Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12664 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13361/2018 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato STEFANO ALEANDRI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARINA CAVEDAL;

– ricorrente –

contro

DMA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO CALVETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2585/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso, previa

correzione della motivazione;

Uditi gli Avvocati STEFANO ALEANDRI e SERGIO CALVETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) conveniva in giudizio la società D.M.A. s.r.l. per l’accertamento della nullità della clausola penale apposta al contratto di compravendita del 6 marzo 2002 con il quale la predetta aveva venduto alla convenuta un immobile sito in (OMISSIS).

La clausola denominata “clausola penale” dalle parti prevedeva testualmente che: “il residuo saldo di Euro 103.292 verrà pagato alla società venditrice dalla società compratrice, come questa espressamente si obbliga, senza interessi, non appena sarà stata cancellata la citazione trascritta il 30 gennaio 2002 al numero 3783/2717 di cui sopra il che come sopra specificato dovrà avvenire entro e non oltre il 31 luglio 2006, le parti convengono al riguardo che qualora detta cancellazione non avvenga entro il 31 luglio 2006 la società acquirente tratterrà la predetta somma di Euro 103.292 a titolo di penale”.

Secondo l’attrice la suddetta clausola era nulla per difetto di causa e, dunque, le spettava il pagamento della somma ivi indicata.

2. Il Tribunale di Treviso interpretava la suddetta clausola quale condizione sospensiva, in quanto la stessa faceva dipendere la dazione della somma di denaro al verificarsi dell’evento della cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale proposta da un terzo soggetto, Buffalo Ranch s.a.s., nei confronti dell’attrice, evento indipendente dalla volontà della stessa.

La clausola andava a favore della parte acquirente che aveva interesse a disporre del bene libero da qualsiasi peso, trascrizione o vincolo, interesse che sussisteva anche se la stessa aveva trascritto il preliminare di vendita, prima della proposizione della domanda giudiziale della Buffalo Ranch.

In conclusione, il giudice di prime cure riteneva sussistente l’interesse della parte acquirente e interpretava la volontà delle parti nel senso che il pagamento di parte del prezzo era subordinato all’avveramento di detta condizione.

3. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello l’attrice, sostenendo nuovamente che la volontà delle parti era quella di prevedere una forma di risarcimento in caso di danno derivante dalla mancata cancellazione della trascrizione e ribadendo la nullità della stessa per difetto di causa, in quanto la domanda giudiziale era stata trascritta in data successiva alla trascrizione dell’atto di promessa di compravendita.

3.1 Nel corso del giudizio d’appello falliva la società appellante e si costituiva il fallimento in persona del curatore fallimentare.

4. La Corte d’Appello di Venezia rigettava l’impugnazione, ritenendo che il giudice di primo grado avesse correttamente interpretato la clausola contrattuale dedotta in giudizio, qualificandola come condizione sospensiva piuttosto che come clausola penale, così come denominata dalle parti del contratto.

La Corte d’Appello ribadiva che l’attività interpretativa non deve limitarsi alla ricognizione della mera volontà delle parti ma concretizzarsi nell’accertamento del contenuto sostanziale dell’accordo, dando attuazione concreta al programma contrattuale che le parti hanno stabilito, secondo la volontà emergente dalla lettera del contratto e dal complessivo accordo negoziale. Dunque, il giudice non è vincolato al nomen iuris dato dalle parti, se questo non è corrispondente alla sostanza del contratto voluto.

Il giudice di primo grado aveva tenuto conto degli effetti che le parti volevano raggiungere e del loro comportamento complessivo, dando così un’interpretazione alla clausola dedotta diversa dal nomen di clausola penale che le parti contraenti gli avevano attribuito. Emergeva, infatti, che le stesse parti avevano subordinato il pagamento di una determinata somma quale residuo del prezzo a saldo solo laddove la trascrizione della domanda giudiziale proposta dalla Buffalo Ranch nei confronti della venditrice fosse stata cancellata e ciò indipendentemente dalla volontà o dal comportamento di quest’ultima.

La Corte d’Appello evidenziava che la clausola penale è una previsione convenzionale di risarcimento del danno per l’ipotesi di ritardo o per l’inadempimento dell’obbligazione con la finalità di dispensare il danneggiato dalla prova dell’entità del danno e di limitare il risarcimento alla misura prevista dalla pattuizione, sicchè non poteva riconoscersi tale natura alla clausola in esame, in quanto le parti non avevano previsto alcun risarcimento per ritardo o per l’inadempimento, bensì avevano subordinato il pagamento del saldo ad un fatto indipendentemente dalla volontà o dal comportamento delle parti. La natura di condizione sospensiva consentiva di riconoscere la ragionevolezza della previsione negoziale, sussistendo l’interesse ad acquistare l’immobile privo di qualsiasi peso o gravame che ne avrebbe determinato una limitazione alla circolazione o una diminuzione del valore.

La clausola, dunque, aveva piena ragione di esistere, si collegava alla causa sottostante al contratto con la specificazione della modalità di spostamento patrimoniale che le parti avevano voluto prevedere nell’ambito del corretto funzionamento del sinallagma contrattuale.

5. Il fallimento immobiliare di (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi di ricorso.

6. La società D.M.A. s.r.l. ha resistito con controricorso.

7. La parte ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e degli artt. 1353 e 1382 c.c..

La ricorrente lamenta l’erroneità dell’interpretazione della clausola contrattuale effettuato dalla Corte d’Appello in violazione degli artt. 1362 c.c. e segg.. Infatti, i criteri di ermeneutica negoziale seguono una scala gerarchica, e solo nel caso in cui il criterio letterale si riveli inadeguato si può fare ricorso ai successivi. Nella specie il senso letterale delle parole era chiaro e faceva emergere in modo inequivoco la volontà contrattuale delle parti di predisporre una clausola penale e non una condizione sospensiva. Peraltro, anche in virtù del criterio sussidiario della ricerca della comune volontà delle parti doveva pervenirsi alla medesima conclusione tenuto conto anche del comportamento complessivo posteriore alla conclusione del contratto. Infatti, la convenuta anche in sede processuale aveva continuato ad insistere sull’effettivo danno che l’avvenuta trascrizione le aveva cagionato, formulando anche una domanda subordinata di risarcimento del danno ed istanze istruttorie in tal senso.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Costituisce principio consolidato quello secondo il quale ogni qualvolta, con il ricorso per cassazione, venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma contrattuale, il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative (Sez. 3, Ord. n. 6735 del 2019).

Nel caso di specie la ricorrente, nel lamentare la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale e, in particolare, del criterio letterale, non riporta il contenuto dell’intero contratto ma solo il testo della clausola che pretende di qualificare come clausola penale senza neanche esporre il fatto con precisione, omettendo di riferire circostanze rilevanti quali ad esempio il prezzo complessivo dell’immobile compravenduto o quanta parte di esso la società DMA aveva già pagato.

Questa Corte, pertanto, non può valutare la sussistenza o meno della violazione dei canoni interpretativi, dovendo, a tal fine, necessariamente conoscere il testo dell’intero accordo negoziale, le vicende antecedenti, quali le pattuizioni di cui al contratto preliminare, così come quelle successive, tutte rilevanti per la ricerca della reale volontà delle parti.

D’altra parte costituisce indirizzo altrettanto consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., tale violazione non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra. Pertanto, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che fondandosi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.

La parte ricorrente, peraltro, oltre ad affermare che il senso letterale delle parole della clausola contrattuale è chiaro e fa emergere in modo inequivoco la volontà delle parti di predisporre una clausola penale e non una condizione sospensiva, ritiene anche che il criterio letterale, in virtù di un principio gerarchico, debba prevalere su ogni altro criterio ermeneutico e che il giudice possa ricorrere ai restanti criteri di interpretazione solo quando quello letterale si riveli insufficiente.

Il collegio su questo punto intende dare continuità al diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale: “Nell’interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti” (ex plurimis Sez. 3, Ord. n. 20294 del 2019 Sez. 1, Sent. n. 16181 del 2017).

I criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 c.c. e segg., infatti, mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, dovendo il giudice accertare, al di là del “nomen iuris” e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dal contratto, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre.

Ne consegue che ai fini della possibilità di sindacare, nei limiti della violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’attività interpretativa del giudice del merito è necessario che la ricorrente riporti l’intero testo della convenzione contrattuale di cui si discute, come il principio di autosufficienza del ricorso impone di fare, dovendosi le clausole contrattuali interpretare l’una in funzione dell’altra.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 1218 e 1382 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Una volta riconosciuta la natura di clausola penale dovrebbe poi riconoscersi che il mancato rispetto del termine concordato per la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale era dipeso da una causa non imputabile alla ricorrente. Infatti, la trascrizione eseguita da Buffalo Ranch riguardava una controversia che era stata definita in primo grado con sentenza del 28 luglio 2005, poi impugnata da Buffalo Ranch e decisa in secondo grado con sentenza del 19 maggio 2011. Con tale ultima sentenza, passata in giudicato il 5 luglio 2012 a seguito della mancata impugnazione da parte di Buffalo Ranch, era stata anche ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda e solo a quella data si era potuto provvedere alla effettiva cancellazione.

Tali circostanze sono state ignorate dalla Corte d’Appello e il loro esame avrebbe portato ad escludere ogni forma di responsabilità in capo alla ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa d’applicazione dell’art. 2645 bis c.c., nonchè degli artt. 1321,1418 e 1325 c.c.; omesso esame circa un fatto decisivo.

Una volta correttamente qualificata la clausola in esame come clausola penale la stessa avrebbe dovuto essere ritenuta inapplicabile per l’assenza di danno in capo alla società acquirente dell’immobile ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., comma 2, secondo cui la trascrizione del contratto definitivo prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.

Pertanto, poichè la trascrizione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio promosso da Buffalo Ranch contro (OMISSIS) era avvenuto in data 30 gennaio 2002 e, quindi, successivamente alla trascrizione del contratto preliminare intercorso tra la stessa (OMISSIS) e DMA, eseguita in data 19 gennaio 2002, la successiva trascrizione del contratto definitivo aveva reso inefficaci tutte le trascrizioni e iscrizioni intervenute dopo la trascrizione del preliminare, compresa quella di Buffalo Ranch.

Ne consegue che, anche se fosse stata accolta la domanda giudiziale svolta da Buffalo Ranch, la sentenza di accoglimento non avrebbe mai potuto essere opposta a DMA nè ad eventuali successivi acquirenti dell’immobile compravenduto, dunque, nessun danno era mai stato subito da DMA e il mancato pagamento di una parte del prezzo avrebbe dovuto considerarsi ab origine privo di alcuna causa.

Sarebbe dunque erronea la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto sussistente un interesse dell’acquirente a che l’immobile fosse privo di qualsiasi peso o gravame, senza limitazione alla sua circolazione e alla diminuzione di prezzo.

3.1 I secondo e il terzo motivo di ricorso che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono inammissibili in quanto presuppongono necessariamente una diversa interpretazione della clausola come clausola penale e, dunque, seguono la medesima sorte del primo motivo.

In ogni caso, quanto al profilo dell’insussistenza dell’inadempimento perchè il mancato rispetto del termine concordato per la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale era dipeso da una causa non imputabile alla ricorrente, deve osservarsi che la qualificazione della clausola come condizione si fondava proprio sul fatto che la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale di Buffalo Ranch era un evento futuro ed incerto, indipendente dalla volontà delle parti.

Inoltre, con riferimento alla censura di nullità della clausola per mancanza di causa, non può sottacersi che, come ben evidenziato dai giudici di merito, la trascrizione della domanda giudiziale da parte della Buffalo Ranch, ancorchè non opponibile alla DMA che aveva trascritto prima il contratto preliminare, costituiva comunque un ostacolo alla libera circolazione del bene ed era un elemento che certamente influiva negativamente sul suo valore, e dunque sussisteva in capo all’acquirente dell’immobile un interesse sostanziale, giuridicamente rilevante, alla predisposizione di uno strumento che la tutelasse dal deprezzamento del bene acquistato. Ne consegue che, in ogni caso, al di là dell’interpretazione della clausola, come penale piuttosto che come condizione, non avrebbe potuto accogliersi la tesi del ricorrente secondo la quale la stessa era priva di causa, in quanto non corrispondente ad alcun interesse della parte acquirente.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione o errata applicazione dell’art. 1384 c.c..

La ricorrente lamenta il mancato esercizio del potere d’ufficio di riduzione della penale, sussistendo evidenti ragioni di equità. L’abnorme penale contrattualmente prevista, infatti, risultava manifestamente sproporzionata in considerazione delle concrete circostanze di fatto, dell’assenza di qualsivoglia pregiudizio subito dall’acquirente a causa della mancata cancellazione della trascrizione nel termine previsto e dell’assenza di colpa in capo alla società venditrice.

Il mancato esercizio parte del giudice d’appello del potere di riduzione in via equitativa della penale costituisce, quindi, una violazione o un’illegittima applicazione dell’art. 1384 c.c..

4.1 Il quarto motivo è inammissibile.

Anche questo motivo presuppone l’accoglimento della sull’interpretazione della clausola contrattuale, all’inammissibilità del primo motivo consegue necessariamente l’inammissibilità della censura per omesso esercizio del potere di ufficio ex art. 1384 c.c..

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 1322,1325,1353,1354,1418,1470 c.c..

A parere della ricorrente l’art. 1353 c.c., prevede che con la condizione sia possibile subordinare al verificarsi di un evento futuro ed incerto l’efficacia del contratto o di un singolo patto, ma non contempla la possibilità di mantenere l’efficacia del contratto e far venir meno in tutto in parte la prestazione di una delle parti. Ciò in particolare nel contratto a prestazioni corrispettive del quale la clausola verrebbe a spezzare il sinallagma contrattuale, comportando uno squilibrio tra le prestazione dei contraenti tale da rendere l’intero contratto radicalmente nullo per assenza di causa.

La decisione della Corte si porrebbe in contrasto con l’art. 1353 c.c., con l’art. 1322 c.c., con l’art. 1470 c.c. e con gli artt. 1325 e 1418 c.c..

Con il motivo in esame la ricorrente propone un’ulteriore censura in quanto la condizione costituiva un evento manifestamente impossibile, essendo previsto un termine troppo ristretto, tenuto conto anche del necessario decorrere dei tempi processuali.

La posizione di un termine così esiguo per effettuare la cancellazione integrava, pertanto, una condizione che non solo non dipendeva dalla volontà di (OMISSIS) ma che non aveva alcuna possibilità di realizzarsi e, dunque, legittimava di fatto la parte acquirente ad omettere il versamento di una consistente parte del prezzo. La condizione impossibile rende nullo il contratto se sospensiva e, dunque, l’intero contratto dovrebbe ritenersi nullo.

5.1 Il quinto motivo è infondato.

La prima censura proposta con il motivo in esame è infondata in quanto il pagamento della somma di Euro 103.292, subordinato al verificarsi della condizione della cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale di Buffalo Ranch, non costituiva il prezzo dell’immobile oggetto del contratto di compravendita, ma solo il saldo finale rispetto alle somme che l’acquirente aveva già versato al momento della stipula del preliminare.

Ne consegue che non può dirsi che sia mancato del tutto il pagamento del prezzo, quanto piuttosto che il prezzo complessivo che l’acquirente doveva pagare era subordinato alla cancellazione della trascrizione, il cui mancato verificarsi aveva determinato un deprezzamento del bene corrispondente alla somma già corrisposta dall’acquirente, secondo lo schema negoziale predisposto dalle parti.

Del pari è infondata la seconda censura in quanto il termine contrattualmente previsto per la cancellazione della trascrizione della domanda di Buffalo Ranch non era affatto esiguo. Infatti la stipula del contratto definitivo era avvenuta in data 6 marzo 2002 mentre il termine della cancellazione della domanda era stato individuato entro il 31 luglio 2006.

Risulta evidente che si tratta di un lasso di tempo sufficientemente lungo per il verificarsi della cancellazione della trascrizione e che, in ogni caso, il permanere di una situazione di incertezza a distanza di molti anni dalla conclusione del contratto rendeva attuale il deprezzamento del bene di cui si è detto.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o errata applicazione degli artt. 92 e 96 c.p.c., omesso esame della domanda.

La Corte d’Appello avrebbe omesso completamente di statuire in ordine al motivo di impugnazione relativo alla condanna alle spese processuali del giudizio di primo grado. La convenuta, infatti, aveva formulato anche la domanda subordinata di risarcimento danni e la domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., di risarcimento del danno per aver agito in giudizio con malafede o colpa grave. Il giudice di prime cure aveva rigettato tale domanda ponendo interamente a carico di (OMISSIS) solo le spese di lite.

Nel giudizio d’appello l’odierno ricorrente aveva evidenziato che tale conclusione avrebbe dovuto condurre il giudice ad adottare un provvedimento di compensazione quantomeno parziale delle spese di lite in ragione della reciproca soccombenza.

La Corte d’Appello ha ignorato il motivo di impugnazione, incorrendo quindi in una palese omissione. Infatti, il rigetto della domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., integra una forma di soccombenza processuale che può incidere sul riparto delle spese di lite e giustificarne la compensazione.

6.1 Il sesto motivo è infondato.

Il rigetto della domanda, meramente accessoria della parte convenuta, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale rigetto di quella di merito proposta dall’attore, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, sicchè non impone la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

Ciò premesso deve affermarsi che la sentenza impugnata contiene un’implicita esclusione dei presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di primo grado. La Corte d’Appello, infatti, ha rigettato integralmente l’impugnazione della ricorrente, la quale aveva proposto come motivo di gravame anche quello relativo alla mancata compensazione delle spese in primo grado nonostante la reciproca soccombenza per il rigetto della domanda della convenuta ex art. 96 e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese anche del giudizio d’appello. Risulta infondata, pertanto, anche la censura di omessa pronuncia su tale motivo di appello.

7. Il ricorso è rigettato.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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