Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12679 del 09/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 09/06/2011), n.12679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, via

Trionfale 5637, presso lo studio dell’Avv. Domenico Battista,

rappresentata e difesa dall’Avv. GALASSO Mercurio per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FIAT POWERTRAIN TECHNOLOGIES S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Crescenzio n. 62, presso lo studio dell’avv. Grisanti Francesco,

rappresentata e difesa dall’Avv. Morgese Mariano per procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 379/2009 della Corte d’appello di Campobasso,

depositata in data 20.6.2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 14.04.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

uditi l’Avv. Galasso e l’Avv. Morgese;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

DESTRO Carlo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- M.F., ricevuta in data 18.1.06 dal datore FIAT Powertrain Technologies s.p.a. comunicazione di licenziamento per giusta causa, consistente nell’aver tenuto atteggiamento intimidatorio nei confronti dei responsabili di reparto, con ricorso per provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. chiese al giudice del lavoro di Larino la reintegrazione nel posto di lavoro.

2.- Rigettata la richiesta cautelare, il M. ricorreva nuovamente al giudice del lavoro in via ordinaria, chiedendo l’annullamento del licenziamento per mancanza di giusta causa o giustificato motivo e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro.

Eccepito da FIAT che il licenziamento non era stato impugnato nel termine di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 il giudice del lavoro riteneva intempestiva l’impugnazione del recesso e rigettava la domanda.

3.- Proposto appello da M., con sentenza 20.6.09 la Corte di appello di Campobasso rigettava l’impugnazione della sentenza, rilevando che sarebbe stato onere del lavoratore provare di aver impugnato il licenziamento nei 60 gg. dalla data di ricevimento della lettera di licenziamento.

A tale scopo rilevava che non risultava in atti nè era indicato nel ricorso introduttivo la data in cui era stato notificato alla controparte il ricorso per provvedimento di urgenza, non potendo tale dato desumersi dal corpo del provvedimento di rigetto del giudice del provvedimento cautelare, ove era menzionata solamente la data di deposito del relativo ricorso. Solo con l’atto di appello era stata depositata la copia del ricorso per provvedimento di urgenza notificata alla controparte in data 8.3.06 e della memoria di costituzione di FIAT nel procedimento cautelare, ove si dava atto di tale notifica; tale produzione era, tuttavia, tardiva ai sensi dell’art. 437 c.p.c., essendo il documento nella disponibilità dell’interessato da epoca anteriore al ricorso introduttivo.

4.- Proponeva ricorso per cassazione M. con unico complesso motivo, con il quale deduceva violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e degli artt. 421 e 437 c.p.c., nonchè carenza di motivazione, censurando:

a) l’affermazione che sarebbe irrilevante la circostanza che il primo giudice avesse indicato che il ricorso cautelare era stato depositato in data 11.3.06 e non 22.2.06;

b) la mancata considerazione delle contestazioni mosse dalla difesa del lavoratore all’eccezione di decadenza e contenute nel verbale del giudizio di primo grado;

c-d) la mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice per l’accertamento della tempestiva impugnazione.

Si difendeva con controricorso FIAT Powertrain Technologies s.p.a.

5.- Il Consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. depositava relazione che, assieme al decreto di fissazione dell’adunanza della camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

6.- Con la sua relazione il Consigliere relatore ha posto in evidenza che il giudice sia nel primo che nel secondo grado non poteva rispondere all’eccezione di parte convenuta circa la decadenza dall’impugnazione, nè era in condizione di azionare i suoi poteri istruttori, atteso che, se è vero che nel rito del lavoro il rigoroso sistema delle preclusioni regolante l’ammissione delle prove costituite e di quelle costituende trova contemperamento nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, è pur vero anche che gli stessi poteri debbano essere esercitati pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (riferimento a Cass. 24.10.07 n. 22305, Cass. 9.11.06 n. 23882 e numerose altre).

7.- Rileva il Collegio che la circostanza dell’avvenuta tempestiva notifica del ricorso per provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. era stata dedotta e comprovata dal ricorrente nel corso del giudizio di secondo grado, mediante deposito dell’atto in questione e della pedissequa relazione di notificazione al datore di lavoro (avvenuta in data 8.3.06), nonchè di un estratto della comparsa di costituzione dello stesso datore nel procedimento cautelare, in cui si evidenziava che anche controparte dava atto della stessa data.

Di fronte a questa produzione il giudice di appello, nel declinare l’esercizio dei poteri istruttori previsti dall’are. 437 c.p.c., ha ritenuto che l’esercizio stesso fosse inibito dalla tardività della produzione documentale. Tale motivazione è insufficiente in quanto non da conto (dell’avvenuta valutazione di un particolare aspetto che la giurisprudenza di legittimità ritiene connaturato all’esercizio dei poteri officiosi del giudice del lavoro, quale il parametro della “indispensabilità” del mezzo di prova (nella specie della produzione documentale) ai fini della decisione della causa, nella prospettiva dell’adozione di una consapevole e non meramente formale decisione della causa (argomenti da Cass. S.u. 20.4.05 n. 8202 e Cass. 22.5.06 n. 11922).

8.- La rilevata carenza di motivazione in cui è incorso il giudice di appello non è tuttavia sufficiente a procurare l’accoglimento del ricorso.

Il giudice di appello, infatti, nella parte finale della sentenza, pur rilevando che ogni valutazione sul merito dell’appello e della domanda giudiziale è da ritenere assorbita dalla decadenza, afferma anche che “… non può non segnalarsi che i fatti ascrittigli al ricorrente M. sono configurabili quali delitto almeno di minaccia e che la norma contrattualcollettiva che qui rileva prevede il licenziamento per giusta causa anche in ipotesi di fatti integranti delitto, oltrechè indicare in via esemplificativa la insubordinazione ai superiori”.

Tale affermazione – nonostante la terminologia adottata dal giudice – costituisce una vera e propria affermazione di legittimità del licenziamento, basata su una serie di dati oggettivamente risultanti e tra di loro consequenzialmente collegati, quali il titolo della contestazione (la minaccia), la sua qualificazione penale come delitto e l’esistenza di una norma collettiva che legittima il recesso per giusta causa di fronte a fatti integranti delitto o insubordinazione.

L’affermazione non risulta censurata dall’odierno ricorrente, il quale ha mirato il suo complesso mezzo di impugnazione contro la parte della pronunzia in punto di decadenza, senza curarsi dell’ulteriore affermazione che investe il merito della domanda.

9.- In conclusione, deve ritenersi che l’impugnazione sia inidonea a colpire il decisum del giudice di appello nella sua interezza e che, pertanto, la rilevata carenza motivazionale della sentenza impugnata non pregiudichi la statuizione circa la legittimità del licenziamento.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed in Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011

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