Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12674 del 20/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/06/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 20/06/2016), n.12674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DORONZO Adriano – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CAVVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9705-2011 proposto da:

UNIVERSITA’ STUDI NAPOLI FEDERICO II, C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.A., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

M.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BICE VALORI 21, presso lo studio

dell’avvocato ANNAMARIA CIRILLO, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIACOMO MATRONE, PAOLO PIROZZI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

UNIVERSITA’ STUDI NAPOLI FEDERICO II, C.F. (OMISSIS), domiciliato

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 8199/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/12/2010 R.G.N. 1844/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato MATRONE GIACOMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto principale

assorbimento incidentale condizionato.

Fatto

Con sentenza depositata il 29.12.2010, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della statuizione di prime cure, dichiarava infondata la pretesa creditoria fatta valere mediante ingiunzione fiscale dall’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nei confronti di M.A., avente ad oggetto il rimborso della quota di contributi posti a carico di quest’ultima con provvedimento emesso dal commissario ad acta in sede di ottemperanza del giudicato amministrativo che aveva accertato la natura subordinata delle prestazioni dai lei rese all’Università dal 1981 al 1993, e al cui pagamento aveva nelle more provveduto la stessa Università.

La Corte territoriale anzitutto reputava ammissibile il ricorso dell’amministrazione alla procedura di riscossione di cui al R.D. n. 639 del 1910, art. 2 richiamando all’uopo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui l’ingiunzione fiscale sarebbe sopravvissuta all’abrogazione disposta dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, quanto meno nella sua componente di atto di accertamento della pretesa creditoria dell’ente pubblico idoneo a dar vita ad un ordinario giudizio di merito in ordine alla sua fondatezza, e nel merito accoglieva il gravame della lavoratrice sul rilievo che alla trattenuta da parte del datore di lavoro della quota di contributi previdenziali gravante sul lavoratore non poteva farsi luogo allorchè il datore di lavoro fosse rimasto inadempiente all’obbligazione contributiva, dovendosi egli in questo caso ritenersi debitore esclusivo anche della parte gravante sul lavoratore.

Per la cassazione di questa pronuncia ricorre l’Università affidandosi a tre motivi. Resiste M.A. con controricorso, con il quale propone ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del principale e articolato in due motivi.

L’Università ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

Diritto

Con il primo motivo del ricorso principale, l’Università deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 416 c.p.c., anche in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito dato ingresso alla doglianza concernente la legittimità della rivalsa L. n. 281 del 1952, ex art. 23, nonostante che essa fosse stata prospettata solo nella prima udienza di trattazione del giudizio di primo grado.

Con il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, l’Università lamenta violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.nonchè della L. n. 1034 del 1971, art. 27 per avere la Corte territoriale ignorato l’eccezione di giudicato esterno costituito dal provvedimento con cui, nel giudizio di ottemperanza promosso dalla lavoratrice vittoriosa nel giudizio amministrativo volto ad accertare la natura subordinata delle prestazioni da lei rese tra il 1981 e il 1993, il commissario ad acta aveva disposto che l’Università provvedesse sia al pagamento dei contributi previdenziali relativi all’intero periodo che al recupero della quota di spettanza della lavoratrice.

Tanto premesso, va senz’altro rilevata l’inammissibilità del primo motivo di censura: è sufficiente sul punto rilevare che l’Università non ha nè trascritto nel corpo del ricorso il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado nè indicato in quale luogo del fascicolo d’ufficio o di parte esso si troverebbe, così violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, siccome adesso codificato dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.

Circa il secondo e terzo motivo del ricorso principale, va anzitutto ricordato che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (v. da ult.

Cass. n. 4036 del 2014). E poichè, nella specie, pur essendo entrambi i motivi intitolati alla violazione dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 2909 c.c. e L. n. 1034 del 1971, art. 27 la doglianza chiaramente espressa concerne il fatto che la Corte territoriale non si sia pronunciata sull’eccezione di giudicato esterno, deve ritenersi irrilevante l’omesso richiamo dell’art. 112 c.p.c., in disparte il fatto che, nel secondo motivo di ricorso, la violazione delle norme citt. è comunque dedotta “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, ossia quale error in procedendo.

Nel merito, i motivi sono fondati.

Costituisce ormai diritto vivente il principio secondo cui il giudicato esterno va assimilato ad un elemento normativo della fattispecie, rispetto al quale la cognizione in sede di legittimità è piena e non incontra il limite dell’interpretazione del giudice di merito (v. Cass. S.U. n. 226 del 2001, seguita sul punto da Cass. S.U. 10977 del 2001 e, più di recente, da Cass. nn. 26041 del 2010, 544 del 2011 e 8029 del 2014), dovendosi la sua efficacia assimilare a quella delle norme di diritto (Cass. S.U. n. 13916 del 2006) e potendo pertanto il giudice di legittimità accertarne l’esistenza e la portata con cognizione che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti anche di fatto (Cass. n. 21200 del 2009).

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, adito a suo tempo dall’odierna controricorrente per il riconoscimento della natura subordinata delle prestazioni svolte a beneficio dell’Università nel periodo 1981-1993, ha dapprima condannato l’amministrazione ricorrente “al pagamento delle relative prestazioni contributive” (sent. n. 4134 del 2001) e quindi, essendo l’amministrazione medesima rimasta inottemperante al giudicato, ha nominato quale commissario ad acta il dirigente dei servizi amministrativi dell’Università affinchè adottasse “tutti gli atti occorrenti ai fini dell’ottemperanza” (sent. n. 5444 del 2002), individuando nell’INPDAP l’ente previdenziale destinatario della contribuzione (sent. n. 7962 del 2003).

Ora, è precisamente in questo quadro che va collocato il provvedimento con cui il commissario ad acta, in esecuzione della sentenza n. 5444 del 2002 del Consiglio di Stato, ha disposto in data 27.1.2004 sia che l’amministrazione provvedesse al versamento dei contributi previdenziali in favore dell’odierna controricorrente, sia che effettuasse “il recupero della quota di contributi” a suo carico.

Contrariamente a quanto sostenuto, al riguardo, dalla controricorrente, non è vero che il provvedimento in questione non costituisse una statuizione di merito relativa alla sussistenza e alla misura dell’obbligo a carico della dipendente, per la quale invece l’interesse a contestare la pretesa sarebbe diventato attuale solo a seguito della notifica dell’ingiunzione: al contrario, va ribadito in questa sede che l’attività del commissario ad acta, pur morfologicamente non disomogenea rispetto a quella cui sarebbe tenuta la p.a. inadempiente, si fonda su di un ordine contenuto nella decisione dell’autorità giurisdizionale amministrativa e a quest’ultima inscindibilmente si lega giusta un nesso di strumentalità necessaria, con conseguente riferibilità allo stesso giudice dell’ottemperanza degli atti posti in essere dal commissario (Cass. n. 20105 del 2009).

Segue da quanto sopra che, essendo stata la lavoratrice parte del giudizio in cui detto provvedimento fu adottato, era suo onere impugnarlo, ove lo avesse ritenuto lesivo, in sede di procedimento R.D. n. 1054 del 1924, ex art. 27, n. 4, in applicazione, del più generale principio secondo il quale l’organo legittimato a conoscere delle vicende attinenti all’esecuzione di un giudicato non può che essere quello che presiede all’esecuzione medesima (così ancora Cass. n. 20105 del 2009, cit.). E ulteriormente che, non essendo stata esperita l’impugnazione prevista dalla legge, la statuizione relativa alla sussistenza e alla misura dell’obbligazione a suo carico non può più essere rimessa in discussione avanti alla giurisdizione ordinaria, potendo in questa sede farsi a tutto concedere questione di accertamento dell’esistenza del titolo e del rispetto formale della procedura azionata (nei limiti di cui si dirà infra), ma risultando viceversa interdetto dall’effetto preclusivo del giudicato esterno l’esame di ogni aspetto sostanziale della vicenda.

Ciò posto, è agevole verificare che la Corte territoriale non solo non ha tenuto conto dell’eccezione debitamente formulata dall’amministrazione, ma ha del tutto omesso di statuire al riguardo:

il che non può portare che all’accoglimento dei motivi di ricorso e alla cassazione della sentenza impugnata.

Deve quindi esaminarsi il ricorso incidentale, che la controricorrente ha espressamente condizionato all’accoglimento del ricorso principale.

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 1910, art. 1 sostenendosi che, a seguito delle modifiche disposte dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, comma 2, di codesta speciale procedura potrebbero avvalersi soltanto lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni, non già altri enti pubblici come appunto le università.

Con il secondo motivo, si denuncia invece violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 125 c.p.c. e alla L. n. 15 del 2005, art. 21-septies, per essere l’ingiunzione notificata priva di sottoscrizione da parte del legale rapp.te dell’Università.

Entrambi i motivi sono inammissibili. Questa Corte ha da tempo posto il principio secondo cui il difetto delle condizioni di legittimità o di ammissibilità del ricorso alla procedura d’ingiunzione fiscale non esclude la necessità di un giudizio di merito sulla pretesa creditoria, atteso che nel giudizio di merito che fa seguito all’opposizione a tale ingiunzione l’oggetto del giudizio è rappresentato dalla fondatezza o meno del diritto di credito fatto valere dall’ente pubblico (Cass. n. 3706 del 1987 e, più recentemente, Cass. n. 8335 del 2003, richiamata dalla, sentenza impugnata). E poichè nel caso dell’ingiunzione fiscale, a differenza che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non vi sono statuizioni concernenti le spese processuali che debbano essere caducate qualora l’ingiunzione medesima sia stata emessa al di fuori dei cast previsti dalla legge, deve concludersi che l’impugnazione dell’ingiunzione fiscale per soli motivi riguardanti il difetto delle condizioni di legittimità o ammissibilità del ricorso alla procedura di cui al R.D. n. 639 del 1910, ovvero per vizi di regolarità formale dell’atto, non è sorretta da alcun valido interesse ad impugnare.

Conclusivamente, vanno accolti il secondo e il terzo motivo del ricorso principale e dichiarati inammissibili il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa – previa cassazione della sentenza impugnata – va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 con la condanna di M.A. a pagare all’Università degli Studi di Napoli “Federico II” la somma di cui all’ingiunzione fiscale notificatale il 12.4.2005, oltre interessi legali dalla data della notifica al soddisfo.

Le alterne vicende di merito costituiscono giusto motivo per compensare le spese dell’intero processo.

PQM

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso principale, dichiarati inammissibili il primo e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna M.A. a pagare all’Università degli Studi di Napoli “Federico II” l’importo di cui all’ingiunzione fiscale notificatale il 12.4.2005, oltre interessi legali dalla data della notifica. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2016

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