Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12652 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 25/06/2020), n.12652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19229/2015 proposto da:

L.R.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni

Ingrascì;

– ricorrente –

contro

Giorgi Immobiliare S.n.c. di S.V. & C., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma

Via Dei Dardanelli 46, presso lo studio dell’avvocato Spinella

Maurizio rappresentate e difese dall’avvocato Caruso Salvatore

Sandro;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1775/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 da Dott. COSENTINO ANTONELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Giorgi Immobiliare s.n.c. conveniva davanti al Tribunale di Catania il sig. L.R.S. per sentirlo condannare a pagarle la provvigione del 3% in relazione all’attività di mediazione dalla stessa svolta per la vendita al sig. P.G. di un immobile di proprietà del convenuto sito in (OMISSIS).

Il Tribunale accoglieva la domanda dell’attrice e condannava il sig. L.R. al pagamento in favore della Giorgi Immobiliare s.n.c. della somma di Euro 9.600, oltre interessi legali della domanda e spese processuali.

La Corte di appello di Catania, adita dal sig. L.R., confermava la sentenza di primo grado argomentando, per quanto qui ancora interessa, che, per un verso, nella propria comparsa di costituzione in primo grado il sig. L.R. non aveva contestato che il legale rappresentate della società Giorgi Immobiliare s.n.c. fosse iscritto all’albo dei mediatori; per altro verso, che il collaboratori della società che avevano tenuto i contatti con il sig. L.R. e avevano accompagnato l’acquirente a visitarne l’appartamento, avevano svolto attività meramente esecutive, prive di rilevanza esterna.

Avverso la sentenza della Corte etnea il sig. L.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di quattro motivi.

La società Giorgi Immobiliare s.n.c. ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 15 ottobre 2019, per la quale non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente con riferimento al disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, per essere l’impugnata sentenza fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado. Il disposto dell’art. 348 ter c.p.c., si applica, infatti, ai giudizi di appello introdotti dopo l’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, mentre nel presente giudizio l’appello del signor L.R. avverso la sentenza del tribunale di Catania è stato proposto nel 2010.

Con il primo motivo di ricorso, genericamente rubricato “art. 360 c.p.c., n. 4”, si censura la statuizione dell’impugnata sentenza secondo cui il L.R., costituendosi nel primo grado di giudizio, non avrebbe contestato l’iscrizione del legale rappresentante della società Giorgi Immobiliare s.n.c. all’albo dei mediatori. Il ricorrente sostiene che l’eccezione da lui formulata in detta comparsa richiamava l’intero testo (e non solo il comma 5) della L. n. 38 del 1989, art. 3 e quindi conteneva una “contestazione di ordine generale relativa alla mancanza dei titoli abilitativi per l’insorgere del diritto alla provvigione” (pag. 5, quinto capoverso del ricorso). Cosicchè, si argomenta nel ricorso, la Corte territoriale – ritenendo erroneamente che l’iscrizione nell’albo dei mediatori del legale rappresentante della società attrice non fosse contestata – avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione del L.R., incorrendo, in definitiva, in una violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il motivo va disatteso. Premesso che, come correttamente evidenziato in ricorso, la natura processuale del vizio denunciato con il mezzo di impugnazione in esame impone a questa Corte di procedere all’apprezzamento diretto del contenuto degli atti difensivi (Cass. SSUU 8077/12), il Collegio rileva che, nella comparsa di risposta depositata dal L.R. nel giudizio di primo grado (per come trascritta a pag. 5 del ricorso) non esiste alcuna contestazione della circostanza di fatto che il legale rappresentante della società attrice fosse iscritto all’albo dei mediatori. In tale comparsa, infatti – dopo la generica contestazione, in jure, del diritto dell’attrice alla provvigione, per la dedotta violazione della L. n. 39 del 1989, art. 3 e la trascrizione di una massima giurisprudenziale – si legge: “nel caso in ispecie l’attività esterna è stata svolta da soggetti privi delle iscrizione sicchè nessun diritto a provvigione può ritenersi sorto in capo alla Giorgi”. E’ dunque evidente che, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, il L.R. ha dedotto l’insussistenza del diritto della società attrice alla provvigione contestando l’iscrizione all’albo dei mediatori dei soggetti che avevano svolto “l’attività esterna”, senza, tuttavia, porre in alcun modo in discussione l’iscrizione all’albo dei mediatori del legale rappresentante della società stessa.

Con il secondo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa omettendo di pronunciarsi sull’eccezione da lui sollevata in ordine alla mancanza di iscrizione all’albo dei mediatori dei soggetti che materialmente avevano preso contatto con il sig. L.R., avevano concordato gli appuntamenti per le visite e avevano accompagnato i potenziali acquirenti.

Il motivo è infondato; non sussiste la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la Corte d’appello si è pronunciata, rigettandola, sulla censura mossa dall’appellante alla statuizione del primo giudice secondo cui le persone che avevano avuto contatti con il L.R. erano meri esecutori (cosicchè la loro mancata iscrizione all’albo non elideva il diritto alla provvigione della società loro datrice di lavoro). La Corte etnea ha condiviso la statuizione del Tribunale e, quindi, si è pronunciata sul motivo di appello. D’altra parte, come questa Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire (vedi la sentenza n. 407/06, alla quale il Collegio intende dare conferma e seguito), il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto.

Con il terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione della L. n. 38 del 1989, art. 6, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel qualificare l’attività dei dipendenti della società Giorgi che avevano tenuto i contatti con lui come attività di tipo esecutivo “meramente interna”. Nel mezzo di ricorso si argomenta che, una volta accertato che l’unica attività di mediazione concretamente svolta era stata quella realizzata dai dipendenti della società e che tale attività era risultata da sola sufficiente a condurre le parti alla conclusione dell’affare, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che, ai fini dell’insorgenza del diritto alla provvigione in capo alla società Giorgi, fosse necessario l’iscrizione all’albo dei mediatori dei dipendenti della società che detta attività avevano svolto.

Il motivo è inammissibile, perchè il ricorrente denuncia un vizio di violazione di legge senza, tuttavia, farsi carico di precisare (come avrebbe dovuto fare per soddisfare l’onere di specificità del ricorso per cassazione) quale sarebbe la regola di diritto – esplicitamente enunciata, o anche soltanto implicitamente applicata, nell’impugnata sentenza – contrastante con il disposto della L. n. 38 del 1989, art. 6. In realtà il motivo in esame, pur denunciando un vizio di violazione di legge, in sostanza censura l’accertamento di fatto della Corte di appello sulla natura meramente esecutiva delle attività dei dipendenti della società attrice che avevano avuto contatti con il L.R.; ma tale censura risulta anch’essa inammissibile, perchè è formulata senza il rispetto del paradigma fissato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vale a dire senza indicare fatti storici, discussi tra le parti, il cui esame sarebbe stato trascurato dal giudice di merito e che, per la loro connotazione di decisività, avrebbero condotto tale giudice, se esaminati, ad un diverso accertamento dei fatti di causa.

Con il quarto motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia l’insussistenza della motivazione, lamentando l’inidoneità della sentenza a dare conto delle ragioni sulla cui base la Corte d’appello era pervenuta alla conclusione che l’attività dei dipendenti della società Giorgi che avevano seguito l’affare dell’odierno ricorrente avesse natura meramente esecutiva e priva di rilevanza esterna.

Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha motivato la propria decisione sul rilievo che devono ritenersi esonerati dall’obbligo di iscrizione a ruolo dei mediatori i soggetti che svolgono, alle dipendenze di società un’agenzia immobiliare, “attività strumentali o accessorie all’esercizio della mediazione quali attività pubblicitarie, di segreteria, di cartellonistica e di accompagnamento dei potenziali clienti in visita l’immobile”. Si tratta di un argomentazione idonea ad esplicitare la ratio decidendi e rispettosa del minimo costituzionale della motivazione, che deve ritenersi violato soltanto quando la motivazione “sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile)” (così Cass. 22598/18).

In definitiva il ricorso va rigettato, dovendo essere disattesi tutti i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla società contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.300, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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