Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12651 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. I, 24/05/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 24/05/2010), n.12651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso l’avvocato

BURRAGATO ROSALBA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

04/06/2008; n. 354/07 R.G.V.C.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ALBANESE CLAUDIO, per delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorsO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 23.07.2007, C.G. adiva la Corte di appello di Ancona chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848. Con decreto del 15.04 – 04.06.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’istante, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, della somma di Euro 7.200,00, con interessi legali dalla data del provvedimento, nonche’ al pagamento del 50 % delle spese processuali, compensate per la residua parte. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il C. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo fallimentare ancora in corso, apertosi con la sentenza dichiarativa di fallimento resa il (OMISSIS), a carico della societa’ Rinaldi punto Ceramica S.n.c. e dei suoi soci illimitatamente responsabili, tra cui lui;

– che avuto anche riguardo agli specifici, richiamati dati e profili, evidenziati nella relazione del Curatore fallimentare, la durata ragionevole di detta controversia concorsuale di una certa complessita’, protrattasi per anni 22 e mesi 6, poteva essere fissata in anni 10;

– che dal periodo di protrazione irragionevole doveva essere espunto il tempo, pari ad anni 6 e mesi 6, di ritardo non addebitabile all’organizzazione giudiziaria;

– che alla luce dei criteri di determinazione dell’equa riparazione applicati dalla Corte europea e con riferimento al solo periodo d’irragionevole ritardo di definizione, quantificatale in anni 6, il chiesto indennizzo del danno morale poteva essere equitativamente liquidato all’attualita’ nella misura di Euro 7.200,00, tenuto conto delle conseguenze di ordine psicologico, patema d’animo, ansia e preoccupazione, che il ricorrente poteva avere subito, in ragione degli specifici effetti limitativi conseguenti alla declaratoria del suo fallimento, influenti anche sulle sue abitudini e relazioni sociali, nonche’ della c.d. posta in gioco. Avverso questo decreto il C. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 17.09.2008. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso notificato il 27.10.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il C. deduce, “Violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e/o 5” e segnatamente violazione dell’art. 2 della rubricata legge e dell’art. 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, conclusivamente formulando il seguente quesito di diritto, gia’ prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis “Dica la Corte se vi e’ stata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 per non avere liquidato il risarcimento dei danni non patrimoniali secondo i parametri stabiliti dalla Corte Europea e, in caso positivo, enunci a norma dell’art. 366 bis c.p.c. il principio di diritto nell’interesse della legge al quale il Giudice avrebbe dovuto attenersi”.

Il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’ e pertinenza del relativo quesito di diritto.

Il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. a corredo del ricorso per Cassazione non puo’ mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (cfr.

cass. 200904044).

Il C., soccombente, va condannato a rifondere all’Amministrazione resistente le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna C.G. al pagamento in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

 

 

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