Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12677 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9541-2016 r.g. proposto da:

CREWELL s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante T.M., con sede in (OMISSIS),

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Mauro Ferruzzi, con cui elettivamente

domicilia in Roma, Viale Giuseppe Mazzini n. 144, presso lo studio

dell’Avvocato Alberto Seganti;

– ricorrente –

contro

B.U., (cod. fisc. (OMISSIS)) e BU.VA., (cod.

fisc. (OMISSIS)), rappresentati e difesi, giusta procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Giuseppe Chinaglia,

con il quale elettivamente domicilia in Roma, Via De Petris n. 86;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in

data 12.10.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. B.U. e Bu.Va. incardinarono giudizio arbitrale nei confronti di Crewell s.r.l. al fine della determinazione del saldo prezzo relativo alla cessione di quote sociali di Crewell s.r.l. effettuata dagli stessi in favore di MGF s.r.l., società poi fusa in Crewell s.r.l..

2. Con lodo pronunciato il 2.7.2013, l’arbitro unico, dopo aver espletato c.t.u., condannò la Crewell s.r.l. al pagamento in favore di B.U. e Bu.Va. della somma pari ad Euro 188.427,11, oltre interessi, in relazione al versamento del valore di cessione delle quote, sulla base del rilievo che il criterio di determinazione del prezzo in base al capitale circolante netto risultante dalla situazione patrimoniale della società comportava la necessità di individuare una situazione patrimoniale veritiera e in particolare un capitale circolante netto vero e reale, imponendo ciò anche la svalutazione dei crediti difficilmente esigibili del 50%.

3. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha rigettato l’impugnativa del lodo presentata da Crewell s.r.l. nei confronti di B.U. e Bu.Va., condannandola anche alle spese processuali.

La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che non era fondata la censura in ordine alla lamentata contraddittorietà tra dispositivo e motivazione ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e n. 11, posto che la censura non indicava ove si radicasse la pretesa contraddizione e che la stessa si risolveva in una doglianza sul merito della valutazione arbitrale e sulla correttezza delle risultanze arbitrali; ha inoltre osservato che la motivazione del lodo consentiva di ricostruire l’iter logico e giuridico seguito dall’arbitro, avendo quest’ultimo specificato che, quando ad un contratto preliminare segua un definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte regolatrice dei rapporti intercorsi tra le parti, e facendo tuttavia salva la necessità di accertare una situazione patrimoniale veritiera e un capitale netto vero e reale, secondo la volontà negoziale espressa dalle parti nel contratto preliminare; ha dunque accertato il corrispettivo dovuto sulla base delle indicazioni della c.t.u., con il correttivo di applicare una “presunzione di equità” per i crediti non riscossi e di difficile esigibilità; ha evidenziato che non era neanche rintracciabile la lamentata nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e n. 11, in ordine alla quantificazione del valore della quota della società, anche in relazione al valore del credito di Ageo s.r.l., in assenza di una contraddittorietà interna alla motivazione impugnata.

2. La sentenza, pubblicata il 12.10.2015, è stata impugnata da Crewell s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura, cui B.U. e Bu.Va. hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo ed unico motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 11. Si evidenzia, in primis, l’erroneità della decisione impugnata in merito alla relazione intercorrente tra il contratto definitivo ed il contratto preliminare. Osserva la ricorrente che dallo stesso tenore letterale dei contratti (preliminare e definitivo) che si sono succeduti si evince che le parti avessero voluto far sopravvivere le disposizioni relative alla determinazione del prezzo previste nel contratto preliminare anche in sede di contratto definitivo, con la conseguenza che risultava erronea la mancata valutazione del valore della quota sulla base del cd. capitale circolante netto e la preferenza per un criterio equitativo.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1 Sul punto, va premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio – nella vigenza della normativa precedente, prima dell’intervento novellatore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (normativa quest’ultima applicabile ratione temporis al caso di specie, essendo la domanda di arbitrato stata presentata in data 14.11.2011) – secondo cui, in tema di arbitrato, la sanzione di nullità prevista dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, per il lodo contenente disposizioni contraddittorie (corrispondente a quella prevista, per la medesima fattispecie, dall’odierno art. 829 c.p.c., comma 1, n. 11) non corrisponde a quella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma va intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini l’impossibilità assoluta di ricostruire l'”iter” logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 11895 del 28/05/2014; v. anche N. 3768 del 2006).

2.2 Ciò posto, va rilevato che la Corte lagunare ha correttamente applicato il principio di diritto sopra ricordato, evidenziando l’insussistenza del denunciato vizio di nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 11, per come declinato dalla giurisprudenza di legittimità da ultimo citata, e riscontrando invece che il lodo arbitrale era corredato da una motivazione che spiegava l’iter logico e giuridico seguito dal giudice arbitrale per addivenire alla determinazione del valore della quota ceduta.

Ne consegue che la doglianza così prospettata dalla società ricorrente innanzi a questa Corte di legittimità, come già innanzi alla Corte di merito, si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione (peraltro, anche genericamente formulata) della metodologia utilizzata dal giudice arbitrale per la determinazione del valore della quota che esula dall’ambito applicativo sanzionatorio di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 11, norma quest’ultima che dispone la sanzione di nullità del lodo solo allorquando la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione determini l’impossibilità assoluta di ricostruire l'”iter” logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale.

Tale conclusione non è rintracciabile nel caso in esame posto che la corte di merito ha evidenziato la metodologia seguita dal giudice arbitrale per giungere alla determinazione del valore della quota societaria oggetto di cessione, rilevando che il criterio di determinazione del prezzo in base al capitale circolante netto risultante dalla situazione patrimoniale della società comportava la necessità di individuare una situazione patrimoniale veritiera e in particolare un capitale circolante netto vero e reale, con la conseguente svalutazione dei crediti difficilmente esigibili del 50%.

Le doglianze così prospettate si risolvono dunque in un’irricevibile richiesta di rivalutazione del merito della decisione arbitrale.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità della censura.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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