Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12678 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2722-2019 r.g. proposto da:

I.S., (cod. fisc.), I., elettivamente domiciliato in Roma

Viale Eritrea 96 presso lo studio dell’avvocato De Palma Claudia, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Martini Federica, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

5.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da I.S., cittadino della (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS) e di appartenere all’etnia (OMISSIS); ii) e di essere fuggito perchè perseguitato da persone della diversa etnia (OMISSIS), per motivi di natura etnico-politica.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata tutela; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla (OMISSIS), paese di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano e perchè non aveva allegato profili di vulnerabilità diversi da quelli già dedotti per le protezioni maggiori.

2. Il decreto, pubblicato il 5.11.2018, è stato impugnato da I.S. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Con ordinanza interlocutoria del 25.9.2020 è stato disposto rinvio in attesa della definizione, in pubblica udienza, della questione del diritto del richiedente asilo all’audizione giudiziale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 46 del 2017, art. 35 bis, comma 11, lett. a). Si duole il ricorrente della sua mancata audizione e deduce che ciò avrebbe determinato la violazione del principio del contraddittorio, del giusto processo e del diritto di difesa. Censura l’interpretazione dell’art. 35 bis citato fornita dal Tribunale, che assume abbia confuso le diverse ipotesi normative in cui è obbligatorio fissare l’udienza, rientrando il caso concreto nell’ipotesi di cui alla lett. a) di detta norma, non essendo disponibile la videoregistrazione dell’audizione del richiedente avvenuta avanti alla C.T.. Ad avviso del ricorrente, ciò avrebbe comportato l’impossibilità di fornire ulteriori prove a difesa e la mancata audizione, in violazione dei suindicati principi.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3. Si duole del giudizio di non credibilità della sua vicenda personale espresso dal Tribunale, lamenta il mancato approfondimento istruttorio sugli scontri tra le etnie (OMISSIS) e (OMISSIS) in (OMISSIS) e deduce che il Tribunale avrebbe mal interpretato i fatti raccontati, traendone conclusioni errate.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Deduce di aver soggiornato per circa due anni in Libia, ove era stato anche detenuto in carcere, prima di arrivare in Italia. Lamenta che il Tribunale non avrebbe valutato “la situazione culturale emotiva ed anagrafica del ricorrente durante il soggiorno in Libia”, e deduce di aver pertanto diritto al riconoscimento dello status di rifugiato.

4. Con il quarto motivo lamenta, in subordine, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Richiamando la normativa di riferimento, la giurisprudenza di questa Corte, nonchè informazioni reperibili dal sito (OMISSIS), dal report Amnesty International 2015-2016 e da articoli sugli scontri etnici, assume che in (OMISSIS) vi sarebbe una situazione di conflitto interno e violenza indiscriminata.

5. Con l’ultimo motivo lamenta, in ulteriore subordine, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In ordine al diniego del riconoscimento della protezione umanitaria, ribadisce l’attendibilità del suo racconto e si duole della valutazione delle prove in ordine al suo inserimento nel contesto italiano, richiamando la documentazione prodotta in primo grado circa la frequenza di corsi di lingua italiana e di formazione professionale, nonchè la sentenza di questa Corte n. 4455/2018. In ordine alla vulnerabilità, rimarca di essere scappato giovanissimo dalla Nigeria (pag. 18, rectius (OMISSIS)), di avere un livello minimo di scolarizzazione e deduce che in caso di rimpatrio sarebbe privo di mezzi di sostentamento.

6. Il ricorso è infondato.

6.1 Il primo motivo è, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.

6.1.1 Sotto il primo profilo ed in relazione alla questione dell’audizione del richiedente, giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento alla mancata audizione del richiedente in sede giurisdizionale in caso di procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).

6.1.2 Ciò posto, la doglianza articolata dal ricorrente sul punto qui in discussione risulta, in primis, infondata perchè – secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata (e qui confermata), non esiste un obbligo del giudice ad audire il richiedente – e, in secondo luogo, inammissibile perchè le censure articolate dal ricorrente si presentano comunque formulate in modo del tutto generico e dunque irricevibile, non avendo il richiedente spiegato e specificato, nel presente ricorso per cassazione, i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione avanzata innanzi ai giudici del merito e non avendo neanche dedotto la rilevanza ed utilità del predetto mezzo istruttorio.

6.2 Il secondo motivo è inammissibile.

6.2.1 Rileva il Collegio che, come chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie, il Tribunale di Milano ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., amplius, fol. 6-7 del decreto impugnato) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 683 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

6.3 Il terzo motivo è del pari inammissibile posto che non è possibile invocare l’obbligo di approfondimento istruttorio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8, comma 3 in relazione alle condizioni del paese di transito (Libia), in assenza di una allegazione che dimostri la possibilità di un rimpatrio in quel paese ovvero che deduca l’esistenza di una situazione di un trauma psicofisico per il passaggio in quel paese che possa integrare un’autonoma condizione di vulnerabilità rilevante per il rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è infatti ferma nel ritenere che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente, come già sopra evidenziato.

6.4 Il quarto motivo è anch’esso inammissibile.

Va evidenziato, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della (OMISSIS), giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel paese africano di provenienza del richiedente non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata, e ciò sulla base della consultazione di qualificate fonti di informazione internazionale.

6.5 Il quinto motivo – declinato invece come violazione di legge in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio in fatto sul profilo dell’integrazione sociale del richiedente nel nostro paese, scrutinio che – come è noto – è inibito a questa Corte di legittimità.

In ordine, poi, all’allegata condizione di vulnerabilità, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, ai fini dell’accertamento della condizione di vulnerabilità del richiedente, all’esito della valutazione comparativa tra le condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato ed il raggiunto grado di integrazione sociale nel nostro paese, la condizione di povertà del paese di provenienza può assumere rilievo ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, il ricorrente sarebbe esposto ove rimpatriato, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali (Sez. 1, Ordinanza n. 18443 del 04/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 17118 del 13/08/2020). Situazione quest’ultima nè allegata nè tanto meno dimostrata dal richiedente.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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