Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12650 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 25/06/2020), n.12650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23775/2015 proposto da:

Agenzia Immobiliare B. di I.C., in persona

della titolare, elettivamente domiciliata in Roma Via Appennini 46

presso lo studio dell’avvocato Antonio Giampaolo che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Cristina Formiconi e Sergio

Frediani;

– ricorrente –

contro

C.C., R.C., R.G. e R.U., elettivamente

domiciliati in Roma Via Del Tritone 169 presso lo studio

dell’avvocato Liliana Curtilli che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Luigi Coppola;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1262/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 02/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 da Dott. COSENTINO ANTONELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia Immobiliare B. di I.C. conveniva davanti al Tribunale di Grosseto i sig.ri R.U., G. e C. e C.C. per sentirli condannare al pagamento della provvigione di Euro 67.500 per l’attività di mediazione che essa attrice aveva svolto in loro favore per la cessione delle quote, da loro detenute, della società Giglio s.a.s. di R.C. e C., proprietaria dello stabilimento balneare (OMISSIS).

Il tribunale di Grosseto rigettava la domanda dell’attrice, accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione attiva formulata di convenuti sul rilievo che l’attività mediatoria era stata svolta dal sig. B.M. in proprio, senza alcuna spendita del nome della ditta Agenzia Immobiliare B. di I.C. (moglie, quest’ultima, del suddetto B.).

La Corte di appello di Firenze, adita con il gravame dell’Agenzia Immobiliare B. di I.C., confermava la sentenza impugnata. Ai rilievi del primo giudice – secondo cui, per un verso, non vi era prova che il B. avesse svolto la propria attività mediatoria in nome della ditta Agenzia Immobiliare B. di I.C. e, per altro verso, il medesimo B. non poteva essere considerato nè un collaboratore della ditta della moglie nè un partecipante ad un’impresa familiare, “stante la forma sociale e l’oggetto sociale della predetta Agenzia attrice” (pag. 3, ultimo rigo, della sentenza) – la Corte fiorentina aggiungeva che il B., in quanto socio accomandatario di altra società, non poteva, per l’incompatibilità di cui alla L. n. 39 del 1989, art. 5, comma 3, essere legittimamente iscritto nel ruolo dei mediatori; con la conseguenza che l’attività mediatoria dal medesimo svolta doveva ritenersi inidonea a determinare l’insorgenza di un diritto alla provvigione in capo all’impresa della sig.ra I.. Sotto altro aspetto, infine, la Corte distrettuale rilevava come l’incarico originariamente affidato alla Agenzia Immobiliare B. di I.C. concerneva la vendita dello stabilimento balneare di proprietà della società Giglio s.a.s. ed era, quindi, strutturalmente diverso rispetto all’affare poi effettivamente concluso – e per il quale l’attrice pretendeva la provvigione – che aveva ad oggetto la cessione delle quote della menzionate società Giglio s.a.s..

Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze l’Agenzia Immobiliare B. di I.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di cinque motivi.

I sig.ri R.U., G. e C. e C.C. hanno replicato con controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 15 ottobre 2019, per la quale non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione o falsa applicazione di legge in riferimento all’art. 1704 c.c.. Nel mezzo di impugnazione la difesa di parte ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere la diretta imputabilità dell’attività svolta da B.M. alla Agenzia immobiliare della sig.ra I. e – dopo aver sottolineato come il cognome ” B.” compaia nella ditta dell’impresa della signora I. – richiama, a suffragio del proprio assunto, le seguenti circostanze di fatto:

a) B.M. era comunemente ritenuto titolare dell’omonima agenzia sita in (OMISSIS), come desumibile dalla testimonianza del signor G.;

b) I.C., titolare dell’Agenzia, aveva accompagnato il marito all’incontro svoltosi il 23 settembre 2009 tra le parti interessate all’affare, pur se non aveva presenziato ai colloqui;

c) il suddetto incontro era stato organizzato dall’Agenzia.

Con il secondo motivo di ricorso, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 230 bis c.c.; la ricorrente censura l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui il sig. B. non avrebbe potuto essere in alcun caso qualificato come partecipante all’impresa familiare “stante la forma sociale e l’oggetto sociale della predetta Agenzia attrice”, sottolineando come l’impresa della signora I. venisse pacificamente esercitata in forma individuale e non societaria.

Con il terzo motivo di ricorso, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 39 del 1989, art. 5. Secondo la ricorrente, infatti, l’incompatibilità prevista da tale articolo costituirebbe causa di cancellazione del ruolo dei mediatori ma, fino all’effettuazione di tale cancellazione, l’iscrizione dovrebbe ritenersi efficace e, conseguentemente, l’attività mediatoria svolta in pendenza di iscrizione dovrebbe considerarsi produttiva del diritto alla provvigione.

Con il quarto motivo di ricorso, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1470 c.c., in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa ritenendo che l’affare effettivamente realizzato dalle parti (compravendita delle quote di partecipazione della società proprietaria dello stabilimento balneare) fosse del tutto diverso da quello per cui l’odierna ricorrente aveva ricevuto l’incarico di mediazione (compravendita dello stabilimento balneare).

Con il quinto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale da lei richiesta, tendente a dimostrare che fin dal 2008 i convenuti avevano affidato all’Agenzia Immobiliare B. di I.C. l’incarico di vendere lo stabilimento balneare (OMISSIS).

Il primo mezzo di ricorso va giudicato inammissibile perchè, sebbene denunci un vizio di violazione di legge, in effetti non sviluppa alcuna specifica argomentazione intesa a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 24298/16). In sostanza, il motivo si risolve in una doglianza di puro merito, che lamenta il mancato apprezzamento di circostanze che risultano prive del carattere di decisività prescritto dalla disposizione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato nel 2012. Al riguardo va qui ribadito che, come questa Corte ha più volte affermato già prima della modifica del testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, recata dalla riforma del 2012 (D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012), nel giudizio di cassazione non è consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (cfr. sent. n. 7972/07).

Il secondo, terzo e quarto mezzo sono inammissibili per carenza di interesse. Dichiarato inammissibile il primo mezzo di impugnazione, resiste all’impugnazione la ratio decidendi fondata sul rilievo che l’attività mediatoria di B.M. non risultava essere stata dal medesimo svolta in nome dell’Agenzia di sua moglie. Tale ratio decidendi è sufficiente a sorreggere autonomamente l’impugnata decisione, donde il venir meno dell’interesse del ricorrente alla discussione di motivi dl ricorso relativi all’altre ed alternative rationes decidendi, quali quella concernente l’impossibilità per il B. di assumere la qualità di partecipante all’impresa familiare (attinta con il secondo motivo), quella concernente l’efficacia dell’iscrizione nel ruolo dei mediatori (ora, a seguito del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, l’iscrizione nel registro delle imprese o nel REA) di un soggetto che versa in condizioni di incompatibilità L. n. 39 del 1989, ex art. 5 (attinta con il terzo motivo) e quella concernente la fungibilità, ai fini del diritto alla provvigione del mediatore, tra la vendita dell’unico cespite di una società e la vendita di tutte le quote della società proprietaria del cespite (attinta con il quarto motivo). E’ fermo insegnamento di questa Suprema Corte, infatti, che, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr., da ultimo, Cass. 11493/18).

Il quinto mezzo è inammissibile perchè formulato senza la necessaria specificità. Il motivo, infatti, è riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, ma non contiene alcuna indicazione in ordine alla norma processuale la cui violazione determinerebbe la nullità della sentenza o del procedimento. La ricorrente si limita ad affermare la decisività delle circostanze oggetto dei capitoli di prova testimoniale non ammessi, ma, ove anche si ritenesse possibile riqualificare il mezzo di impugnazione come denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (sub specie di omesso esame dei fatti decisivi formanti oggetto dei suddetti capitoli di prova testimoniale) la censura incorrerebbe egualmente in una declaratoria di inammissibilità, non avendo la ricorrente precisato se la richiesta di prova testimoniale (che a pag. 17 del ricorso si afferma essere stata “ribadita” nell’atto di citazione in appello) fosse stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado e in sede di precisazione delle conclusioni in appello (cfr. Cass. 5741/19: “La parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poichè, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all’ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall’asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione”).

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.600, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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