Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12677 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 25/06/2020), n.12677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.C.S. in proprio e nella qualità di l.r.p.t. di

PROGETTO CALCESTRUZZI di D.C.S. S.A.S., rappr. e dif.

dall’avv. Antonio Di Gaspare

antonio.digaspare.pec-avvocatiteramo.it, elett. dom. in Alba

Adriatica (TE) viale Mazzini n. 22, presso lo studio del medesimo,

come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

P.G., in proprio e quale l.r.p.t. di CO.GE.PA s.r.l.,

rappr. e dif. dall’avv. Roberta De Berardis, elett. dom. presso lo

studio di questa in Teramo, circonvallazione Ragusa n. 33,

roberta.deberardis.pec-avvocatiteramo.it, come da procura in calce

all’atto

-controricorrente-

FALLIMENTO PROGETTO CALCESTRUZZI di D.C.S. S.A.S., in

persona del curatore fallim. p.t.

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. L’Aquila 26.1.2017, n. 71/2017,

R.G. 946/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 26 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Massimo

Ferro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. D.C.S. in proprio e nella qualità di l.r.p.t. di PROGETTO CALCESTRUZZI di D.C.S. S.A.S. impugna la sentenza App. L’Aquila 26.1.2017, n. 71/2017, R.G. 946/2016, che ha accolto in parte il reclamo avverso la sentenza di fallimento Trib. Teramo 3.5.2016, così revocando la sentenza dichiarativa di fallimento quanto al socio D.C.S.;

2. per la corte risultavano: a) non viziato il procedimento di notifica dell’istanza di fallimento, già proposta dal creditore Co.Ge.Pa s.r.l., poichè effettuata alla sede della società debitrice, cancellata, respingendosi la doglianza che ne pretendeva l’effettuazione alla residenza del socio illimitatamente responsabile; b) sussistente il superamento delle soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall., comma 2, avuto riguardo al triennio degli esercizi (2014-2012) anteriore all’anno dell’istanza di fallimento, il 2015, e ai limiti di produzione dell’attività della debitrice, che ha omesso di depositare bilanci, dichiarazioni reddituali, libri inventari e registri IVA, limitandosi ad un “foglio di sette righe” con dentro attivo, ricavi e debiti del triennio e anche del 2015, senza altri documenti; c) sussistente invece il vizio di notifica al socio illimitatamente responsabile, non raggiunto da alcuna notifica personale, nè apparendo concludente il richiamo all’art. 15 e art. 147 L. Fall., in punto di fallimento in estensione, in difetto di prova che l’accomandatario nella specie fosse dotato di PEC o che fosse sufficiente la notifica alla sola società; la conseguenza era dunque la nullità della dichiarazione del fallimento individuale, senza rimessione al tribunale ai sensi dell’art. 354 c.p.c.;

3. con il ricorso, in due motivi, si contesta la decisione denunciando violazione: a) del D.P.R. n. 26 del 2005, art. 6, del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 45, del D.M. 2 novembre 2005, art. 6, art. 15 L. Fall., artt. 136-137 c.p.c., art. 45 disp. att. c.p.c., anche come vizio di motivazione, per avere la corte errato nel riconoscere i presupposti di validità della notifica alla società, difettando la prova dell’insuccesso del primo adempimento di cancelleria; b) dell’art. 1 L. Fall., oltre al vizio di motivazione, quanto ai presupposti di fallibilità erroneamente sussunti dalla corte dall’istruttoria documentale;

4. il creditore istante ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile, per taluni profili, e infondato per altri; esso difetta in primo luogo di specificità, poichè, pur evitando di contestare in modo più diretto l’operato attestativo del cancelliere, ne avversa l’attività certificatoria e senza però trascrivere gli estremi della sequenza notificatoria a quell’ufficio spettante e decisiva, solo se non possibile o priva di esito positivo, a dar corso, come avvenuto, alle altre due fasi del medesimo art. 15 o 3 L. Fall.;

2. in ogni caso va ripetuto, con indirizzo che merita continuità in difetto di nuove sollecitazioni nella specie non riproposte, che “in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, l’impossibilità di eseguire la notificazione in via telematica del ricorso e del decreto di convocazione innanzi al tribunale può essere attestata dal cancelliere, atteso che l’art. 15 L. Fall., comma 3, non prevede particolari modalità al riguardo, nè richiede la specifica allegazione del messaggio ritrasmesso dal gestore della posta elettronica certificata (PEC) attestante l’esito negativo dell’invio” (Cass. 8014/2017, 22352/2015);

3. il secondo motivo è inammissibile, posto che esso, per un verso, si esprime con critiche del tutto generiche e contraddittorie ove assomma la violazione di legge e, al contempo, il vizio di motivazione (Cass. 26874/2018); circa la distribuzione dell’onere della prova tra le parti in sede di istruttoria prefallimentare, è stato, per altro verso, ampiamente chiarito che l’art. 1 L. Fall., comma 2, pone innanzitutto a carico del debitore l’onere di provare di essere esente da fallimento, così gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri ivi prescritti, “mentre residua in capo al tribunale un potere di indagine officiosa finalizzato ad evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, che si esplica nell’acquisizione di informazioni urgenti (art. 15 L. Fall., comma 4), nell’utilizzazione dei dati dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino (e, dunque, a prescindere dalle allegazioni del debitore: art. 1 L. Fall., comma 2, lett. b,) e nell’assunzione dei mezzi di prova officiosi ritenuti necessari nel giudizio di impugnazione ex art. 18 L. Fall. Tale ruolo di supplenza, tendendo a colmare le lacune delle parti, è necessariamente limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive, ma non è rimesso a presupposti vincolanti” in quanto esso postula “una valutazione del giudice di merito circa l’incompletezza del materiale probatorio e l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè circa la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, sicchè, trattandosi di una facoltà necessariamente discrezionale, il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice non determina l’illegittimità della sentenza e, ove congruamente motivato, non è sindacabile in cassazione” (Cass. 8965/2019, 24721/2015); proprio la dubitata attendibilità delle modeste evidenze contabili depositate dalla società è stata alla base della alternativa lettura del dato ad opera del giudice di merito, senza che risulti una sollecitazione all’esercizio di maggiori e diversi poteri o una specifica censura in tal senso;

4. il motivo si diffonde anche richiamando documenti senza alcuna specifica indicazione di quale sia stata la rituale inserzione nel processo e al di là della rubrica, censurando – in quanto meramente non condivisa – una motivazione ampiamente ricognitiva dunque della criticità degli scarni dati contabili al 2015, considerati non attendibili e che, ricostruiti alla luce di parametri di attualità ed effettività, hanno condotto la corte a ritenere non raggiunta la prova della efficacia rappresentativa di poste integranti le soglie di cui all’art. 1 L. Fall., comma 2, oltre che la non insolvenza; in ogni caso, opera in tema il principio per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014);

il ricorso va, pertanto, rigettato; ne conseguono la condanna alle spese del procedimento, secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 5.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 1 5 % a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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