Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12679 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12679 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 22255-2012 proposto da:
TAROLA

GIUSEPPE

TRLGPP3OSO6G492S,

elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo
studio dell’avvocato FIORINI GIANCARLO, rappresentato
e difeso dall’avvocato PICCONE FERNANDO;
– ricorrente 2014
614

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;
– intimato –

avverso il decreto n. 51/2012 della CORTE D’APPELLO
di CAMPOBASSO, depositata il 18/04/2012;

Data pubblicazione: 05/06/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/03/2014 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per

,

del ricorso, in subordine per il rigetto dello
stesso.

t

l’improcedibilità del ricorso o per l’inammissibilità

IN FATTO
Con ricorso depositato il 4.1.2011 Giuseppe Tarola adiva la Corte
d’appello di Campobasso per ottenere la condanna del Ministero della
Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge

europea dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n.
848/55, per l’eccessiva durata di una causa civile introdotta innanzi al
Tribunale di Avezzano il 28.6.1990 e definita con sentenza pubblicata il
21.4.2010.
Resisteva il Ministero tramite l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che
eccepiva la mancata prova della condizione di proponibilità della domanda ai
sensi dell’art. 4 della legge n. 89/01.
Con decreto del 18.4.2012 la Corte territoriale dichiarava inammissibile il
ricorso. Riteneva, infatti, che fosse onere della parte ricorrente allegare e
dimostrare la sua posizione nel processo, la data d’inizio di quest’ultimo, la
definizione del giudizio e gli eventuali gradi d’impugnazione in cui questo si
era articolato. Per contro, spettava al giudice verificare in concreto l’esistenza
della violazione dedotta, anche attraverso l’esercizio dei poteri d’iniziativa
offìciosa di cui all’art. 3, comma 5° detta legge, che tuttavia non dispensavano
la parte dall’onere di dimostrare la tempestività della domanda, mediante la
produzione di idonea certificazione di cancelleria attestante a una certa data la
proposizione o non d’impugnazione, in base agli artt. 112 d.P.R. 15 dicembre
1959, n. 1229 e 123 disp. att. c.p.c. Nello specifico, invece, la parte ricorrente
non aveva dimostrato né la pendenza della lite, né che al momento di proporre

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24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione

il ricorso per equa riparazione fosse ancora possibile gravare la decisione di
primo grado, né che a detta data non fossero decorsi più di sei mesi.
Osservava, infine, che ad ogni modo la domanda avrebbe dovuto essere
respinta nel merito, non avendo la parte ricorrente allegato l’esistenza di un

Per la cassazione di tale decreto Giuseppe Tarola propone ricorso, affidato
a due motivi.
Disposta la rinnovazione della notifica del ricorso, in quanto effettuata non
presso l’Avvocatura generale dello Stato ma presso quella distrettuale, il
ricorrente ha provveduto nel termine concesso, e il Ministero della Giustizia
non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della

legge n. 89/01 e dell’art. 6 della Convenzione EDU.
Richiamandosi a giurisprudenza di questa Corte, parte ricorrente sostiene
che col termine “decisione definitiva”, che segna il dies a quo del termine
semestrale entro cui a pena di decadenza è proponibile la domanda ex lege
“Pinto”, s’intende il provvedimento insuscettibile di revoca o modifica da
parte del giudice che l’ha emesso o da altro giudice chiamato a provvedere in
un grado successivo, ovvero il momento in cui è divenuta definitiva la
statuizione che ha chiuso la fase di qualsiasi tipo di processo della cui durata
irragionevole sia ipotizzabile dolersi.
Nella specie il ricorrente aveva prodotto copia della comunicazione di
deposito della sentenza e del relativo dispositivo, accompagnata
dall’attestazione di rilascio al difensore da parte della cancelleria. Pertanto,
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danno non patrimoniale derivante dalla durata irragionevole della lite.

nessun altro onere di produzione gravava sulla parte ricorrente, posto che
l’altra parte non aveva contestato la conformità all’originale di tali copie
informali.
2. – Col secondo motivo, pur esso intestato sub specie di violazione e falsa

ricorrente contesta l’apprezzamento di merito (operato in forma ipotetica)
dalla Corte territoriale, nel senso che il pregiudizio d’indole morale derivante
dall’eccesiva durata del processo costituisce

secondo costante

giurisprudenza di questa Corte Suprema e della Corte EDU — conseguenza
normale della violazione dell’art. 6 della Convenzione, con la conseguenza
che il giudice nazionale deve ritenerlo esistente, salvo circostanze particolari
che lo escludano.
3. – Il primo motivo è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che la facoltà di cui alla L. 24
marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5 non dispensa la parte dall’onere di
dimostrare, oltre alla sua posizione nel processo presupposto, la data iniziale
di questo e gli eventuali gradi in cui si è articolato, anche e specificamente la
data della sua definizione (Cass. n.12629/10, non massimata).
Diversa, però, è l’ipotesi in cui non sia provata la dedotta pendenza del
giudizio alla data in cui è stato instaurato il procedimento di equa riparazione,
nel qual caso non si pone una questione di rispetto del termine semestrale di
proposizione della domanda (art. 4 legge n. 89/01, nel testo, applicabile
ratione temporis, previgente alle modifiche di cui al D.L. n.83/12, convertito
in legge n. 134/12). In siffatta situazione, al potere di disporre, su richiesta del
ricorrente, l’acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del
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applicazione della legge n. 89/01 e dell’art. 6 della Convenzione EDU, parte

processo presupposto (art. 3, comma 5 legge cit. testo previgente), si aggiunge
quello officioso, derivabile dalla natura camerale del procedimento ex lege n.
89/01 e dunque dall’art. 738, terzo comma c.p.c. (che consente
un’esplicazione più ampia della facoltà prevista dall’art. 213 c.p.c. per il

interessato informazioni circa la pendenza del processo alla data di
presentazione del ricorso. L’un potere (quello di acquisire atti e documenti su
semplice istanza di parte) non può logicamente essere disgiunto dall’altro
(quello di richiedere informazioni sulla pendenza del medesimo processo a
una certa data), sol che si consideri che dalle stesse copie degli atti trasmessi
ben può emergere la pendenza del processo presupposto alla data che
interessa.
In tale direzione sembra muoversi Cass. n. 16367/11, che ha applicato il
principio espresso da Cass. n. 18603/05 — secondo cui il giudice non può
rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con
l’esercizio del potere d’iniziativa che la legge n. 89/01 gli concede —
annullando il decreto con cui la Corte di merito aveva respinto la domanda
perché il ricorrente non aveva dimostrato la pendenza davanti al giudice
amministrativo del giudizio che lo riguardava.
A conclusioni analoghe è pervenuta di recente Cass. n. 4103/13, la quale
ha ritenuto che il potere officioso di acquisizione di atti e documenti ex art. 3,
comma quinto, della legge 24 marzo 2001, n. 89 – che è coerente con il potere
di assumere informazioni previsto in generale per i procedimenti camerali
dall’art. 738 cod. proc. civ. – non consente, in presenza di una espressa
richiesta della parte in ordine a tale acquisizione, di considerarla onerata, al
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giudizio ordinario di cognizione), di richiedere all’ufficio giudiziario

fine della prova della tempestività della domanda, della produzione di atti e
documenti del processo presupposto, tra i quali va compreso sia l’avviso di
avvenuta notificazione della sentenza da parte dell’ufficiale giudiziario ex art.
112 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, sia l’avviso dell’avvenuta

annotarsi sull’originale della sentenza.
4. – L’accoglimento del primo motivo in rito, determina l’assorbimento del
secondo mezzo.
Infatti, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o
declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della
potestas iudicandi in relazione al merito della contro‘,, sia, abbia
impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte
soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è
ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale
ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella
parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito,
svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass. S.U. n. 3840/07).
5. – Per le considerazioni svolte, la sentenza impugnata va cassata con
rinvio alla Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese di
cassazione, di cui questa Corte fa espressa rimessione ex art. 385, 3 0 comma
c.p.c.

P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza
impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle
spese di cassazione.
7

notificazione dell’impugnazione ex art. 123 disp. att. cod. proc. civ., da

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile

della Corte Suprema di Cassazione, il 6.3.2014.

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