c.p.c., i decreti dichiarati esecutivi a norma degli artt. 642, 647 e 648 e quelli rispetto ai quali è rigettata l’opposizione costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Le deduzioni del ricorrente, dunque, si risolvono nella contrapposizione alla valutazione del giudice d’appello di un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie. Ed è noto che “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 17097 del 2010). Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente anteriormente alle modificazioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile, nel caso di specie, ratione temporis) inoltre, “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 6288 del 2011).

5. – Privo di fondamento è altresì il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce l’omessa pronuncia sull’eccezione ex art. 1127 c.c., comma 2, formulata sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe esaminato il rilievo per cui l’asserito suo inadempimento sarebbe, in realtà, stato addebitabile al comportamento colposo della cliente, per non avergli mai fatto pervenire con tempestività dati di investigazione patrimoniale del debitore e mezzi per iscrivere l’ipoteca.

Invero, deve escludersi che sussista la denunciata omessa pronuncia, atteso che, come già rilevato, la Corte d’appello, dopo avere esplicitato le ragioni per le quali il ricorrente era venuto meno all’adempimento puntuale delle obbligazioni di mezzi sul medesimo gravanti, ha precisato che non valeva “obiettare che l’attività oggetto di inadempimento non fosse stata specificatamente suggerita dalla Mare e Monti (…). Infatti, una volta ottenuta la pronuncia favorevole del Tribunale di Milano in relazione alla causa di opposizione a D.I., apparivano consequenziali e doverosi tutti gli adempimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza del Tribunale, senza che, sul punto, fosse necessario un mandato specifico del cliente”. Dunque, non solo la Corte d’appello ha pronunciato sulla eccezione riproposta dall’appellato, ma ha altresì ritenuto la stessa infondata, con motivazione che resiste certamente alla critica svolta in ricorso. D’altra parte, una volta che si è affermato l’inadempimento del ricorrente per non avere tempestivamente sollecitato la società sua cliente a fornire la documentazione necessaria per agire in via esecutiva e comunque per non avere suggerito tempestivamente le modalità per ottenere le informazioni necessarie, non può sostenersi che il mancato inoltro da parte della Mare & Monti della detta documentazione possa di per sè giustificare l’inadempimento suindicato.

6. – Il quarto motivo è infondato.

Il ricorrente si duole del mancato riconoscimento, da parte della Corte d’appello, dei compensi relativi al giudizio di cognizione, scaturito dalla richiesta di decreto ingiuntivo, in relazione al quale alcun addebito poteva essergli rivolto.

Invero, la Corte d’appello ha implicitamente, quanto non implausibilmente, ritenuto che l’incarico conferito dalla Mare & Monti all’Avvocato G. fosse un incarico unitario, comprensivo anche della fase esecutiva e che, dunque, non fosse frazionabile in relazione alle singole fasi di espletamento dell’incarico.

Questa Corte ha, del resto, affermato che la violazione della diligenza del buon padre di famiglia “comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell’art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà), e, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso” (Cass. n. 5928 del 2002).

7. – In conclusione, il ricorso principale è infondato e va respinto.

8. – Venendo ora al ricorso incidentale, che si articola in due motivi, il Collegio ritiene che debba anch’esso essere respinto.

8.1. – La Corte d’appello, come già ricordato, ha rigettato il motivo di appello con il quale la Mare & Monti aveva rinnovato la domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della negligenza del G., quantificandoli in Euro 217.460,70, rilevando che la domanda della società, pervenendo alla definizione di un petitum ontologicamente diverso rispetto a quello in ipotesi riconoscibile in caso di mancato recupero di un credito, risultava priva, ancor prima che di supporto probatorio, della necessaria allegazione di fatti e circostanze atti a provare la concreta verificazione del danno stesso, difettando l’indicazione della effettiva entità del concorso dei creditori nel fallimento della società debitrice. Ad avviso della Corte, infatti, la società appellante avrebbe dovuto allegare oltre alla capienza dei beni della società fallita rispetto al credito da essa vantato, anche la misura del concorso con gli altri creditori privilegiati, ai fini della verifica della capienza del fallimento rispetto a questi ultimi.

8.2. – Tale statuizione non merita le critiche che i ricorrenti incidentali prospettano.

8.2.1. – Quanto, invero, alla omessa o insufficiente motivazione con riguardo alla documentazione prodotta, la censura si appalesa generica e inidonea, attraverso il riferimento agli avvisi di vendita e alla lettera del curatore del fallimento della società I Giardini di Porto Cervo s.a.s, a dimostrare l’avvenuta allegazione, sin dal primo grado, degli elementi di fatto che avrebbero potuto dare concretezza alla pretesa risarcitoria (approvazione dello stato passivo della procedura fallimentare; consistenza dell’attivo fallimentare; esistenza o no di creditori privilegiati). Non senza rilevare che le dette allegazioni tanto più sarebbero state necessarie in quanto la domanda risarcitoria azionata aveva ad oggetto – come osservato dalla Corte d’appello un petitum ontologicamente diverso rispetto a quello in ipotesi riconoscibile in caso di mancato recupero di un credito, e che già il giudice di primo grado aveva rilevato che la società non aveva dato prova della sicura esistenza di beni immobili sufficienti a garantire la soddisfazione del proprio credito e aveva conseguentemente ritenuto che la doglianza della società non era sufficiente a fondare un giudizio certo di sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista (mancata attivazione immediata per iscrivere ipoteca giudiziale) e il presunto danno subito dalla medesima società e derivante dall’essersi dovuta insinuare in una procedura fallimentare in via chirografaria. Non ha dunque errato la Corte d’appello nel ritenere che, risolvendosi il danno lamentato dalla Mari & Monti s.a.s. nel mancato concorso con gli altri creditori, sarebbe stato necessario allegare oltre alla capienza dei beni della società fallita, anche la misura del concorso con gli altri creditori privilegiati, e che quindi l’appellante non avesse adempiuto gli oneri probatori su di essa gravanti (per di più con i limiti derivanti dalla mancata produzione dei documenti sin dal giudizio di primo grado).

8.2.2. – Inammissibile è poi la censura veicolata con il secondo motivo di ricorso incidentale, atteso che, trattandosi della denunciata nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla richiesta di sospensione del procedimento di appello in attesa della definizione della procedura fallimentare della I Giardini di Porto Cervo s.a.s. Invero, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. n. 1701 del 2009; Cass. n. 22083 del 2013). Deve quindi ritenersi che la sentenza impugnata abbia implicitamente, ma necessariamente, disatteso la richiesta di sospensione, della quale, peraltro, i ricorrenti incidentali omettono di riferire con la necessaria puntualità le modalità della introduzione in giudizio.

8.2.3. – Inammissibile è, infine, la terza censura, atteso che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “la domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance (nella specie, di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza d’una negligente condotta del medico che l’ebbe in cura), deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di “tutti i danni” causati dalla morte della vittima” (Cass. n. 21245 del 2012). Ne consegue che, poichè la sentenza impugnata non reca menzione di una siffatta domanda, era onere dei ricorrenti incidentali dolersi della omessa pronuncia su tale domanda a tal fine precisando che una simile pretesa era stata formulata specificamente sin dal giudizio di primo grado, atteso che “l’omessa pronuncia, qualora cada su una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito” (Cass. n. 12412 del 2006; Cass. n. 24445 del 2010).

9. In conclusione, tanto il ricorso principale che quello incidentale devono essere respinti.

Le spese del giudizio di cassazione, in considerazione del suo esito, possono essere compensate interamente tra tutte le parti.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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