Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12662 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13906/2015 proposto da:

V.A., in qualità di erede di N.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F D’OVIDIO 83, presso lo studio

dell’avvocato RENATO PEDICINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

LUIGI RICCIARDELLI;

– ricorrente –

contro

R.A., C.R.M., C.D.,

R.R., C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TARVISIO 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FARSETTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI VERDE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 551/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio, per quel che ancora rileva, può riassumersi nei termini che seguono:

– N.A. chiamò in giudizio Ro.Al. e R.A.G., germani del di lei coniuge R.S., deceduto il (OMISSIS), assumendo di essere comproprietaria della villa, costituente l’abitazione familiare e che sull’altra metà, pretendendo di esigere i suoi diritti di erede necessaria, concorreva ex art. 582 c.c.; inoltre, il testamento olografo, che comunque andava ridotto per reintegrarla nella quota di riserva, era invalido;

– con una prima sentenza parziale, dopo che, deceduto Ro.Al., subentrarono nella causa R.R. e A., rigettata la chiesta declaratoria di nullità del testamento, venne ammessa l’azione di riduzione della N.;

– proposto appello immediato da parte di R.A.G., R.R. e R.A., la Corte d’appello confermò la decisione di primo grado e la Corte di cassazione, con la sentenza n. 10605/2013 rigettò il ricorso proposto avverso la statuizione d’appello;

– costituitasi V.A., erede di N.A., il Tribunale, con la sentenza definitiva, assegnò all’attrice la villa, condannandola a pagare conguaglio in moneta ai coeredi: Euro 107.539,40 ad R.A.G., Euro 53.769,67 a R.R. ed Euro 53.769,97 ad R.A.;

– avverso quest’ultima sentenza proponevano appello R.R. e R.A. contro V.A. e nei confronti di C.D., C.R.M. e C.M., tutti eredi di R.A.G., i quali con l’appello incidentale aderivano

a quello principale;

– con la sentenza d’appello di cui in epigrafe si stabilisce, per quel che qui residua d’utilità, che V.A. ha diritto solo alla quota necessaria di cui all’art. 540, c.c. e non a quella di cui all’art. 582 c.c. e, pertanto, la liquidazione in favore di ciascuna stirpe discendente dai due germani del de cuius viene quantificata in 1/4 del valore complessivo della villa;

– V.A. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria; resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria, R.A. e R., C.R.M., D. e M.;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 540,551 e 582 c.c., in riferimento all’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, sostenendo che:

– la sentenza aveva errato nel ricondurre la vicenda fattuale all’ipotesi di cui all’art. 551 c.c. (legato in sostituzione di legittima), il che l’aveva portata a concludere che la rinunzia al predetto legato “non apre il concorso tra coniuge e fratelli ma ne determina la risoluzione, con attribuzione al legittimario (…) della quota di riserva spettantegli per legge sui beni ereditari”;

– ulteriormente errando aveva reputato che sul punto (cioè in ordine alla qualificazione della disposizione testamentaria come di legato in sostituzione di legittima) si fosse formato il giudicato, non avendo la questione formato oggetto di contestazione, risolta con una statuizione costituente necessario antecedente; peraltro, la stessa sentenza parziale aveva nominato CTU sul presupposto che dovesse procedersi all’individuazione delle quote ai sensi dell’art. 582 c.c.;

ritenuto che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 457 e 582 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 540 e 541 c.c., in riferimento agli artt. 602 e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:

– il testamento nulla aveva disposto per i fratelli e risultava contrario ai principi sull’ermeneutica negoziale affermare che il de cuius avesse voluto tacitare i diritti successori della moglie limitandosi a disporre in suo favore un legato in sostituzione di legittima, per averla nominata usufruttuaria di tutti i suoi beni immobili; nè poteva escludersi la coesistenza della successione legittima con quella testamentaria;

– in altri termini, la N. aveva proposto una domanda di divisione e non di riduzione, di talchè era da condividere, e non avrebbe meritato riforma, la sentenza definitiva di primo grado, la quale aveva chiarito che “il de cuius R.S. nel testamento olografo, disponendo l’usufrutto in favore della moglie sui beni immobili nulla ha previsto relativamente alla loro proprietà, il concorso della stessa con i germani del de cuius è regolato dall’art. 582 c.c., così come precisato nell’ordinanza collegiale del 29.9.2003”;

considerato che i due motivi, unitariamente scrutinati, appaiono infondati:

a) dalla riproduzione degli atti che qui rilevano offerta dai controricorrenti, non contestati e, comunque, riportati in sentenza (la disposizione testamentaria), emerge la manifesta volontà di rinunziare al legato in sostituzione di legittima, stante che con la citazione originaria l’attrice chiese che il testamento, a prescindere dalla sua dedotta invalidità, fosse “ridotto necessariamente dovendosi reintegrare la N. della sua quota di erede necessaria”.

b) il testatore aveva disposto, sempre per qual che qui rileva, “lascio a mia moglie N.A. l’usufrutto di tutti i miei beni immobili comunque siti e posti (…) dispensandola da ogni obbligo d’inventario e di cauzione. Per quanto concerne i mobili, mobilio, effetti accessori e quanto altro fuori di casa specifico che il tutto è di piena ed esclusiva proprietà di mi moglie. In caso d’impugnativa la stessa resta nominata erede universale dei beni mobili”;

c) la sentenza parziale di primo grado dichiarò ammissibile l’azione di riduzione e solo con la successiva ordinanza nell’assegnare il mandato al CTU, veniva evocato l’art. 582, c.c.;

d) la Corte d’appello, rigettando l’impugnazione della sentenza parziale di primo grado, aveva affermato che la N. aveva ritualmente rinunziato al legato in sostituzione di legittima e tale l’affermazione risulta essere stata confermata dalla Cassazione;

e) di conseguenza la questione afferente la natura del legato e alla sua rinunzia risulta coperta dal giudicato;

f) deve reputarsi conforme a diritto, l’enunciato di cui alla sentenza d’appello, secondo il quale “la quota di immobili cui ha diritto il coniuge superstite a seguito della sua rinunzia va determinato non ex art. 582 c.c., ma ex art. 540 c.c., giacchè la rinunzia al legato non apre il concorso tra coniuge e fratelli come se la disposizione a titolo particolare fosse tamquam non esset, ma determina la risoluzione, con attribuzione al legittimario, a seguito dell’esercizio della sua facoltà di scelta, della quota di riserva spettantegli per legge sui beni ereditari”, ciò in attuazione del principio secondo il quale deve privilegiarsi la volontà del testatore, che, nel caso di costituzione di legato in sostituzione di legittima, è intesa a tacitare i diritti successori del legatario con l’attribuzione del legato in parola; al che consegue che la rinunzia allo stesso assegna al rinunziante i di diritti successori della sola riserva (art. 540 c.c.);

g) la Corte locale ha divisato, sia pure implicitamente, che il testamento contenesse disposizione in favore dei fratelli; una tale conclusione non può dirsi errata, poichè, avendo il testatore costituito un legato d’usufrutto in sostituzione di legittima, ai fratelli sarebbe spettato, de residuo, e necessariamente, la nuda proprietà sugli immobili e, inoltre, la moglie, nel caso di impugnativa (evidentemente della disposizione riguardante gli immobili) sarebbe rimasta erede universale dei soli mobili;

h) l’opzione interpretativa alternativa proposta col ricorso resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, “l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai tini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013);

h.i.) già sotto la vigenza del testo di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ante riforma del 2012, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un negozio giuridico non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, n. 24539, 20/11/2009, Rv. 610944; conformi: Sez. 1, n. 16254, 25/9/2012, Rv. 623697; Sez. 1, n. 6125, 17/3/2014, Rv. 630519; Sez. 1, n. 27136, 15/11/2017, Rv. 646063);

– dopo la novella del 2012 dell’art. 360, c.p.c., n. 5, lo spazio di critica, venuta meno la censurabilità della motivazione (salvo il caso dell’inesistenza o mera apparenza di essa), non può che risolversi solo ed esclusivamente nella puntuale e specifica denunzia della violazione di legge, il che impone, a fortiori, spiegare, come si è detto, in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati;

considerato che le spese legali seguono la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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