Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12663 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. I, 12/05/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6149/2016 proposto da:

Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del demanio,

nelle persone dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrenti –

contro

D.F.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Lidia

Viapiana, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e nei confronti di:

B.M., G.M.G., T.A.,

Bo.Cl.Do., Ba.An.Se.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di CATANZARO n. 196/2015,

depositata il 12 febbraio 2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9/03/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Catanzaro, sull’appello proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze e dall’Agenzia del demanio avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 257/2008, in riforma della sentenza impugnata, ha accertato che l’immobile oggetto della domanda di rilascio sito nel (OMISSIS), individuato in catasto al foglio (OMISSIS), era compreso nel compendio immobiliare riconosciuto come di proprietà demaniale dalla sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 549/2004 del 21 ottobre 2004, che contestualmente ne aveva disposto il rilascio in favore del Ministero delle finanze, e ha rigettato le domande di restituzione dei frutti, di indebito arricchimento oltre che di risarcimento dei danni, con rivalutazione monetaria ed interessi.

2. I giudici di secondo grado, per quel che rileva in questa sede, hanno dichiarato inammissibile la domanda di restituzione dell’indebito arricchimento perchè generica circa la causa petendi e il petitum e comunque per difetto del requisito della sussidiarietà.

3. La Corte, inoltre, ha affermato che anche la domanda di risarcimento del danno subito in data antecedente al passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 549/2004 era inammissibile, perchè su tale domanda si era determinato il giudicato;

ed infatti, con riguardo all’occupazione precedente, la domanda era ammissibile nei confronti dei soli acquirenti dalla Calabro Edil Tourist, che non avevano partecipato al giudizio definito con la sentenza n. 549/2004 e che, tuttavia, nei loro confronti, doveva escludersi il dolo e la colpa grave in ordine alla illegittimità dell’occupazione, come già affermato dalla Corte di appello nella sentenza n. 549/2004, poichè il bene era stato acquisito sulla base di un atto notarile e la sua natura demaniale era stata verificata soltanto a seguito di un accertamento complesso e difficile; peraltro l’Agenzia del demanio non si era mai curata di comunicare alla controparte il recesso dall’accordo diretto alla vendita e alla sdemanializzazione del bene, in tal modo creando una situazione di legittimo affidamento, nè aveva dato la prova dei danni subiti; anche la domanda di restituzione dei frutti era rimasta priva di prova, pure con riguardo alla natura o meno di bene fruttifero del bene in questione e tenuto conto che la natura demaniale portava ad escludere l’esistenza sia di frutti naturali per l’impossibilità di uno sfruttamento agricolo, sia di frutti civili stante la non liceità della concessione di godimento a terzi.

4. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del demanio hanno impugnato la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di censura.

5. D.F.M. ha resistito con controricorso.

6. B.M., G.M.G., T.A., Bo.Cl.Do., Ba.An.Se. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il Ministero e l’Agenzia ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte di appello considerato oggetto di separato ed autonomo accertamento l’occupazione dei successori a titolo particolare della Calabro Edil Tourist, non essendo ciò impedito dal giudicato sull’occupazione da parte della Calabro Edil Tourist, in quanto la sentenza n. 549/2004 non faceva stato nei loro confronti perchè le domande e le parti di quel procedimento erano diverse.

2. Con il secondo motivo il Ministero e l’Agenzia ricorrenti lamentano, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo la Corte di appello valutato specifici fatti costitutivi (e non estintivi, ovvero quelli diretti a determinare il legittimo affidamento) che valevano a strutturare l’elemento psicologico del dolo o della colpa di cui all’art. 2043 c.c.: la rettifica del 1981 con la quale il bene in questione era stato registrato come demaniale; la notifica dell’atto di citazione del 31 ottobre 1983 e la trascrizione della domanda che aveva portato alla sentenza n. 549/2004; l’acquisto successivo del bene da parte di D.F.M. avvenuto il 10 luglio 1990; la notifica dell’1 aprile 1995 dell’atto di citazione con il quale era stato iniziato il procedimento de quo; le trattative intercorse prima del passaggio in giudicato della sentenza n. 549/2004.

3. Con il terzo motivo il Ministero e l’Agenzia ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., perchè la Corte di appello aveva errato nel dedurre l’assenza dell’elemento soggettivo dal legittimo affidamento ingenerato durante la trattativa e che mancava la prova che le condotte poste in essere avessero effettivamente la capacità di generare il suddetto affidamento, rilevando piuttosto l’oggettivo comportamento che induceva a fare affidamento sulla conclusione di contratto.

4. Con il quarto motivo il Ministero e l’Agenzia ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., poichè la Corte non aveva tenuto conto che le Amministrazioni appellanti avevano chiesto il risarcimento del danno da quantificarsi non solo in relazione all’occupazione abusiva del terreno, ma anche avuto riguardo alle costruzioni ivi realizzate; si trattava, quindi, di una fattispecie di risarcimento del danno derivante dal mancato godimento del bene di cui lo Stato era proprietario ab origine, che esulava da un rapporto contrattuale, che doveva, pertanto, essere inquadrata nella responsabilità da illecito aquiliano ex art. 2043 c.c..

4.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono fondati nei sensi di cui in motivazione.

4.2 Ed invero, l’accertamento della natura demaniale del bene immobile oggetto della domanda di rilascio, comporta, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, il ristoro del pregiudizio correlato all’occupazione sine titulo del bene stesso.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 549/2004 del 21 ottobre 2004, definendo il giudizio tra il Ministero e la Calabro Edil Tourist s.r.l. (n. 226/1987 R.G.), che aveva ad oggetto il terreno di più vaste dimensioni che ricomprendeva anche quello oggetto del presente giudizio, ha accertato la natura demaniale del bene, disponendone il rilascio in favore del Ministero delle Finanze.

Nel provvedimento impugnato in questa sede si dà, inoltre, atto che la Corte, con ordinanza del 29 giugno 2012, aveva invitato le parti a produrre certificazione circa il passaggio in giudicato della sentenza n. 549/2004 e che tale certificazione veniva acquisita agli atti del processo (pag. 7 della sentenza impugnata). Anche a voler prescindere da un’applicazione, in materia aquiliana, dell’art. 1148 c.c., nella specie resa ardua dalle difficoltà inerenti all’accertamento della natura demaniale del bene, ed affermate, sia pure con riferimento ai danti causa del D.F., nella testè richiamata decisione, non può omettersi di rilevare che quest’ultimo aveva l’onere di seguire le vicende relative alla definizione del procedimento parallelo concernente la natura del bene posseduto e di conformarsi al suo esito.

Risulta agli atti, infatti, sia l’avvenuta trascrizione, in data 1 giugno 1987, della domanda giudiziale del procedimento promosso nei confronti della società Calabro Edil Tourist, che si è concluso con la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 549/2004 (pag. 7 del ricorso per cassazione), sia la produzione già nel giudizio di primo grado della sentenza n. 594/2004 da parte del Ministero dell’economia e delle finanze e della Agenzia del Demanio (pag. 3 del controricorso).

4.3 Il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 549/2004 costituisce, dunque, l’aspetto rilevante ai fini della ritenuta insussistenza della buona fede in capo ai controricorrenti, in quanto momento accertativo definitivo della natura demaniale del bene, che ha fatto venire meno il legittimo affidamento in capo agli stessi.

Entro gli individuati limiti temporali va, quindi, ricondotto il ristoro del pregiudizio correlato all’occupazione senza alcun titolo del bene.

4.4 Mette conto rilevare, in questa sede, l’inammissibilità della censura di omesso esame dei fatti elencati alle pagine 7 e 8 del ricorso per cassazione, alla quale non si associa il rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, secondo le quali il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

4.5 Quanto ai criteri per la determinazione del danno, giova osservare che, di recente, questa Corte ha affermato che nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario discende dalla menomazione della facoltà di godimento anche indiretta del bene e ben può essere apprezzato sul piano presuntivo (Cass., 5 ottobre 2020, n. 21272).

Tale principio va ribadito anche al lume dell’ormai consolidato l’orientamento che esattamente nega rilievo al cd. danno in re ipsa e al di là di un contrasto che appare più relativo all’utilizzazione delle formule adoperate che correlato alla sostanza della questione giuridica che viene in rilievo (Cass. 24 aprile 2019, n. 11203).

4.6 Questa Corte, più in particolare, con la recente sentenza del 7 settembre 2020, n. 18566, confrontandosi con l’indirizzo, espresso da alcune pronunce di questa Corte, secondo cui, dovendosi ricondurre l’ipotesi in esame nella categoria del danno-conseguenza, il pregiudizio subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ha ritenuto che i richiami alla categoria del danno in re ipsa erano privi di contenuto sostanziale e ha affermato che:

-per la verifica della responsabilità aquiliana in relazione a una condotta contra ius l’indagine non possa focalizzarsi sull’evento, essendo necessario che sia individuato un danno che si presenti come conseguenza, sotto il profilo della causalità giuridica, dell’illecito comportamento di un determinato soggetto (per tutte, cfr. Cass., 19 febbraio 2013, n. 4043);

– la responsabilità aquiliana inerente alla lesione del diritto di proprietà, di altri diritti di natura reale o del possesso non riguarda la lesione del bene in sè considerato, ma il riflesso di tale lesione sulla sfera giuridica del soggetto cui si attribuisce un interesse giuridicamente apprezzabile rispetto al bene offeso;

– l’applicazione del principio secondo cui il pregiudizio subito dal titolare del diritto offeso va ricondotto nella categoria del danno-conseguenza comporta, da un lato, l’abbandono della c. d. concezione materiale, incentrata sulla lesione del bene in sè considerato, dall’altro, anche in relazione all’evoluzione dei rapporti sociali ed economici con particolare riferimento all’ampliamento, anche sotto il profilo soggettivo, degli interessi meritevoli di tutela, il superamento del criterio meramente fondato sulla diminuzione del patrimonio, vale a dire sulla differenza del valore dello stesso sulla base del raffronto fra la situazione preesistente all’evento lesivo e quella successiva;

– il terreno sul quale occorre misurarsi riguarda essenzialmente gli aspetti di natura probatoria, e, in particolare, la necessità o meno che il titolare del bene offeso, pur potendosi avvalere di presunzioni, ottemperi quanto meno all’onere di allegare “i fatti in cui consisterebbe il danno”;

– l’esigenza di allegare e provare “l’intenzione concreta di mettere l’immobile a frutto” confligge con l’affermazione della possibilità del ricorso a presunzioni: trattandosi di “praesumptio hominis”, essa non attiene alle deduzioni delle parti, ma all’operato del giudice, il quale se ne avvale per risalire dagli elementi di fatto acquisiti ai fatti costitutivi della fattispecie sottoposta al proprio esame;

– la deduzione e la prova della occupazione “sine titulo” del bene, che generalmente implica l’impossibilità di goderne e di disporne liberamente, consente il ricorso, da parte del giudicante, all’applicazione del principio, generalmente riconosciuto, della normale natura fruttifera del bene.

4.7 Va, quindi, ribadito, l’orientamento, che il Collegio condivide ed al quale, intende dare continuità, secondo cui, in caso di occupazione illegittima di un immobile, è di regola ravvisabile, sulla base di una praesumptio hominis, l’esistenza di un danno connesso alla perdita della disponibilità del bene ed all’impossibilità di conseguirne la relativa utilità, in relazione alla natura normalmente fruttifera dal bene medesimo (Cass., 7 settembre 2020, n. 18566, citata; Cass., 31 luglio 2019, n. 20708; Cass., 21 ottobre 2018, n. 29990; Cass., 28 agosto 2018, n. 20545).

Non può, infatti, dubitarsi, che il danno patrimoniale derivante dall’illecita occupazione di un bene immobile costituisce un danno conseguenza, che può essere liquidato, una volta acquisita la certezza dell’esistenza del pregiudizio, facendo ricorso a criteri presuntivi, nonchè alla liquidazione equitativa e che la deduzione e la prova della occupazione sine titulo del bene, implicando generalmente l’impossibilità di goderne e disporne liberamente, consente il ricorso da parte del giudicante all’applicazione del principio generalmente riconosciuto della normale natura fruttifera del bene.

4.8 Ciò posto, la Corte territoriale, sebbene abbia constatato l’illegittimità dell’occupazione del bene richiamando specificamente la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 549/2004, ha respinto la domanda di risarcimento del danno patito a seguito dell’illegittima occupazione, affermando, alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata, che non erano stati forniti elementi di prova per giudicare sussistente il danno ipotizzato e che nessun elemento era stato fornito per chiarire la natura fruttifera o meno del bene in questione.

5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto, nei sensi di cui in motivazione; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche alla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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