Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12666 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 25/06/2020), n.12666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10178/2018 R.G. proposto da:

C.M. E IREN ACQUA TIGULLIO S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentate e difesi dall’avv. Alessandro

Morini e dall’avv. Alessandra Micali, con domicilio eletto in Roma,

alla Via Ugo Balzani n. 6;

– ricorrenti –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, in persona del Sindaco metropolitano

p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Valentina Manzone e dall’avv.

Gabriele Pafundi, con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio cesare

n. 14;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1236/2017,

depositata in data 5.10.2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

10.12.2019 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 271/2012, il Tribunale di Genova ha respinto l’opposizione proposta da M.C. e dall’Idrotigullio s.p.a. (ora Iren Acqua Tigullio s.p.a.), avverso l’ordinanza ingiunzione n. 51/A del 12.10.2011, con cui la Provincia di Genova aveva irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 5174,00, contestando il superamento, presso l’impianto di depurazione sito in Lavagna, dei valori limite stabiliti tabella I, dell’allegato V, parte terza, D.Lgs. n. 152 del 2006.

La sentenza è stata confermata in appello.

Il Giudice distrettuale, ritenuta ammissibile l’eccezione di carenza di potestà sanzionatoria in capo alla Provincia di Genova, pur se proposta solo nelle comparse conclusionali del giudizio di secondo grado, ha evidenziato che, nel vigore del D.Lgs. n. 152 del 1992, art. 56, la Regione Liguria aveva già adottato la L.R. n. 43 del 1995, il cui art. 42, comma 2, lett. b), attribuiva alla Province, quale autorità competente per il rilascio delle autorizzazioni allo scarico, il potere di comminare le sanzioni previste dal comma 1 della medesima disposizione, e che, ai sensi della L.R. n. 41 del 2014, art. 22, detta competenza doveva intendersi riferita anche alle sanzioni ammnistrative pecuniarie contemplate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, concludendo che l’esercizio della potestà sanzionatoria fosse stato legittimamente delegato alle Province.

Ha ritenuto che l’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), laddove riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, non osti al conferimento della delega mediante legge regionale, osservando che, come stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza 28/1996, a) “la competenza sanzionatrice non attiene a una materia a sè, ma accede alle materie sostanziali, rispetto alla quale svolge una funzione rafforzatrice dei precetti stabiliti dal legislatore e che, pertanto, è pienamente giustificata la scelta del legislatore regionale di determinare la competenza amministrativa accessoria sulle sanzioni in coincidenza con la competenza all’esercizio delle funzioni principali di amministrazione”; b) che la L. n. 689 del 1981, art. 17, che, nelle materia di competenza propria o delegate della regione, attribuisce la potestà sanzionatoria all’ufficio regionale competente, non deve essere intese in senso rigido, tale da escludere la possibilità di delega, in analogia con quanto previsto dall’art. 118 Cost., comma 3 – riguardo alle delegabilità delle funzioni amministrative primarie.

Ha inoltre ricordato che le Sezioni unite di questa Corte, pronunciando sulla giurisdizione in tema di sanzioni comminate dalla Provincia di Bergamo in materia di scarichi (sentenza n. 6095/2015), avevano preso atto che la L.R. Lombardia 26/2003 attribuisce alla Provincia la potestà sanzionatoria, senza rilevare profili di illegittimità della normativa.

Riguardo alle altre censure, la Corte di merito ha stabilito che:

– alla luce della complessità indagini necessarie a verificare la sussistenza dell’illecito amministrativo, la violazione era stata tempestivamente contestata, precisando che l’amministrazione aveva dimostrato che gli accertamenti erano stati completati in data 16.11.2006 e che il verbale di accertamento era stato notificato pochi giorni dopo, mentre l’ultimo referto delle analisi era stato inviato alla Provincia nel febbraio 2006;

– il gestore era a conoscenza del numero di campionamenti effettuati nel 2005, poichè tale dato era evincibile dalla lettura del verbale di contestazione ed inoltre tredici campioni erano stati prelevati dallo stesso gestore dell’impianto, mentre gli unici due eseguiti dall’Arpal erano stati effettuati alla presenza di un operatore della Idrotigullio;

– non era decisiva la discrepanza tra i risultati delle analisi eseguite dal gestore rispetto a quelle rilevati dall’Arpal, poichè, dovendosi osservare due diversi parametri, i primi evidenziavano il rispetto di uno solo di essi, senza che fosse stata provata alcuna alterazione dei campioni.

La cassazione della sentenza è chiesta da C.M. e dalla Iren Acqua s.p.a. con ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria.

La Città Metropolitana di Genova, subentrata alla Provincia di Genova,

ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Dopo aver premesso che l’incompetenza della Provincia ad accertare la violazione era profilo deducibile anche in appello, configurandosi un difetto assoluto di attribuzione degli organi accertatori e la nullità radicale – rilevabile d’ufficio – dell’ordinanza ingiunzione, i ricorrenti evidenziano che la D.Lgs. n. 152 del 1995, art. 56, nel punto in cui faceva salva la possibilità che, con espressa disposizione di legge regionale, la competenza all’irrogazione delle sanzioni in materia di acque fosse conferita ad autorità diverse dalle Regioni e delle Province autonome, non è stato riprodotto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, essendo venuta meno la possibilità di delegare tali funzioni alle Province. Tale preclusione troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che:

a) con decisione n. 133/2012, in tema di conferimento agli enti locali delle funzioni in materia di ambiente, tutela del suolo ed energia, ha ritenuto l’illegittimità di qualsivoglia legge regionale che disciplini la materia, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato;

b) con sentenza n. 234/2010, ha ritenuto che la disciplina statale contempli un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni;

c) con sentenza n. 187/2011, ha ritenuto che lo Stato abbia competenza normativa esclusiva in materia di adeguamento degli scarichi di acque reflue non ancora a norma.

A parere dei ricorrenti occorreva inoltre considerare che la L.R. Liguria 43/1995 era stata adottata, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, in attuazione della legge delega n. 36 del 1954, successivamente abrogata dal testo unico, per cui la norma interpretativa di cui alla L.R. n. 41 del 2014, non poteva comportare la reviviscenza della disposizione abrogata. Infine, la potestà sanzionatoria attribuita della Provincia non poteva legittimarsi in virtù della stretta connessione con il conferimento, sempre in favore della Provincia, del potere di rilascio delle autorizzazioni allo scarico, non essendo delegabili le funzioni amministrative primarie in tema di acque.

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che, come già statuito da questa Corte, il vizio di incompetenza assoluta, che è causa di nullità del provvedimento, rilevabile d’ufficio dal giudice, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene” (Cass. 28108/2018; Cass. 12555/2012), ossia se “il provvedimento adottato da un certo organo riguardi una materia del tutto estranea all’ambito degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo stesso appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientri, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia (Cass. 4924/1992; Cass. 8987/1990; Cass. 6308/1990).

Posto invece che, nel caso di specie, l’autorità che ha emesso il provvedimento (la Provincia di Genova) non solo era l’ente deputato al rilascio delle autorizzazioni in materia di scarichi idrici ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, ma, per ciò che concerne la Regione Liguria, era preposto anche alla tutela delle acque (cfr., L.R. n. 43 del 1995, art. 3), sarebbe stato in concreto configurabile al più un vizio di incompetenza relativa che, non determinando la nullità assoluta delle ordinanze, non era rilevabile d’ufficio ma doveva esser dedotto con l’atto di opposizione (Cass. 23383/2018; Cass. 28108/2018; Cass. 27909/2018).

Ciò premesso, è però decisivo considerare che la statuizione con cui la Corte distrettuale ha ritenuto ammissibile l’eccezione formulata dai ricorrenti direttamente in appello, non è stata impugnata con ricorso incidentale, per cui la decisione non è, sul punto, nuovamente esaminabile in cassazione (cfr. Cass. s.u. 11799/2017).

1.1. Il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, comma 1, nella sua formulazione originaria, disponeva testualmente, che “fatte salve le altre disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 54, commi 8 e 9, per le quali è competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

La norma è stata successivamente modificata dalla L. n. 258 del 2000, art. 22, facendo salve, quanto all’attribuzione della potestà sanzionatoria, anche “le diverse disposizioni delle regioni o delle province autonome”.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, sopprimendo tale inciso, ha adottato una formulazione sostanzialmente analoga al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, prevedendo che “in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza -ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18 e ss., la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

Occorre dunque ricordare che, con riferimento al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, (anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 258 del 2000), questa Corte ha già stabilito che la norma non ha comportato l’abrogazione delle precedenti previsioni della legge regionale prevedenti l’attribuzione – in capo alle Province – delle funzioni di accertamento e di applicazione delle sanzioni in tema di scarichi.

L’art. 56, non esprime – difatti – un “principio fondamentale” della legislazione dello Stato, tale da spiegare, in caso di sopravvenuta adozione di leggi statali modificative di detti principi fondamentali, l’efficacia abrogativa delle leggi regionali preesistenti incompatibili prevista dalla L. n. 62 del 1953, art. 10, non essendo diretto a realizzare in tale ambito – un interesse “unitario” cui dare piena attuazione su tutto il territorio nazionale, con effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della potestà legislativa delle Regioni (Cass. 24 febbraio 2004, n. 3620), o tale da impedire che, nelle singole legislazioni regionali, possano intervenire “altre pubbliche autorità”, di competenza territoriale più circoscritta, diverse da quelle previste e regolate nell’ordinamento generale (Cass. 3176/2004; Cass. 8511/2005).

A tali principi deve darsi continuità anche nel vigore della D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, non potendo ritenersi – alla luce del tenore testuale della disposizione e della ravvisata continuità di disciplina rispetto alla formula originaria del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, – che la soppressione del riferimento alle diverse disposizioni della legge regionale (o delle province autonome) abbia introdotto un più penetrante vincolo al legislatore regionale, sì da impedire la delega delle potestà sanzionatorie in materia di scarichi.

La norma ha – anzi – espressamente preservato “le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”, rendendo del tutto legittima una diversa regolazione mediante legge regionale, in mancanza di una riserva in favore di quella statuale.

1.2. Deve inoltre porsi in rilievo che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, comma 11, ha espressamente fatto salvi gli effetti degli atti e dei provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175, (tra cui il D.Lgs. n. 152 del 1999), fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del suddetto decreto, conseguendone che nessuna illegittimità potrebbe comunque ravvisarsi nei provvedimenti adottati dalla Provincia di Genova in base alla disciplina regionale anteriore all’adozione, da parte della Regione Liguria, della L. n. 41 del 2014, tanto più quest’ultima ha riconfermato, con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, il disposto del L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), che già attribuiva alle Province il potere di accertamento e di irrogazione delle sanzioni.

1.3. Nessun divieto di delega mediante legge regionale può farsi discendere dal disposto dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s).

Il testo novellato dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s). – che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva sulla ” tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali ” – configura una competenza sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti.

La tutela dell’ambiente – inteso come valore costituzionalmente protetto – delinea, infatti, una di competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, che devono esplicarsi nel rispetto degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato.

Il limite dell’intervento legislativo regionale in materia è – quindi costituito dal rispetto dei principi regolatori stabiliti dal legislatore statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (cfr. Corte Cost. 246/2006; Corte Cost. 378/2007; Corte Cost. 244/2012).

Come chiarito dalla Corte costituzionale, non sussiste – dunque – la violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), nè dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2 – allorquando la Regione deleghi alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto detta delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto dall’art. 118 Cost., e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 3, secondo il quale ciascuna regione determina, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (Corte Cost. 380/2007).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, e art. 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che la Corte di merito, omettendo di pronunciare sulle argomentazioni sollevate in appello, aveva erroneamente ritenuto congruo il termine di notifica delle sanzioni, trascurando che il verbale di contestazione era stato redatto in data 16.11.2006 e dunque tardivamente sia rispetto alla data di prelevamento dei campioni, effettuato dal 13.1.2005 al 27.12.2005, che rispetto alla comunicazione dei referti analitici alla Provincia, avvenuta in data 9.5.2005, 2.9.2005 e 6.2.2005.

Il motivo è infondato.

E’ anzitutto da escludere che il termine di notifica della contestazione, fissato dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, decorresse dalla data del prelevamento dei campioni o dalla comunicazione dei risultati delle analisi di laboratorio.

La sentenza impugnata è sul punto conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata, il momento dell’accertamento – in relazione al quale collocare il “dies a quo” del termine previsto dalla norma per la notifica degli estremi di tale violazione – non coincide con quello in cui sia stato acquisito il “fatto” nella sua materialità da parte dell’autorità cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza dell’illecito e per la quantificazione della sanzione.

Il compito di individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradursi nella contestazione compete al giudice del merito, la cui valutazione non è sindacabile nel giudizio di legittimità, ove congruamente motivata (Cass. 27702/2019; Cass. 27405/2019; Cass. 21171/2019; Cass. 9254/2018; Cass. 2687/2016; Cass. 25836/2011; Cass. s.u. 5395/2007).

L’accertamento svolto in proposito dalla Corte distrettuale circa il fatto che, dalla data di comunicazione dei risultati delle analisi alla notifica delle ordinanze, erano trascorsi meno di novanta giorni, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, resta quindi incensurabile, essendo il frutto di un corretto e motivato apprezzamento delle risultanze processuali.

3. Il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione della tabella II, allegato V, parte III, D.Lgs. n. 125 del 2006, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che il verbale di contestazione dava atto dell’effettuazione di ulteriori campionamenti nel corso del 2005, in aggiunta ai tredici specificamente menzionati; che la corretta indicazione del numero di campioni esaminati era decisivo per accertare la violazione, attesa la sussistenza di un soglia di tolleranza; che inoltre il verbale di accertamento non indicava quali parametri tra quelli contenuti nell’allegato V, parte III, tabella II, superasse la percentuale consentita.

Il motivo non merita accoglimento.

La sentenza ha stabilito nel merito che il verbale indicava il numero di campionamenti effettuati nel 2005, precisando che i ricorrenti ne erano a conoscenza, poichè tredici di essi erano stati eseguiti proprio dal gestore mentre gli altri due, menzionati nel verbale, erano stati effettuati dall’Arpa alla presenza di un operatore della Idrotigullio s.p.a..

L’esistenza di ulteriori campioni è circostanza del tutto ipotetica – e quindi oggetto di una deduzione inammissibile – giacchè assume a presupposto un dato astratto (la possibilità che vi fossero campionamenti ulteriori) in assenza di riscontro negli atti di causa ed in aperto contrasto con il diverso accertamento in fatto dalla Corte distrettuale, che resta incensurabile sotto i profili sollevati in ricorso.

4. Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 20 del 2006, art. 3, e della tabella I, allegato V, parte III, D.Lgs. n. 152 del 2006, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che i ricorrenti avevano specificamente dedotto che le analisi dei campioni prelevati – in data 27.12.2005 – avevano dato risultati contrastanti, rendendo inattendibili le conclusioni del verbale di contestazione; che riguardo al campionamento del 30.11.2005, il superamento dei valori era stato determinato da un anomalo ingresso di reflui, imputabile ad uno” scarico proveniente da un frantoio.

Il motivo è infondato.

La sentenza ha rilevato che gli accertamenti del 27.12.2005 avevano fatto emergere il rispetto di uno solo dei limiti di legge e che l’apparente discrepanza tra i risultati delle analisi dei campioni era solo apparente, sussistendo comunque la violazione denunciata. L’allegato V, D.Lgs. n. 152 del 2006, dispone che i gestori degli impianti devono assicurare un numero sufficiente di autocontrolli sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata.

I risultati delle analisi devono essere messi a disposizione degli enti preposti al controllo, tenuti a verificarne l’attendibilità.

La valutazione degli esiti del campionamento compete – quindi all’autorità preposta all’accertamento delle violazioni, che non è vincolata ai risultati delle verifiche in autocontrollo.

L’attendibilità delle analisi eseguite dall’amministrazione non può inoltre – ritenersi automaticamente inficiata dalle contrarie risultanze degli accertamenti svolti dai gestori operativi, ove, come nella fattispecie, non siano stati riscontrati errori o omissioni e sia stato garantito il contraddittorio nella fase del prelievo e dell’apertura dei campioni.

Inoltre, il rispetto dei limiti di legge deve essere costantemente garantito, non potendo ritenersi che l’incremento dell’afflusso di reflui, determinati da un frantoio, fosse evento eccezionale o non prevedibile.

Riguardo poi al prelievo eseguito in data 30.11.2005, la sentenza ha chiaramente giudicato insussistente la prova di un fattore che avesse alterato i risultati delle analisi, con giudizio in fatto che resta insindacabile in cassazione.

5. Il quinto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione

della tabella II, allegato V, parte III, D.Lgs. n. 152 del 2006, e della L. n. 689 del 1981, art. 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentando che la sentenza non abbia in alcun modo dato conto della congruità della sanzione, non avendo apprezzato in concreto la gravità dell’illecito.

Il motivo è infondato.

Premesso che la valutazione della congruità della sanzione è riservata al giudice di merito, occorre considerare che – in relazione alla data di deposito della sentenza – la motivazione è censurabile nei limiti di garanzia del minimo costituzionale e quindi può sindacarsi solo l’anomalia che si traduca nella carenza assoluta dei motivi dal punto di vista grafico, nella motivazione apparente o nell’affermazione di assunti inconciliabili o di insuperabilmente contraddittori essendo escluso il controllo sulla sufficienza delle motivazioni stesse (Cass. 23940/2017; Cass. 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014).

Nello specifico, la sentenza, con motivazione del tutto logica, ha rilevato che la sanzione oscillava tra un minimo di Euro 2582,00 ed un massimo di Euro 25.000,00, evidenziando che l’importo di Euro 5.174,00 non appariva sproporzionato, non essendo emerse circostanze che giustificassero ulteriori riduzioni.

Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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