Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12665 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. II, 24/05/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 24/05/2010), n.12665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

VIETNAM AIRLINES di (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro

tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dagli

Avvocati GUERRIERI Giuseppe e Francesco Canepa, presso lo studio dei

quali in Roma, via delle Quattro Fontane n. 15, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

L.M., rappresentato e difeso da se stesso nonchè, per

procura a margine del controricorso, dall’Avvocato D’AMORE Severino,

elettivamente domiciliato presso lo studio dei propri difensori in

Roma, Viale Parioli n. 76;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5224/2008,

depositata in data 16 dicembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19 febbraio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Francesco Canepa, il quale ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, il quale nulla ha osservato in ordine alla

relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso notificato il 27 marzo 2009, VIETNAM AIRLINES di (OMISSIS) ha impugnato per cassazione la sentenza n. 5224 del 2008, depositata il 16 dicembre 2008, con la quale la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello da essa ricorrente proposto, con atto notificato il 28 aprile 2004, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8395, depositata il 20 marzo 2000, che, in accoglimento della domanda di L.M., aveva condannato la VIETNAM AIRLINES al pagamento, in favore del L., della somma di L. 5.851.891.000 e delle spese di lite;

che la ricorrente, con un primo motivo, rubricato “Primo motivo d’impugnazione art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5), per violazione dell’art. 145 c.p.c.”, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto rituale la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, laddove ha affermato che “nella relata di notifica in lingua inglese, nella quale risultano la data del 31/10/1994, il nome e la sottoscrizione del ricevente, nella quale è distinguibile la parola Hop, sovrapposti al timbro circolare della destinataria” e che “la dichiarazione del rappresentante dell’ambasciata e il timbro sopra descritto consentono di ritenere certo che la notificazione avvenne presso la sede di (OMISSIS) della Vietnam Airlines: in proposito, del resto, neppure la difesa dell’appellante insiste nella originaria contestazione”;

che, ad avviso della ricorrente, la notificazione sarebbe stata invece nulla per mancanza di idonea certificazione in ordine alla persona che aveva ricevuto l’atto: un conto è, infatti, la certificazione del fatto che la consegna di un atto è avvenuta nel perimetro della sede di una persona giuridica, altro è certificare a chi l’atto è stato consegnato; e, nella specie, nella relata di notifica non era individuabile il nome del soggetto al quale l’atto era stato consegnato;

che la ricorrente formula il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: “Richiamato lo spirito garantistico che deve animare il processo, ed anche alla luce delle recenti novelle e degli auspici formulati in riferimento all’art. 111 Cost., dica la Suprema Corte se una motivazione che violi in maniera cosi plateale la norma fondamentale per la costituzione del contraddittorio infici in toto di nullità l’intero processo e non solo la sentenza impugnata”;

che, con un ulteriore motivo, rubricato “secondo motivo d’impugnazione art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 3)”, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – da essa ricorrente sollevata nel giudizio di gravame per l’ipotesi del mancato accoglimento del primo motivo – dell’art. 327 cod. proc. civ., comma 2, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede l’esclusione del contumace dalla decadenza dall’impugnazione dopo il decorso del termine lungo;

che il motivo non reca la formulazione di un quesito di diritto, secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ.;

che l’intimato ha resistito con controricorso;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 24 novembre 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) La inidonea formulazione del quesito formulato a conclusione del primo motivo di ricorso e la totale carenza del quesito in relazione al secondo motivo ricorso, rendono possibile la decisione del ricorso con la procedura di cui all’art. 375 cod. proc. civ., ricorrendo l’ipotesi prevista dal n. 5, seconda parte, di detto articolo.

In particolare, per quanto attiene al primo motivo, con il quale viene censurata, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la violazione dell’art. 145 cod. proc. civ., va rilevato che il quesito in concreto formulato dalla ricorrente si sostanzia nella richiesta rivolta alla Corte di dire se una motivazione che violi in maniera cosi plateale la norma fondamentale per la costituzione del contraddittorio infici in toto di nullità l’intero processo e non la sola sentenza impugnata. E’ noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola, juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass., n. 11535 del 2008).

In particolare, il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

Il quesito di diritto, quindi, deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass., ord. n. 19769 del 2008; Cass., S.U., n. 6530 del 2008; v. anche Cass., n. 28280 del 2008). Ed ancora, si è precisato che, nella norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ, nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 c.p.c. – cioè la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conse- guentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007; Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass., n. 8897 del 2008).

Alla luce di tali principi risulta evidente la inidoneità del quesito in concreto formulato dalla ricorrente rispetto al paradigma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

Quanto al secondo motivo, è invece sufficiente rilevare che lo stesso non contiene affatto la formulazione del prescritto quesito di diritto”;

che il Collegio condivide la proposta di decisione nel senso della inammissibilità del ricorso, osservando che a tale proposta non sono state mosse critiche di sorta, essendosi limitata la ricorrente, nella discussione svolta nell’udienza camerale, a sostenere che il quesito conclusivo del primo motivo di ricorso era rispondente alle prescrizioni desumibili dall’art. 366 bis cod. proc. civ., e, con riferimento al secondo motivo, che non era affatto necessaria la formulazione di un quesito di diritto, sostanziandosi il detto motivo nella prospettazione di una eccezione di illegittimità costituzionale;

che appare opportuno evidenziare come, con riferimento alle questioni poste dal primo motivo, anche ove si ritenga che con esso la società ricorrente abbia inteso proporre soltanto una censura attinente alla motivazione della sentenza impugnata, difetti del tutto la enunciazione del fatto controverso, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamata nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ.;

che, comunque, deve ulteriormente rilevarsi che la Corte d’appello ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto validamente eseguita la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio alla attuale ricorrente, sottolineando che l’esecuzione della notificazione, con consegna nella mani del signor Hop, è attestata dal cancelliere capo dell’Ambasciata italiana ad (OMISSIS), che ha restituito il verbale da lui stesso sottoscritto, contenente tale attestazione;

che, conseguentemente, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto la validità della notificazione sulla base del noto principio secondo cui la presenza nei locali della sede della destinataria, di una persona che riceve l’atto, consente di presumerne la adibizione alla ricezione di questo, dato che per tale investitura non è necessaria l’esistenza di un rapporto di lavoro, nè di dipendenza della società destinataria, ben potendo tale incarico essere rivestito transitoriamente o solo occasionalmente, e quindi rimanendo onerata la società della dimostrazione che il soggetto, presente e ricevente, oltre a non essere suo dipendente, non fosse addetto a tale funzione;

che, nella specie, la Corte d’appello ha poi accertato che dalla relata di notifica risultava la presenza, nei locali della sede della società ricorrente, del soggetto qualificatosi consegnatario degli atti;

che, a fronte di tale specifica motivazione, le doglianze della ricorrente appaiono dunque del tutto inidonee ad individuare il fatto controverso in relazione al quale la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente;

che, con riferimento al secondo motivo di ricorso, si deve rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore della ricorrente, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, la prospettazione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando – non diversamente da quanto avveniva prima della riforma – la prospettazione di un motivo che giustificherebbe la cassazione della sentenza una volta accolta la questione di costituzionalità, suppone ora necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto” (Cass., S.U., n. 28050 del 2008;

Cass., n. 4072 del 2007);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che, conseguentemente, la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;

che il resistente ha altresì richiesto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di cui all’art. 373 cod. proc, civ.;

che, come questa Corte ha affermato anche di recente, “spetta alla Corte di cassazione adita in sede di ricorso contro la sentenza di appello del giudice di merito pronunciarsi, ai sensi dell’art. 385 cod. proc. civ., con la sentenza di rigetto, sul diritto al rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte vittoriosa per resistere all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, proposta in virtù dell’art. 373 cod. proc. civ., i cui atti relativi al conseguente procedimento incidentale sono producibili ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., non potendo essere allegati anteriormente alla proposizione del ricorso, che costituisce il presupposto logico-temporale del suddetto procedimento”;

che il resistente ha documentato sia la introduzione che la definizione del procedimento ex art. 373 cod. proc. civ., sicchè ha diritto alla liquidazione dei diritti e degli onorari relativi a detto procedimento, che, in mancanza di nota spese, vengono liquidati d’ufficio nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e delle spese del procedimento di cui all’art. 373 cod. proc, civ., che liquida in Euro 6.000,00, di cui Euro 2.500 per diritti ed Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

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