Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12662 del 18/06/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12662 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
SINDONI Bruna, DE DOMENICO Maria Antonietta, DE DOMENICO
Antonio, DE DOMENICO

Cesare, quali eredi di De Domenico

Francesco, rappresentati e difesi, per procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avvocato Antonio Mario Labate,
elettivamente domiciliato in Roma, via Aurelia n. 385,
presso lo studio dell’Avvocato Andrea Sitzia;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,

in persona del Ministro

pro

tempore, rappresentato – e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso

cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, è domiciliato per legge;

trita 9,01

Data pubblicazione: 18/06/2015

controricorrente e ricorrente incidentaleper la cassazione del decreto della Corte d’appello di
Catanzaro n. 1046/2013, depositato in data 13 maggio 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti.

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte
d’appello di Catanzaro il 6 settembre 2012, SINDONI Bruna,
DE DOMENICO Maria Antonietta, DE DOMENICO Antonio, DE
DOMENICO Cesare, quali eredi di De Domenico Francesco,
deceduto il 26 luglio 2006, chiedevano la condanna del
Ministero della giustizia al pagamento dell’indennizzo per
il pregiudizio sofferto dal loro dante causa per effetto
della irragionevole durata di un procedimento penale a
carico suo e di altri, iniziato nel 1997, pendente presso
la Corte di cassazione alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che il processo
doveva considerarsi iniziato il 5 febbraio 1997,
allorquando, cioè, al

De

Domenico era stata notificata

l’informazione di garanzia; che il giudizio di primo grado
si era concluso con sentenza di proscioglimento del GUP in
data 13 marzo 2001, appellata dal PM; che il giudizio di
appello si era concluso con sentenza depositata il 19
ottobre 2006, e che era pendente in cassazione, riteneva
che il processo penale avesse avuto una durata

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udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.

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irragionevole di tre anni e cinque mesi, detratti i sei
anni di durata ragionevole per i tre gradi di giudizio;
che, quanto ai danni, la Corte d’appello rigettava la
domanda di danni patrimoniali, non avendo i ricorrenti

sussistenza, e liquidava, a titolo di danno non
patrimoniale, l’importo di euro 3.416,00, applicando il
criterio di 1.000,00 euro per anno di ritardo, anche se,
in dispositivo, indicava la somma di euro 6.416,00;
che per la cassazione di questo decreto SINDONI Bruna,
DE DOMENICO Maria Antonietta, DE DOMENICO Antonio, DE
DOMENICO Cesare, quali eredi di De Domenico Francesco,
hanno proposto ricorso affidato a due motivi, cui il
Ministero della giustizia ha resistito con controricorso,
proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un
motivo.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti
deducono la violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del
2001, dell’art. 6 della Convenzione europea dei r diritti
dell’uomo e dei principi di diritto affermati in materia
da questa Corte, sostenendo che: a) la Corte d’appello
avrebbe errato nel ritenere ragionevole una durata di sei

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assolto all’onere probatorio di dimostrarne la

anni, non avendo considerato che il procedimento penale a
carico del loro dante causa, alla data del decesso di
quest’ultimo, si trovava ancora nella fase
predibattimentale; b) che comunque non si sarebbe potuto

cassazione, perché iniziato dopo il decesso del loro dante
causa; c) la liquidazione dell’indennizzo sarebbe dovuta
avvenire per sette anni e undici mesi di ritardo e sulla
base di un parametro senz’altro superiore a quello
utilizzato, tenuto conto dell’afflizione insita nella
sottoposizione a procedimento penale;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, degli artt. 1223, 1226,
2056 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio, dolendosi della reiezione della
domanda di danno patrimoniale, individuato nelle spese
sostenute in euro 10.204,00, somma determinata con
riferimento alle sole spese relative alle attività
strettamente connesse alla durata del processo;
che con il ricorso incidentale il Ministero della
giustizia censura il provvedimento impugnato in
riferimento al criterio dì liquidazione adottato,
dolendosi della mancata applicazione del criterio

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detrarre l’anno di durata ragionevole del giudizio di

ordinario di 750,00 euro per ciascuno dei primi tre anni e
di 1.000,00 euro per ciascuno degli anni successivi;
che il primo motivo di ricorso è fondato nei termini
di seguito indicati;

giudizio del procedimento presupposto si sono svolti nella
fase dell’udienza preliminare;
che, pur essendo la detta fase disciplinata in modo
tale che la stessa può essere articolata in diversi gradi,
ciò non di meno deve escludersi che per ciascuno di tali
gradi sia possibile che la ragionevole durata sia la
medesima prevista per il giudizio ordinario;
che,

tenuto conto delle possibili

scansioni

dell’udienza preliminare, appare ragionevole stimare la
durata stessa, ai fini che qui rilevano, in quattro anni;
che, avendo la Corte d’appello ritenuto ragionevole
una durata di sei anni, il primo motivo di ricorso deve
essere accolto;
che il secondo motivo è infondato;
che questa Corte ha affermato il principio per cui «in
tema di equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001,
n. 89, le spese legali sostenute dall’imputato in
relazione ad inutili udienze ricadenti in periodi
eccedenti il termine dà durata ragionevole del giudizio
penale presupposto, costituiscono un effetto dannoso

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che, invero, non è contestato che i vari gradi di

riconducibile alla violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, tenuto anche conto che il relativo
esborso, trattandosi di procedimento penale, non può
trovare rimedio mediante il recupero a carico della

Pertanto, non può escludersi il danno patrimoniale per le
spese legali in ragione della sua esclusiva dipendenza da
una particolare complessità della controversia, dovendosi
invece individuare quanta parte dell’attività defensionale
si sia tradotta in assistenza cagionata dall’individuata
irragionevole durata del processo, ed a tale durata
esclusivamente riferibile, e quali esborsi si siano
sostenuti per essa» (Cass. n. 25521 del 2010; Cass. n.
22461 del 2011);
che l’applicazione di tale principio postula tuttavia
che si dimostri la inutilità dello svolgimento
dell’attività processuale collocata nel segmento temporale
successivo al superamento della ragionevole durata, non
essendo sufficiente a fondare il diritto della parte al
risarcimento del danno la circostanza che un’attività
defensionale sia stata effettuata oltre il periodo di
durata ragionevole ove la stessa sia risultata comunque
necessaria alla difesa della parte;
che, a tali fini, non è sufficiente ipotizzare una
cadenza ordinaria dell’udienza preliminare e in relazione

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controparte, in base al principio della soccombenza.

ad essa individuare i compensi

spettanti al difensore,

essendo invece necessario allegare e provare che le
attività svoltesi in un lasso di tempo eccedente quello
ragionevole non siano

state

funzionali all’esercizio del

procedimento;
che è del pari infondato il ricorso incidentale,
atteso che la Corte d’appello ha fatto corretta
applicazione del criterio ordinario di liquidazione,
ritenendo, in considerazione della natura del giudizio
presupposto, di non apportare la riduzione per i primi tre
anni, escludendo che nel caso di specie ricorressero
quelle condizioni che, secondo la giurisprudenza invocata
dalla difesa erariale, potrebbero giustificare una
riduzione;
che, dunque, accolto il primo
secondo,

rigettato il

impugnato deve essere

motivo

e rigettato il

ricorso incidentale, il decreto
cassato

in relazione alla censura

accolta;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può

essere

decisa nel

merito, ai sensi dell’art. 384, secondo coma, cod. proc.
civ., procedendo ad incrementare la liquidazione del danno
non patrimoniale di 2.000,00 euro, facendo applicazione

diritto di difesa nel concreto svolgimento del

del criterio già adottato dalla Corte d’appello, risultato
immune dalla proposta censura;
che, dunque, il Ministero della giustizia deve essere
condannato al pagamento, in favore di SINDONI Bruna, DE

DOMENICO Cesare, quali eredi di De Domenico Francesco,
secondo le rispettive quote ereditarie, della somma di
euro 5.416,00, (la liquidazione in dispositivo di euro
6.416,00 risulta frutto di mero errore materiale, rilevato
dalla difesa erariale, e comunque il Collegio, investito
della impugnazione avverso la liquidazione dell’indennizzo
ben può procedere ad una diversa valutazione), oltre agli
interessi legali dalla domanda al soddisfo, ferma la
statuizione sulle spese adottata nel decreto impugnato;
che le spese del giudizio di cassazione seguono la
soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore del
difensore dei ricorrenti, Avvocato Antonio Mario Labate,
dichiaratosi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

il primo motivo del ricorso

principale;

rigetta

incidentale;

cassa il decreto impugnato in relazione alle

il secondo motivo e il ricorso

censure accolte e decidendo la causa nel merito, condanna
il Ministero della giustizia al pagamento, in favore dei
ricorrenti, della somma di euro 5.416,00, secondo le

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DOMENICO Maria Antonietta, DE DOMENICO Antonio, DE

e

rispettive quote ereditarie, ferme le statuizioni relative
alle spese contenute nel decreto impugnato;

condanna il

Ministero al pagamento delle spese anche per le spese del
giudizio di cassazione, che Liquida in euro 700,00 per

forfettarie;

dispone

la distrazione delle spese, come

liquidate, in favore del difensore dei ricorrenti,
Avvocato Antonio Mario Labate, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

compensi, oltre agli accessori di legge e alle spese

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