Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12674 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10335/2020 proposto da:

N.U.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Diroma, come

da procura speciale a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4640/2019,

pubblicata il 25 ottobre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 marzo 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 25 ottobre 2019, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da S.A., alias N.U.A., cittadino nato a (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 17 luglio 2018, che aveva respinto il ricorso proposto nei confronti della decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte di appello ha ritenuto il gravame proposto manifestamente infondato ritenendo che la vicenda del richiedente (che aveva riferito di essersi allontanato dal proprio paese in seguito ad una inondazione che aveva distrutto la casa e i campi della sua famiglia nel 2014 e che il padre aveva richiesto un prestito in banca di circa 4.000,00 Euro per farlo emigrare in cerca di una vita migliore) e le ragioni del suo allontanamento erano riconducibili alla situazione di un migrante economico e, pertanto, non rientrante in alcuna delle ipotesi di protezione internazionale; ciò tenuto conto anche di alcuni aspetti di non credibilità del racconto, stante la dichiarazione di due identità diverse e la circostanza che il padre avesse ottenuto un prestito dalla banca pur avendo perso tutto nell’alluvione ed anche della situazione esistente nel paese di provenienza alla luce delle fonti internazionali aggiornata al 2017/2018, espressamente richiamate; nemmeno poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, non essendo stati allegati elementi idonei a definire la durata dell’esposizione al rischio, nè poteva essere valorizzato l’iniziale inserimento lavorativo, trattandosi di circostanza del tutto estranea alla protezione umanitaria, in ogni caso preclusa dalla valutazione di non credibilità del richiedente.

3. N.U.A. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 16 della direttiva 2013/32/UE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non avendo la Corte di appello dato modo al ricorrente di spiegare il perchè avesse fornito generalità diverse, ciò in ottemperanza all’obbligo di cooperazione del giudice previsto dalle norme richiamate.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, lett. g), art. 3 e art. 14, lett. a) e b) e l’omesso esame di fatti decisivi risultanti dall’istruttoria e specificamente delle informazioni COI, nonchè della circostanza che la banca aveva concesso il prestito perchè egli aveva esibito il visto che gli consentiva di andare in Libia per lavoro.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili.

2.2 Ed invero, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019).

Il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

La Corte di appello, confermando le valutazioni del giudice di primo grado, ha, infatti, ritenuto, con una ratio decidendi che non è stata affatto censurata dal ricorrente, che i motivi di allontanamento prospettati nel ricorso erano di natura essenzialmente economica e ha, poi, evidenziato alcuni aspetti di non credibilità del racconto, con specifico riferimento alla dichiarazione di due identità diverse (nemmeno spiegata in questa sede) e alla circostanza che il padre (e non il figlio che aveva avuto il visto di lavoro per la Libia) avesse ottenuto un prestito dalla banca pur avendo perso tutto nell’alluvione.

2.3 In merito alla censura relativa alla mancata audizione del ricorrente, questa Corte ha ripetutamente affermato che nessuna violazione processuale è ravvisabile, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass., 29 maggio 2019, n. 14600).

Vi è semmai il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire, situazione giuridica soggettiva quest’ultima, tuttavia, cui si collega il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (Cass., 7 febbraio 2018, n. 3003).

Questa Corte, di recente, ha affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).

Ancor più di recente è stato ribadito che l’audizione non è un obbligo, ma una facoltà che ha come presupposto imprescindibile l’esplicitazione dei motivi della decisione assunta al riguardo, a fronte della quale non si pone il diritto potestativo del ricorrente, come sarebbe se al fondo di essa fosse riscontrabile un incombente processuale automatico, necessariamente insito nella fissazione dell’udienza e tale da impedire al giudice di rigettare altrimenti la domanda e che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass., 11 novembre 2020, n. 25312).

2.4 Anche in ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) la Corte di appello ha affermato, con una ratio decidendi ancora una volta non specificamente censurata, che il ricorrente non aveva nemmeno prospettato il rischio di subire la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o ancora la possibilità di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo paese di origine, richiamando sul punto specifiche fonti alle pagine 7 e 8 del provvedimento impugnato che escludevano l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine.

Peraltro, i giudici di appello hanno disconosciuto verosimiglianza alle dichiarazioni del richiedente, con la conseguente preclusione, di un accertamento, anche con l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, sulla ascrivibilità delle vicende persecutorie raccontate alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lettere a) e b) (Cass., 29 magio 2020, n. 10286).

In ultimo, va rilevato che, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass., 21 ottobre 2019, n. 26728).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per motivazione apparente, non avendo la Corte d’appello specificato quali erano le parti dell’ordinanza di primo grado che non erano state censurate; non avendo la Corte di appello spiegato perchè quanto allegato non comportava esposizione a rischio ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, nè perchè l’inserimento lavorativo era circostanza estranea alla protezione umanitaria.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e la violazione dell’art. 8 CEDU in tema di protezione umanitaria, avendo la Corte d’appello negato rilievo alla marcatissima integrazione lavorativa del ricorrente, da anni impegnato in regolari attività lavorative, con conseguente versamento di imposte e contributi; la Corte d’appello aveva omesso di valutare la situazione individuale di violazione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio e l’emergenza climatica esistente in (OMISSIS).

4.1 Le esposte censure, che vanno trattate unitariamente perchè connesse, sono inammissibili.

4.2 I motivi, infatti, trascurano del tutto di censurare il primo iter argomentativo della corte del merito, laddove essa ha escluso il riconoscimento della protezione umanitaria sia per la ritenuta non credibilità del ricorrente, sia per la mancanza di qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio.

Ed infatti, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una decisione che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione del provvedimento, per tutte le ragioni che autonomamente lo sorreggano (Cass., 12 ottobre 2007, n. 21431).

Peraltro, anche in questa sede il ricorrente non indica specifici e individualizzanti profili di sua vulnerabilità, ma si limita a richiamare, genericamente, da un lato la situazione individuale di violazione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio e l’emergenza climatica esistente in (OMISSIS) e dall’altro ad allegare il proprio inserimento sociale e lavorativo (che la Corte, peraltro, richiama definendolo “iniziale”), non indicando una situazione di grave compromissione dei diritti fondamentali a lui specificamente riferita.

4.3 Non è nemmeno ravvisabile la carenza assoluta di motivazione, poichè la motivazione dettata dalla Corte territoriale, pur sintetica, è esistente e consente di ricostruire il percorso logico seguito.

In proposito, è utile ribadire che il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre ogni qualvolta il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logico-giuridica, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

5. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

 

 

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