Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12654 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 12/05/2021), n.12654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16307-2020 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA VISCANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 1208/2018 R.G. del TRIBUNALE di POTENZA,

depositato il 23/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

S.S., nato in Mali, impugnava la decisione della Commissione Territoriale, con cui era stata respinta la sua domanda di protezione sussidiaria e di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Con il decreto, il Tribunale di Potenza ha rigettato il ricorso avverso tale decisione.

Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese per motivi di carattere economico.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto non evidenziava elementi sufficienti a consentire il riconoscimento dello status di rifugiato, nè la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14 lett. c), in proposito dando atto che in un primo momento il ricorrente aveva dichiarato di provenire dal Kayes e, successivamente dalla zona di Kidal e che vi erano incongruenze nel suo racconto,

Ha infine negato il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il richiedente propone ricorso per cassazione con sette mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente si duole che sia stato soppresso il secondo grado di merito nel giudizio di protezione internazionale ed così sollecita la proposizione della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, ove stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile per contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost..

La questione di legittimità costituzionale dedotta è manifestamente infondata poichè la Corte Europea dei diritti umani con riferimento ai procedimenti civili ha sempre negato che il diritto all’equo processo e ad un ricorso effettivo possano essere considerati parametri per invocare un secondo grado di giurisdizione, mentre la legislazione Eurounitaria ed, in particolare, la dir. UE n. 2013/32, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze C – 175/17 e 180/17), non prevede un obbligo per gli stati membri di istituire l’appello, poichè l’esigenza di assicurare l’effettività del ricorso giurisdizionale riguarda espressamente i procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado (Cass. n. 22950 del 21/10/2020; Cass. n. 27700 del 30/10/2018).

2. Con il secondo motivo si denuncia l’errata valutazione della condizione personale del ricorrente, che non sarebbe stata compiuta assolvendo all’onere di integrazione probatoria d’ufficio per verificare le condizioni di persecuzione o la minaccia di un danno grave.

Il motivo è inammissibile.

Invero, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma. 5, lett. c), ed è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 13578 del 02/07/2020); dal ricorso non si evince invero alcuna allegazione specifica in proposito, nè viene aggredita la motivazione che sostanzialmente ritiene credibili le ragioni di fuga ascritte tuttavia ad un movente economico, mentre ritiene non attendibili le dichiarazioni in merito alla zona di provenienza, senza che nemmeno l’audizione effettuata dinanzi all’autorità giudiziaria abbia potuto sciogliere i dubbi, conseguendone che la generica denuncia di mancata attivazione dell’onere di integrazione probatoria risulta palesemente smentita.

3. Con il terzo motivo si denuncia la errata valutazione della situazione attuale in Mali, che sarebbe difficile e complessa.

Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi e non la impugna in modo specifico.

Il Tribunale ha escluso la ricorrenza dei presupposti per la protezione sussidiaria sulla preliminare considerazione che il ricorrente non risultava credibile in merito all’indicazione della zona della sua provenienza e tale statuizione non risulta censurata.

Orbene, come chiarito da questa Corte “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non rilevano le vicissitudini personali del richiedente asilo, in quanto il rischio di danno grave, cui si riferisce la norma, è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza.” (Cass. n. 14350 del 08/07/2020); tuttavia, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, a meno che il giudizio di non credibilità come nel caso in esame, accertato con statuizione non impugnata non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. n. 14283 del 24/05/2019).

Invero, l’inattendibilità dei fatti narrati dal richiedente è preclusiva di ogni forma di protezione ove cada sulla sua provenienza geografica o sulla sua stessa identità (Cass. n. 21929 del 09/10/2020).

4. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non indica alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, ma si duole del mancato accoglimento di richieste istruttorie – di cui non trascrive il contenuto -, del mancato svolgimento di attività istruttoria d’ufficio – senza precisare in merito a quali circostanze avrebbe dovuto essere svolta -, del mancato esame della censura svolta in merito alla violazione della Convenzione di Ginevra e del Protocollo di New York; è evidente che le omissioni attribuite al giudice di primo grado non sono omissioni nell’accertamento di un fatto (controverso e decisivo), ma critiche sulla applicazione della legge (processuale o internazionale), che andavano fatte valere come violazioni di legge; al di là di ciò, il ricorrente non dimostra in che termini queste questioni siano state poste dinanzi al giudice di primo grado in relazione alla specifica posizione del richiedente e ciò rende inammissibile la censura.

5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, in merito al diniego dello status di rifugiato.

Il motivo è inammissibile perchè svolto in maniera generica, mediante il richiamo di norme e precedenti giurisprudenziali, senza alcuna attinenza alla persona del richiedente, ma solo sull’assunto della totale negazione dei diritti umani in Mali.

6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in merito al diniego della protezione sussidiaria, senza avere considerato il rischio di subire un danno grave nel caso di rientro in Mali.

Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte sub 3.

7. Con il settimo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, e si assume la violazione del divieto di non refoulement.

Il motivo è inammissibile perchè la violazione denunciata presuppone concreti fatti sintomatici dell’esposizione del richiedente al rischio di subire persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio, non accertati nel presente caso dal giudice di merito e non indicati dal richiedente, quali fatti decisivi tempestivamente dedotti di cui sia stato omesso l’esame. In particolare, non risulta violato il principio di non refoulement come indicato dalla CEDU, alla luce del quale non deve essere sempre concesso l’asilo al richiedente ma solo evitato che nel suo paese sia sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti.

8. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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