Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12668 del 20/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/06/2016, (ud. 27/01/2016, dep. 20/06/2016), n.12668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28738-2014 proposto da:

A.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA EUCLIDE 31, presso lo studio dell’avvocato AMALIA

FALCONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

JOEPLAST S.P.A., P.I. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1735/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/09/2014 R.G.N. 695/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato FALCONE AMALIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18/9 – 30/9/2014 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il reclamo proposto da A.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Agrigento che gli aveva respinto l’opposizione all’ordinanza con la quale il medesimo organo giudicante gli aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento intimatogli dalla società Joeplast s.p.a. con nota del 18/10/2012.

Ha osservato la Corte d’appello che la sussistenza del giustificato motivo oggettivo era stata dimostrata dalle prove testimoniali dalle quali si evinceva la soppressione, a, seguito di riorganizzazione aziendale, del posto di responsabile della produzione del reparto stampa cui era stato addetto il ricorrente, le cui funzioni erano state ripartite tra il responsabile di produzione aziendale ed i capi reparto. Inoltre, il lavoratore non aveva allegato il fatto dell’inosservanza dell’obbligo datoriale di “repechage”, per cui poteva ritenersi raggiunta la prova della legittimità del licenziamento.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’ A. con tre motivi.

Rimane solo intimata la società Joeplast s.p.a.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 nonchè l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, dolendosi del fatto che la Corte di merito aveva ritenuto raggiunta la prova della sussistenza del giustificato motivo oggettivo del suo licenziamento, pur in assenza di qualsiasi elemento atto a dimostrare l’effettività delle ragioni (crisi economica, riduzione della produzione, riorganizzazione aziendale) indicate dalla datrice di lavoro a giustificazione del recesso.

Invece, secondo il ricorrente, la Corte d’appello si era limitata a valutare la legittimità, del licenziamento alla stregua della soppressione del posto di lavoro da lui precedentemente occupato, disinteressandosi, in tal modo, delle effettive motivazioni che avevano indotto la società convenuta ad adottare tale decisione.

Analisi, questa, che, se effettivamente compiuta, avrebbe consentito di attestare l’illegittimità del licenziamento dovuta alla pretestuosità delle ragioni economiche, produttive e riorganizzative addotte a suo sostegno.

Il motivo è infondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. sez. lav. n. 3628 dell’8/3/2012), “il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.

(Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva giudicato non pretestuoso, nè arbitrario, ma rispondente ad una genuina volontà di razionalizzazione aziendale, il licenziamento intimato al dirigente da una impresa con tasso quadriennale di perdita del fatturato pari al 9,4%). (v. in tal senso anche Cass. Sez. lav. n. 16498 del 15/7/2009, nonchè Cass. Sez. lav.

n. 16163 del 18.8.2004 sulla rimessione alla valutazione del datore di lavoro dell’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa con conseguente soppressione del posto o del reparto cui era addetto il lavoratore licenziato, ferma restando l’effettività della ragione economica, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione aziendale, ben potendo le relative mansioni essere solo diversamente ripartite ed attribuite).

Pertanto, correttamente la Corte d’appello di Palermo ha ritenuto che era sufficiente, ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo, la dimostrazione, da parte della datrice di lavoro, dell’avvenuta riorganizzazione aziendale, come comprovata dalle deposizioni testimoniali, dalle quali si era potuto evincere che alla stessa era seguita la soppressione del posto di responsabile della produzione del reparto stampa, le cui funzioni erano state poi suddivise tra il responsabile della produzione aziendale ed i capi reparto. Dal ragionamento sviluppato dalla Corte di merito si deduce, altresì, che la verifica dell’effettività delle ragioni determinanti l’adozione del licenziamento per’ giustificato motivo oggettivo è scaturita dal vaglio delle deposizioni dei testi I., C. e B. richiamati nella motivazione della stessa sentenza.

Il motivo è, invece, inammissibile nella parte in cui viene segnalato il vizio dell’illogicità e contraddittorietà della motivazione in merito alla sussistenza ed alla prova del giustificato motivo oggettivo.

Infatti, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è, precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Per di più, dopo la ricordata riforma è impossibile ogni rivalutazione delle questioni di fatto in ipotesi di c.d. doppia conforme sul punto, come stabilisce l’art. 348 ter c.p.c., comma 4: a mente del quale, “quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4)”.

Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Ma è evidente che nella specie la valutazione del merito istruttorio operata dalla Corte territoriale non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il medesimo giudice d’appello fornito una motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici in merito alla ritenuta sussistenza delle ragioni oggettive dell’impugnato licenziamentò: del dirigente.

2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 oltre che per erroneità, illogicità e/o contraddittorietà della motivazione, il ricorrente contesta l’impugnata sentenza nella parte in cui è stata riconosciuta la legittimità dl licenziamento di cui trattasi, pur in assenza della prova dell’adempimento datoriale del cosiddetto obbligo di “repechage”, cioè di reimpiego del dipendente licenziato nello svolgimento di mansioni anche inferiori.

Anche in tal caso il motivo denota profili di infondatezza e di inammissibilità.

Va premesso che in siffatta materia si è affermato (Cass. sez. lav.

n. 3040 dell’8/2/2011) che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da i quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e i conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.”.

Orbene, nella fattispecie, anche a voler prescindere dalla problematica degli oneri di allegazione, in ordine ai quali il ricorrente evidenzia quelle che sarebbero le difficoltà; del lavoratore a conoscere le posizioni lavorative disponibili all’interno dell’organigramma aziendale, resta il fatto che la Corte d’appello ha condiviso là sentenza di primo grado ed in questa, richiamata al riguardo anche dall’ A., si è i posto in rilievo che la difesa della società aveva dedotto di non avergli proposto l’adibizione alle mansioni di stampatore, quale alternativa al licenziamento, sia perchè il relativo posto era occupato da cinque mesi dal dipendente P., sia in quanto talè. proposta avrebbe comportato una violazione dell’art. 2103 c.c. e nemmeno era stato contestato che la trasformazione del contratto di lavoro di quest’ultimo era intervenuta cinque mesi prima del licenziamento dell’opponente, sicchè il relativò, posto di lavoro non risultava libero alla data dell’impugnato recesso.

L’inammissibilità del motivo discende, invece, dalla prospettazione del vizio di motivazione nei termini non più previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nella versione vigente applicabile “ratione temporis” alla fattispecie, così come illustrati nel corso della disamina del primo motivo.

3. Attraverso il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’omessa i pronunzia, nonchè all’omessa motivazione, sul lamentato carattere discriminatorio e ritorsivo dell’intimato licenziamento emergente dalla condotta tenuta nei suoi confronti dalla datrice di lavoro prima dell’adozione del provvedimento espulsivo.

Il motivo è, anzitutto, inammissibile per violazione del principio di autosufficienza che governa il giudizio di legittimità, in quanto il ricorrente non spiega in quali precisi termini propose nelle varie fasi del procedimento di primo grado come specifico motivo di doglianza il fatto di aver subito un licenziamento discriminatorio ed in quali esatti termini si lamentò, in sede di impugnazione, del rigetto di una tale censura, per cui non è consentito a questa Corte di verificare se effettivamente la circostanza non fu contestata dalla controparte, come asserisce ora la difesa dell’ A., nè di accertare se realmente si sia in presenza di un’ipotesi di omessa pronunzia del giudice di secondo grado o più semplicemente di un implicito rigetto.

Un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo deriva, inoltre, dalla prospettazione del vizio di motivazione nei termini non più vigenti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 prima della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv.

in L. 7 agosto 2012, n. 134, così come già chiarito nel corso della disamina del primo motivo del presente ricorso.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione delle spese nei confronti della società Joeplast s.p.a. che è rimasta solo intimata.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della òò sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2016

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