Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12663 del 18/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12663 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SPANO’ Augusto (SPN GST 38C07 H2240),

rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Antonio Mario Labate, elettivamente
domiciliato in Roma, via Aurelia n. 385, presso lo studio
dell’Avvocato Andrea Sitzia;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

(

pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei
3,

Portoghesi 12, è domiciliato per legge;

n•-•

– controricarrente –

9)f 5( 7,01

Data pubblicazione: 18/06/2015

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di
Catanzaro n. 1110/2013, depositato in data 17 maggio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte
d’appello di Catanzaro il 6 settembre 2012, Spandè Augusto
chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dell’indennizzo per il pregiudizio subito per
effetto della irragionevole durata di un procedimento
penale a suo carico, iniziato nel 1997, pendente presso la
Corte di cassazione alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che il processo
doveva considerarsi iniziato nell’aprile 1997, in
occasione del verbale di assunzione di informazioni; che
il giudizio di primo grado si era concluso con sentenza di
proscioglimento del GUP in data 8 aprile 2000, appellata
dal PM; che il giudizio di appello si era concluso con
sentenza depositata il 19 ottobre 2006, avverso la quale
risultava pendente ricorso per cassazione, riteneva che il
processo penale avesse avuto una durata irragionevole di
circa sette anni, detratti sette anni di durata
ragionevole per i tre gradi di giudizio, nonché un periodo
di sospensione del giudizio di cassazione;

2

Stefano Petitti.

che, quanto ai danni, la Corte d’appello rigettava la
domanda di danni patrimoniali, non avendo il ricorrente
assolto all’onere probatorio di dimostrarne la
sussistenza, e liquidava, a titolo di danno non

criterio di 750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e
di 1.000,00 euro per ciascuno degli anni successivi;
che per la cassazione di questo decreto Sparlò Augusto
ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui il
Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso il ricorrente
deduce violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e dei principi di diritto affermati in materia
da questa Corte, sostenendo che: a) la Corte d’appello
avrebbe errato nel ritenere ragionevole una durata di
sette anni, non avendo considerato che il procedimento
penale a suo carico si trovava ancora nella fase
predibattimentale, e cioè nel primo grado di giudizio; b)
che inoltre la durata del giudizio presupposto era stata,
alla data della domanda, di quindici anni e tre mesi; c)
la liquidazione dell’indennizzo sarebbe dovuta avvenire

-3-

patrimoniale, l’importo di euro 6.250,00, applicando il

y

per sette anni e undici mesi di ritardo e sulla base di un
parametro senz’altro superiore a quello utilizzato, tenuto
conto dell’afflizione insita nella sottoposizione a
procedimento penale;

violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, degli artt. 1223, 1226,
2056 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio, dolendosi della reiezione della
domanda di danno patrimoniale, individuato nelle spese di
difesa, sostenute in ‘euro 13.591,00, per le sole attività
strettamente connesse alla durata del processo;
che con il terzo motivo il ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.
proc. civ., dolendosi che la Corte d’appello abbia
compensato le spese processuali ritenendo integrata una
ipotesi di abuso del processo, per non avere il difensore,
che difendeva altre parti nel processo penale, proposto un
unico giudizio di equa riparazione nell’interesse dei suoi
assistiti;
che il primo motivo di ricorso è fondato nei termini
di seguito indicati;

-4-

che con il secondo motivo il ricorrente denuncia

e

che, invero, non è contestato che i vari gradi di
giudizio del procedimento presupposto si sono svolti nella
fase dell’udienza preliminare;
che, pur essendo la detta fase disciplinata in modo

ciò non di meno deve escludersi che per ciascuno di tali
gradi sia possibile che la ragionevole durata sia la
medesima prevista per il giudizio ordinario;
che,

tenuto conto delle possibili

scansioni

dell’udienza preliminare, appare ragionevole stimare la
durata stessa, ai fini che qui rilevano, in quattro anni;
che, avendo la Corte d’appello ritenuto ragionevole
una durata di sei anni, il primo motivo di ricorso deve
essere accolto;
che il secondo motivo è infondato;
che questa Corte ha affermato il principio per cui «in
tema di equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001,
n. 89, le spese legali sostenute dall’imputato in
relazione ad inutili udienze ricadenti in periodi
eccedenti il termine di durata ragionevole del giudizio
penale presupposto, costituiscono un effetto dannoso
riconducibile alla violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, tenuto anche conto che il relativo
esborso, trattandosi di procedimento penale, non può
trovare rimedio mediante il recupero a carico della

-5-

tale che la stessa può essere articolata in diversi gradi,

controparte, in base al principio della soccombenza.
Pertanto, non può escludersi il danno patrimoniale per le
spese legali in ragione della sua esclusiva dipendenza da
una particolare complessità della controversia, dovendosi

si sia tradotta in assistenza cagionata dall’individuata
irragionevole durata del processo, ed a tale durata
esclusivamente riferibile, e quali esborsi si siano
sostenuti per essa» (Cass. n. 25521 del 2010; Case. n.
22461 del 2011);
che l’applicazione di tale principio postula tuttavia
che si dimostri la inutilità dello svolgimento
dell’attività processuale collocata nel segmento temporale
successivo al superamento della ragionevole durata, non
essendo sufficiente a fondare il diritto della parte al
risarcimento del danno la circostanza che un’attività
defensionale sia stata effettuata ove la stessa sia
risultata comunque necessaria alla difesa della parte;
che, a tali fini, non è sufficiente ipotizzare una
cadenza ordinaria dell’udienza preliminare e in relazione
ad essa individuare i compensi spettanti al difensore,
essendo invece necessario allegare e provare che le
attività svoltesi in un lasso di tempo eccedente quello
ragionevole non siano state funzionali all’esercizio del

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invece individuare quanta parte dell’attività defensionale

diritto di difesa nel concreto svolgimento del
procedimento;
che il terzo motivo è fondato;
che invero, deve escludersi che la proposizione di tre

diversi soggetti Optar uno di questi, anzi, dei suoi eredi,
essendo la parte del giudizio presupposto deceduta), possa
integrare l’ipotesi dell’abuso del processo, e ciò sia
perché il giudizio penale era ancora pendente, sia perché
le domande sono state proposte in tempi diversi e, deve
presumersi, in occasione del conferimento della necessaria
procura speciale da parte degli interessati;
che, dunque, accolto il primo motivo, nei sensi prima
indicati, e il terzo, e rigettato il secondo, il decreto
impugnato deve essere cassato, in relazione alle censure
accolte;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384, secondo coma, cod. proc.
civ., procedendo ad incrementare la liquidazione del danno
non patrimoniale di 2.000,00 euro, facendo applicazione
del criterio già adottato dalla Corte d’appello, risultato
immune dalla proposta censura;
che il Ministro della giustizia deve, quindi, essere
condannato al pagamento, in favore di Spanò Augusto, della

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distinti giudizi di equa riparazione nell’interesse di tre

somma di euro 8.250,00, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al soddisfo;
che il Ministero della giustizia deve essere
condannato altresì al pagamento delle spese dell’intero

564,00 per compensi, oltre agli accessori di legge e,
quanto alla fase di cassazione, in euro 700,00 per
compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie;
che le spese come liquidate vanno distratte in favore
del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

il primo e il terzo motivo di

ricorso; rigetta il secondo; cassa il decreto impugnato in
relazione alle censure accolte e

decidendo la causa nel

merito, condanna il Ministero della giustizia al
pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro
8.250,00, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al soddisfo;

condanna il Ministero al pagamento

delle spese del giudizio di merito, che liquida in euro
564,00 per compensi, oltre agli accessori di legge, e di
quelle del giudizio di cassazione, che liquida

in

euro

700,00 per compensi, oltre agli accessori di legge e alle
spese forfettarie;

dispone

la distrazione delle spese,

come liquidate, in favore del difensore dei ricorrenti,
Avvocato Antonio Mario Labate, dichiaratosi antistatario.

-8-

giudizio, che liquida, quanto al grado di merito, in euro

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

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