Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12667 del 18/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12667 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
ROSSETTO Leonarda, STEFANELLI Michele, BARONE Cosima,
CACCIATORE Lucia, ROMANO Aldo, APRILE Roberto Donato,
MAGAGNINO Irene Daniela, MAGAGNINO Antonio, rappresentati
e difesi, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Cosimo Luperto, elettivamente domiciliati in
Roma, via Oderisi da Gubbio n. 214, presso Remo Colaci;
ricorrenti –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

t5.19,9fs-

Data pubblicazione: 18/06/2015

- controri corrente avverso il decreto della Corte d’Appello di Potenza,
depositato in data 10 settembre 2013, n. 774 del 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti.

Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 10

novembre 2011 presso la Corte d’appello di

Potenza,

ROSSETTO Leonarda, STEFANELLI Michele, BARONE Cosima,
CACCIATORE Lucia, ROMANO Aldo, APRILE Roberto Donato,
MAGAGNINO Irene Daniela e MAGAGNINO Antonio chiedevano la
condanna del Ministero della giustizia al pagamento del
danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata
della procedura

concernente il

fallimento della Ditta

“EMAG di Magagnino Eupremio”, iniziata con dichiarazione
di fallimento da parte del Tribunale di Lecca in data 17
luglio 1980;
che l’adita Corte d’appello, stimata come ragionevole
una durata di sette anni, riteneva che fosse
indennizzabile un ritardo di quattordici anni nei
confronti di Rossetto Leonarda, Stefanelli Michele, Barone
Cosima, Cacciatore Lucia, Romano Aldo, Aprile Roberto
Donato, Magagnino Irene Daniela e Magagnino Antonio, e,
considerando che l’inizio del procedimento per ciascun
creditore doveva essere individuato nella data di

-2-

udienza del 9 aprile 2015 dal Presidente relatore Dott.

insinuazione al passivo, liquidava un indennizzo di e ro
1.140,00 in favore di Magagnino Antonio, di euro 2.066 00
in favore di Magagnino Irene Daniela, di euro 2.170,00 in
favore di Aprile Roberto Donato, di euro 2.686,00 in

Rossetto Leonarda, di euro 1.188,00 in favore di Barone
Cosima, di euro 1.550,00 in favore di Cacciatore Luci
di euro 1.184,00 in favore di Stefanelli Michele, ol re
interessi al tasso legale dalla data di presentazi ne
della domanda al soddisfo, sul presupposto

he

l’indennizzo per irragionevole durata non dovesse super re
il valore della causa;
che avverso questo decreto i ricorrenti in epigr fe
indicati hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

Iron

controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozilone
della motivazione semplificata nella redazione d4.1a
sentenza;
che con il primo motivo i ricorrenti denuncilano
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli
artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 dal 1999, dell’art. 6, par. 1,
CEDU, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 55 !del
decreto legge n. 83 del 2012 e dell’art.

-3-

2-bis della leigge

favore di Romano Aldo, di euro 1.085,00 in favore di

i
n. 134 del 2012, di conversione del citato decreto-leg e,
nonché vizio di motivazione contraddittoria e omesso

e
es111
‘1
i
su fatti decisivi, censurando il decreto impugnato liper

avere la Corte d’appello fatto applicazione d4la

prevede che l’indennizzo non possa superare il vai re
della causa in relazione alla quale

viene

sebbene la stessa sia applicabile

ai

chiesto

soli

depositati dopo l’entrata in vigore

della

conversione, e per avere ritenuto

che

ricorsi
legge

la

di

dur ta

complessiva della procedura falliméntare fosse di ventino
anni anziché di trentuno;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunci no
altra violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del

13

degli artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ. e dell’art. 29
cod.

proc.

civ.,

nonché

vizio

di

motivazi ne

contraddittoria e omesso esame su fatti decisi
censurando il decreto impugnato nella parte in cui il
giudice di seconda istanza non ha concesso, in aggiunta

T

alla condanna della sorte capitale, il maggior da ino
subito dai lavoratori per la diminuzione del credito ol re
gli interessi legali, da accordarsi, come previsto pe i
giudizi di lavoro, dalla maturazione al soddisfo;
che con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 3 Cost., degli artt. 2056, 1223 e

-4-

disposizione da ultimo citata – la quale effettivame te

1226 cod. civ., nonché vizio di motivazione e omesso esame
su fatti decisivi, per avere la adita Corte liquidato
l’indennizzo tenendo conto del valore dei crediti ammessi
al passivo e dunque in misura non omogenea per tutti i

che all’esame dei

motivi occorre premettere

che la

presente controversia non è soggetta, ratione temporis,
all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n.
83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n.
134 del 2012, applicabili ai ricorsi depositati a
decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione;
che, del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012
non può neanche riconoscersi natura di norme di
interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per
alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
non vi è nulla nel decreto legge n. 93 del 2012 che possa
indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso
attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione
per la entrata in vigore della nuova disciplina;
che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato;

-5-

ricorrenti, nonché vizio di motivazione sul punto;

che è innanzitutto fondato il motivo nella parte in
cui censura il decreto della Corte d’appello perché in
esso pur dandosi atto di una durata complessiva della
procedura fallimentare di trentuno anni circa e pur

essere di sette anni, la durata irragionevole viene poi
individuata in quattordici anni anziché in ventiquattro
anni;
che è fondato anche il profilo relativo al quantum
dell’indennizzo liquidato, atteso che, come già rilevato e
come disposto dall’art. 55, comma 2, del decreto-legge n.
83 del 2012, modificativo della legge n. 89 del 2001, le
previsioni nello stesso contenute si applicano ai ricorsi
depositati dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto,
ovvero dall’il settembre 2012;
che, essendo stato il ricorso in questione depositato
in un momento antecedente a tale data, nessuna delle nuove
disposizioni può essere ad esso direttamente applicata,
con la conseguenza che il decreto impugnato è errato nella
parte in cui statuisce che, non potendo l’indennizzo
superare il valore della causa, lo stesso deve essere
liquidato nella minar somma tra la somma astrattamente
riconosciuta spettante e quella in concreto ammessa al
passivo della procedura;

-6-

affermandosi che la durata ragionevole avrebbe dovuto

che il secondo e il terzo motivo di ricorso rimangono
assorbiti dall’accoglimento del primo;
che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso,
assorbiti il secondo e il terzo, il decreto impugnato deve

che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384, secondo coma, cod. proc.
civ.;
che, infatti, accertata la irragionevole durata della
procedura fallimentare in anni ventiquattro, alla
liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il
criterio di 500,00 euro per anno di ritardo, ritenuto
dalla più recente giurisprudenza congruo in relazione alle
procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014), e
determinando quindi l’ammontare dell’indennizzo in favore
dai ricorrenti in euro 12.000,00 pro capite;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di euro 12.000,00 ciascuno, oltre
agli interessi legali dalla domanda al soddisfo, ferma la
statuizione relativa alle spese del giudizio di merito,
ivi compresa la distrazione in favore del difensore
antistatario;

essere cassato;

che il Ministero deve essere condannato altresì alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

assorbiti

accoglie

gli altri;

il primo motivo di ricorso,
cassa

il decreto impugnato in

relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito,
condanna

il Ministero della giustizia al pagamento, in

favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di euro
12.000,00, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al saldo, ferme le statuizioni in ordine alle
spese del giudizio di merito;

condanna

altresì il

Ministero alla rifusione delle spese giudizio di
cassazione, in euro 700,00 per compensi, oltre agli
accessori di legge e alle spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

La Corte

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