Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12671 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8883/2016 proposto da:

Regione Puglia, nella persona del Presidente pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Federico Rutigliano, con il quale

è elettivamente domiciliato in Roma, al viale di Villa Pamphili, n.

33 (c/o Avv. Giovanni Rampino), giusta procura speciale a margine

del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Provincia di Foggia, nella persona del Presidente pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Enrico Palmadessa, giusta mandato

su foglio separato allegato in calce al controricorso, elettivamente

domiciliata in Roma alla via San Tommaso d’Aquino, n. 80, presso lo

studio dell’Avv. Simona Bozza;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BARI n. 51/2016,

pubblicata il 25 gennaio 2016, notificata in data 4 febbraio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/03/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Bari ha rigettato l’appello proposto dalla Regione Puglia, nei confronti della Provincia di Foggia, avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 1996/11 dell’8 giugno 2011, che aveva dichiarato inammissibile la domanda della Regione attrice perchè coperta da giudicato, in quanto il decreto ingiuntivo emesso il 23 febbraio 1995 non era stato opposto, con condanna alle spese di lite.

2. La Regione Puglia aveva agito per l’accertamento dell’inadempimento della Provincia di Foggia alle obbligazioni derivanti dalla convenzione stipulata in data 24 settembre 1990, n. 2641, con la quale la Regione aveva affidato alla Provincia, L. n. 845 del 1978, ex art. 5 la realizzazione dell’azione formativa per tre corsi di formazione, in relazione ai quali l’onere era a carico dei fondi statali, e la risoluzione della convenzione, con la condanna della Provincia alla restituzione della somma percepita a titolo di acconto pari a Euro 789.951,82 o a quella diversa accertata in corso di causa, oltre accessori.

3. Nelle more del giudizio amministrativo promosso dalla Provincia che aveva ad oggetto la legittimità del provvedimento di revoca dei finanziamenti per i corsi di formazione assunto dalla Regione Puglia con Delib. G.R. 28 dicembre 1993, n. 5625 (conclusosi con sentenza del 4 febbraio 1997 del TAR Puglia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse e sentenza del 10 giugno 2003 del Consiglio di Stato di inammissibilità per difetto di giurisdizione), la Provincia di Foggia aveva ottenuto dal Presidente del Tribunale di Foggia un decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme che la Regione avrebbe dovuto versare, a titolo di acconto (60% dei fondi stanziati, in virtù della richiamata convenzione.

4. I giudici di secondo grado, a sostegno della decisione impugnata, hanno affermato che la Regione aveva chiesto la restituzione della stessa somma oggetto del decreto ingiuntivo e in virtù dello stesso titolo costitutivo del credito (rappresentato dalla concessione del finanziamento per l’espletamento dei corsi di formazione professionale) nei confronti della quale la Regione chiedeva, nel processo, l’accertamento della risoluzione per le motivazioni che erano state poste a base della Delib. di Giunta 28 dicembre 1993, n. 5625; che il petitum e la causa petendi erano, pertanto, gli stessi esistenti e precedenti al procedimento monitorio e i fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito avrebbero dovuto essere rappresentati in sede di opposizione al decreto ingiuntivo; che sul punto si era, quindi, formato il giudicato sostanziale che copriva non solo l’esistenza del credito ingiunto, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione non dedotti con l’opposizione.

5. La Regione Puglia ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Bari con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

6. La Provincia di Foggia ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Va preliminarmente rigettata, perchè infondata, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Provincia controricorrente sul presupposto che lo stesso sarebbe stato proposto in violazione del disposto di cui all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1, posto che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., introdotta dalla L. 69 del 2009, art. 47 non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (Cass., 8 febbraio 2011, n. 3142).

2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte territoriale erroneamente affermato che il petitum e la causa petendi del giudizio proposto dalla Regione e del giudizio monitorio non erano diversi.

3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo errato la Corte nel ritenere esistente un fatto, comune ad entrambi i giudizi, che in realtà non emergeva dal compendio probatorio versato in atti, stante che con la Delib. di Giunta 28 dicembre 1993, n. 5625 la Regione non si era rifiutata di corrispondere l’acconto, ma aveva disposto di porre a carico dell’Amministrazione provinciale il costo totale sostenuto per l’attività formativa a causa del mancato raggiungimento delle finalità progettuali.

3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono fondati.

3.2 E’ utile premettere che il giudice di legittimità è tenuto ad accertare l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena, che si estende anche al riesame degli atti del processo ed alla diretta loro valutazione ed interpretazione, anche mediante accertamenti di fatto, indipendentemente dalla motivazione della sentenza impugnata. Ciò in ragione della riconosciuta natura pubblicistica dell’interesse al rispetto del giudicato; della ritenuta indisponibilità per le parti dell’autorità di quest’ultimo; della ravvisata identità dell’operare dei due tipi di giudicato, interno ed esterno; della inclusione delle correlative questioni nella sfera delle questioni di diritto piuttosto che in quella delle questioni di fatto (Cass., 10 dicembre 2015, n. 24952; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24162).

E’ stato, conseguentemente, affermato che costituendo l’interpretazione del giudicato operata dal giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma, una quaestio la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge e gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano quali errori di diritto (Cass., Sez. U., 28 novembre 2007, n. 24664; Cass., 5 ottobre 2009, n. 21200; Cass., 6 giugno 2011, n. 12159; Cass., 29 novembre 2018, n. 30838). 3.3 Anche il giudicato esterno derivante da un decreto ingiuntivo non opposto, in quanto provvisto di “vis imperativa” e indisponibilità per le parti, va assimilato agli “elementi normativi”, sicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 preleggi e ss., con conseguente sindacabilità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (Cass., 29 novembre 2018, n. 30838).

3.4 L’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass., 8 marzo 2018,n. 5508).

3.5 Sul punto, la Corte di appello di Bari ha argomentato in maniera specifica, evidenziando che gli elementi costitutivi dell’azione monitoria erano gli stessi di quelli posti a fondamento della successiva domanda formulata dalla Regione Puglia e gli elementi dell’azione monitoria (peraltro non contestati dalla Provincia controricorrente) sono stati riportati nel ricorso per cassazione nel rispetto del principio di autosufficienza.

3.6 Ciò posto, l’esame delle censure non può prescindere dal principio secondo cui l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di “petitum” e di “causa petendi”, ai fini della cui individuazione rilevano non tanto le ragioni giuridiche enunciate dalla parte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto che la parte stessa pone a base della propria richiesta, essendo compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa (Cass., 24 marzo 2014, n. 6830; Cass., 25 giugno 2018, n. 16688).

3.7 Sulla base di tale principio si innesta la giurisprudenza richiamata anche dalla Corte territoriale secondo cui “il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione”, pur con la doverosa precisazione che il giudicato sostanziale “non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo” (Cass., 11 maggio 2010, n. 11360; Cass., 23 luglio 2015, n. 15493; Cass., 18 luglio 2018, n. 19113).

Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il decreto ingiuntivo non opposto è provvedimento idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sia sulla regolarità formale del titolo che sulla esistenza del credito, tanto in ordine al soggetto che all’oggetto, con la conseguenza che la sua efficacia si estende – per quanto attiene alle statuizioni contenute in dispositivo, come agli accertamenti risultanti in motivazione, ed alle questioni che di quelle decise costituiscono la premessa necessaria o il fondamento logico-giuridico – ad un successivo giudizio avente ad oggetto una domanda fondata sullo stesso rapporto (Cass., 14 luglio 2000 n. 9335).

3.8 Una volta ammesso che l’autorità di giudicato del decreto ingiuntivo opposto estenda i suoi effetti anche all’esistenza del rapporto giuridico presupposto, occorre però compiere una indagine completa sulle premesse del decreto ingiuntivo, per stabilire se il loro contenuto copra il dedotto e il deducibile e se l’accertamento precluda l’esame di altri effetti giuridici conseguenti al rapporto dedotto.

D’altro canto, il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo (Cass. 24 novembre 2000 n. 15178, 11 giugno 1998n. 5801; Cass. SS.UU. 16 novembre 1998, n. 11549).

3.9 Ciò posto, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che “affinchè possa esplicarsi l’efficacia di giudicato è necessaria non solo l’identità soggettiva, ma anche quella oggettiva tra il rapporto definito e quello da definire; pertanto, se del rapporto controverso mutano alcuni elementi con conseguente venir meno della originaria causa petendi il pregresso giudicato cessa di operare” (Cass. 19 aprile 2000 n. 5092, cfr. anche Cass. 14 luglio 2000 n. 9335).

L’apprezzamento del giudicato esterno al fine di determinare gli elementi soggettivi ed oggettivi fondamentali e di stabilire il rapporto tra tali elementi e quelli del giudizio in cui il giudicato è invocato, nonchè se tra la lite esaurita e quella in corso esistano identità di soggetti, oggetto e causa petendi, si risolve in un apprezzamento di fatto del giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità, sempre che sia stato adeguatamente motivato e non siano stati violati i principi giuridici fondamentali sull’essenza del giudicato e sui suoi limiti oggettivi e soggettivi (Cass., 17 giugno 2003; n. 9685; Cass., 21 febbraio 2019, n. 5138).

3.10 Orbene, la ricostruzione in fatto della vicenda processuale in esame è di per sè sufficiente a palesare l’errore in cui è incorsa la Corte di appello nel ritenere che l’oggetto della presente controversia fosse identico a quello del giudizio monitorio e come tale costituente giudicato, non essendo ravvisabili, nella specie, i presupposti necessari per l’operatività della preclusione, e segnatamente l’identità tra la domanda proposta nel giudizio monitorio e quella in esame.

Il decreto ingiuntivo non opposto, infatti, ha riguardato il pagamento della somma vantata a titolo di acconto pari al 60% dell’intero contributo dovuto e concesso dal Ministero del Tesoro; mentre il giudizio in atto ha, invece, ad oggetto le domande di accertamento dell’inadempimento da parte della Provincia di Foggia delle obbligazioni nascenti dalla Convenzione n. 2950 del 28 maggio 1990, di risoluzione del contratto e di ripetizione dell’indebito.

Deve, pertanto, escludersi l’identità tra le due controversie, caratterizzate da causa petendi e petitum diversi e fondate su titoli che, pur riferendosi formalmente ad un unico atto (la convenzione n. 2950 del 28 maggio 1990), restano distinti sotto il profilo sostanziale e la cui diversità consente di escludere l’applicabilità del principio, invocato dalla difesa della Provincia controricorrente, secondo cui il giudicato formatosi in ordine alla domanda monitoria, coprendo il dedotto ed il deducibile, impedisce di far valere in altra sede l’inadempimento della Provincia e la risoluzione della convenzione, sicuramente profili diversi da quelli dedotti nel precedente giudizio monitorio.

Deve, infatti, ribadirsi, che l’autorità del giudicato sostanziale opera, infatti, soltanto entro i rigorosi limiti rappresentati dagli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone quindi che la causa precedente e quella in atto abbiano in comune, oltre ai soggetti, anche il petitum e la causa petendi, restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione (Cass., 24 marzo 2014, n. 6830).

Ciò, peraltro, senza prescindere dalla circostanza che il giudizio in atto ha fatto seguito alla definizione del contenzioso amministrativo, promosso dalla Provincia di Foggia, avente ad oggetto la deliberazione della G.R. n. 5625 del 28 dicembre 1993, con la quale la Regione aveva disposto di porre a carico dell’Amministrazione provinciale il costo totale sostenuto per l’attività formativa a causa del mancato raggiungimento delle finalità progettuali, conclusosi con sentenza del Consiglio di Stato del 19 giugno 2003, a fronte del decreto ingiunto emesso in data 23 febbraio 1995 e del presente giudizio introdotto con atto di citazione notificato il 24 gennaio 2009, che costituisce una sopravvenienza inerente la disciplina del rapporto, idonea ad impedire alla decisione di estendere i suoi effetti anche per il futuro.

4. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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