Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12649 del 18/06/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 12649 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ‘ricorso 12250-2013 proposto da:
MAGISTE INTERNATIONAL S.A. (C.F. 91036050127), in
persong.-edel legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO

Data pubblicazione: 18/06/2015

VENETO 7, presso l’avvocato DONATO BRUNO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2015
882

GIUSEPPE FAUCEGLIA, STANISLAO CHIMENTI, MAURIZIO
CANFORA, giusta procura a margine del ricorso e
giusta procura speciale per Notaio avv. MARIANGELA
PASQUINI di ROMA – Rep.n. 262 del 5.5.2015;

1

- ricorrente contro

FALLIMENTO MAGISTE INTERNATIONAL S.A., in persona
del Curatore prof. DOMENICO FAZZALARI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

GIAMPAOLINO, che lo rappresenta e difende, giusta
procura in calce al controricorso;

controricarrente

avverso la sentenza n. 204/2013 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 13/05/2015 dal Consigliere
‘.

Dott. ANTONIO DIDONE;
,K

uditi, per la ricorrente, gli Avvocati DONATO BRUNO
e MAURIZIO CANFORA che hanno chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito, per

il controricorrente, l’Avvocato CARLO

GIAMPAOLINO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M.,

SACCHETTI 11, presso l’avvocato CARLO FELICE

in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

)

2

Ragioni in fatto e in diritto della decisione
1.- Con sentenza depositata il 19.1.2007 il Tribunale di
Roma ha dichiarato il fallimento della “Magiste
International S.A.” su istanza del Pubblico Ministero del
26.6.2006 e con la sentenza n. 18752 del 2008 il medesimo

società avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
Contro

la predetta

sentenza

la

società Magiste

International S.A. ha proposto appello nei confronti del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario
di Roma e della Memofin S.p.A.
Instauratosi il contraddittorio, si è costituito in
giudizio l’appellato Fallimento Magiste International S.A.
chiedendo – tra l’altro – il riesame della già sollevata
eccezione di inammissibilità dell’opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento.
Con sentenza depositata il 14.1.2013 la Corte di appello
di Roma ha dichiarato inammissibile l’opposizione proposta
dalla società Magiste.
Ha rilevato, in sintesi, la corte di merito che,
conformemente al chiaro dettato normativo ed al condiviso
orientamento della Cassazione (diversamente da quanto
opinato dal giudice di primo grado) la norma di diritto
transitorio di cui all’art. 150 d.lgs. n. 5/2006 non
configura in senso unitario le due fasi che scandiscono il
fallimento in senso lato, applicando viceversa ad esse,
3

Tribunale ha rigettato l’opposizione proposta dalla

ove ancora in corso, il principio sancito dall’art. 11
delle preleggi.
Dall’applicazione di tali principi discende che, essendo
stata la sentenza di fallimento emessa in data 19 gennaio
2007, la norma applicabile in tema di impugnazione era

mezzo dell’appello davanti alla Corte competente. Talché,
in accoglimento dell’appello incidentale spiegato
dall’appellato Fallimento Magiste International S.A.,
l’impugnazione proposta in primo grado dalla fallita in
forma di opposizione davanti al Tribunale doveva essere
dichiarata inammissibile.
1.1.- Contro la sentenza di appello la società Magiste ha
:

proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Ha resistito con controricorso la curatela fallimentare
intimata.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno
depositato memoria.
2.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia
violazione di norme di diritto nonché vizio di
motivazione.
Lamenta

l’erronea

dichiarazione

di

inammissibilità

dell’opposizione. Invoca il principio dell’apparenza e
dell’affidamento processuale secondo il quale il rimedio
i

impugnatorio va individuato in base alla qualificazione
data al provvedimento dal giudice che lo ha emesso e,
4

quella riformata che ha introdotto l’impugnazione per

nella concreta fattispecie, il tribunale, nella sentenza
dichiarativa di fallimento aveva espressamente affermato
l’applicabilità della disciplina anteriore alla riforma.
2.2.- Con il secondo motivo denuncia violazione di norme
di diritto e vizio di motivazione e deduce che la sentenza

cui all’art. 150 d.lgs. n. 5/2006, contraddicendo la
giurisprudenza di merito formatasi sull’argomento, ha
costituito un vero e proprio “overruling”. Sì che
applicando i principi relativi a questo la corte di merito
avrebbe

dovuto

ritenere

ritualmente

proposta

l’opposizione.
2.3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia
motivazione contraddittoria e insufficiente in ordine alla
circostanza che la curatela fallimentare non avesse
impugnato l’affermazione della sentenza dichiarativa di
fallimento in ordine alla disciplina applicabile alla
concreta fattispecie.
3.- Osserva la Corte che, trattandosi di ricorso avverso
sentenza depositata nel 2013, è applicabile il nuovo testo
dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo introdotto dall’art.
54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7
agosto 2012, n. 134.
Talché, tutte le censure motivazionali dedotte secondo il
testo previgente

(peraltro su aspetti di diritto

5

della Cassazione in ordine alla disciplina transitoria di

processuale) sono inammissibili, così come l’intero terzo
motivo.
Nel resto le censure sono infondate per le stesse ragioni
che questa Corte ha già avuto modo di evidenziare in
fattispecie analoga (cfr. Sez. l, Sentenza n. 7152 del

È noto, invero, che la giurisprudenza delle sezioni unite
della Corte ha ripetutamente affermato il principio
secondo il quale l’individuazione del mezzo d’impugnazione
esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va
fatta in base alla qualificazione data dal Giudice
all’azione proposta,

alla controversia e alla sua

decisione, con il provvedimento impugnato, a prescindere
dalla sua esattezza, che resta sindacabile soltanto dal
Giudice cui spetta la cognizione dell’impugnazione ammessa
secondo il suddetto criterio (Cass., S.U., 932/1978,
4506/1978,

5096/1978,

2466/1986,

1914/1992,

3467/1994,

9287/1994,1146/2000; Cass 3630/01; Cass. 3400/01; Cass.
23084/05; Cass. 4693/07).
A tale proposito è stato ulteriormente precisato che la
qualificazione operata dal Giudice determina
l’ultrattività del rito ai fini della forma del gravame
(Cassazione S.U. 182/1999) e che si tratta dell’unica
opzione interpretativa conforme ai principi fondamentali
della certezza dei rimedi impugnatori e dell’economia
dell’attività processuale, evitando l’irragionevolezza di
6

2010, la cui motivazione va interamente condivisa).

imporre di fatto all’interessato di cautelarsi proponendo
due impugnazioni, nel dubbio sull’esattezza della
qualificazione operata dal Giudice a quo. Il principio
enunciato, che si suole definire “dell’apparenza”,
comporta che la scelta fra i mezzi di impugnazione

Giudice va compiuta in base alla qualificazione dell’atto,
la quale a sua volta dipende dalla qualificazione che il
Giudice appresta alla domanda della parte e dai poteri che
lo stesso Giudice esercita nel decidere.
Tale principio è stato seguito in particolare in
riferimento alle opposizioni in materia esecutiva ove è
costante l’indirizzo di correlare il mezzo di impugnazione
esperibile (diverso, secondo che si tratti di opposizioni
ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617 c.p.c.) alla
qualificazione data dal Giudice alla controversia (Cass.
n. 3069 del 1998; Cass. n. 9587 del 1998; n. 12785 del
1998; n. 10804 del 2000 ; Cass. n. 340 del 2001; n. 9057
del 2003; n. 9624 del 2003; n. 3404 del 2004).
Tale orientamento è stato seguito anche in tema di
controversia di lavoro in tema di opposizioni esecutive
(Cass. n. 3630 del 2001; n. 4787 del 2001; n. 9200 del
2001; n. 9292 del 2001), nonché in materia di opposizioni
a sanzioni amministrative in cui è stato ritenuto
ammissibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza
del pretore che abbia deciso la controversia in
7

astrattamente esperibili contro un provvedimento del

4

applicazione della L. n. 689 del 1981, sul presupposto
erroneo della riconducibilità del rapporto fra quelli da

..

essa contemplati,

(Cass.

S.U.

07/11/2000,

n.

1146;

Cassazione sez. un. n. 3599 del 2003). Anche con
riferimento alla materia fallimentare (Cass. n. 17526 del

del mezzo di impugnazione esperibile contro un
provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base
al principio cd. dell’apparenza”, ossia con riferimento
esclusivo alla qualificazione dell’azione esperita, per
come essa sia stata operata dal Giudice del provvedimento
stesso, e indipendentemente della sua esattezza.
Tuttavia i principi sovraindicati non appaiono pertinenti
nel presente giudizio.
Nel caso di specie, infatti, non si pone alcuna questione
di qualificazione giuridica della controversia e del
provvedimento emanato dal giudice, essendo indiscusso che
nel caso di specie si tratti di una sentenza dichiarativa
di fallimento.
In relazione a tale pronuncia il problema che si pone è
quello della legge applicabile in ragione della riforma
legislativa intervenuta per effetto del D.Lgs. n. 5 del
2006 come modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 e ciò sia
in relazione al procedimento seguito per pervenire alla
pronuncia di fallimento e sia in riferimento al tipo di
impugnazione da proporre avverso detta pronuncia.
8

2003; Cass. 18013/09) si è statuito che l’individuazione

A tale proposito devesi necessariamente fare riferimento
al principio già affermato da questa Corte secondo cui in
tema di impugnativa avverso la sentenza dichiarativa di
fallimento depositata in data successiva all’entrata in

2006), ma . su ricorso depositato anteriormente, trova
applicazione la nuova disciplina dell’art. 18, L. Fall.,
con conseguente necessità

di

proposizione dell’appello

alla corte d’appello (ovvero, se introdotto dal 1 gennaio
2008, del reclamo secondo il D.Lgs. n. 169 del 2007, art.
22 che, ancora riformando la norma, ne ha esteso la
portata alle procedure concorsuali pendenti) e non più
dell’opposizione allo stesso tribunale, in quanto la
disposizione sulla disciplina transitoria di cui all’art.
150 del predetto D.Lgs. – norma eccezionale rispetto al
principio generale della irretroattività della nuova
disciplina ex art. 11 preleggi cod. civ. e dunque da
interpretarsi restrittivamente – circoscrive la residua
portata delle norme precedenti alla sola definizione dei
ricorsi (anche se proposti prima del 16 luglio 2006) con
cui era instaurata la fase prefallimentare. Ne consegue
che, aprendosi con la sentenza dichiarativa di fallimento
una nuova fase del processo concorsuale, il provvedimento
deve rispettare nella forma e nel contenuto il novellato
a

disposto dell’art. 16, L. Fall. e parimenti la sua

impugnazione, introducendo un giudizio nuovo rispetto alla

n

9

vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 (cioè dopo il 16 luglio

fase prefallimentare ormai definita, va proposta nella
forma e secondo la disciplina riformata, costituendo la
sentenza di fallimento il “discrimen” tra due regimi
normativi. (Cass. 7471/08; Cass. 20551/09).

invocabili le pronunce di questa Corte in tema di
“overruling”, non essendosi verificato alcun mutamento
della giurisprudenza di legittimità in materia.
Da ultimo, quanto alla preclusione di cui all’art. 38
c.p.c., invocata dalla ricorrente in sede di memoria
depositata ex art. 378 c.p.c., va ricordato che nel nostro
ordinamento processuale civile non ha fondamento l’idea
che la regola di individuazione dell’ufficio giudiziario
legittimato ad essere investito dell’impugnazione sia
riconducibile alla nozione di competenza adoperata dal
codice di procedura civile nel Capo I del Titolo I del
Libro I, in quanto, se anche la disciplina della
individuazione del giudice dell’impugnazione assolve ad
uno scopo di massima simile sul piano funzionale a quello
che ha la disciplina della individuazione del giudice
competente in primo grado, l’una e l’altra afferendo a
regole che stabiliscono avanti a quale giudice debba
svolgersi un determinato tipo di processo civile, in
ragione del grado, tuttavia appare impossibile ravvisare
fra i due fenomeni normativi una eadem ratio sufficiente a
giustificare l’estensione anche parziale di aspetti
10

Principio, quest’ultimo, in relazione al quale non sono

applicativi

della

seconda

alla

prima

sul

piano

dell’analogia. Ne consegue che a quest’ultima non trovano
applicazione né la norma dell’art. 50 cod. proc. civ.
sulla cosiddetta “translatio judicii” né quella dell’art.
38, dello stesso codice sul regime di rilevazione della

26375/2011; Sez.

3, n.

11259/2014).

Invero, l’individuazione del giudice dell’impugnazione di
un provvedimento giurisdizionale attiene ad una competenza
di natura funzionale che prescinde dai comuni criteri di
collegamento tra una causa e un luogo, né é al riguardo
applicabile la norma di cui all’art. 38 cod. proc. civ.,
che si riferisce esclusivamente al giudizio di primo grado
e da ciò consegue il carattere funzionale della
competenza, che impedisce il definitivo suo radicamento
presso un giudice diverso per il solo fatto che la
relativa questione non sia stata posta “in limine litis”
(Sez. U, Ordinanza n. 23594 del 22/11/2010).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in
dispositivo – vanno poste a carico della ricorrente.
Infine, trattandosi di ricorso proposto successivamente al
31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il
versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo

unificato a norma del comma 1-bis, dell’articolo 13 del

11

incompetenza (Sez. 3, n. 2709/2005; Sez. 1, n.

d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge 24
dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità,

oltre accessori e spese forfettarie come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 coma 1 quater del d.P.R. n. 115 del

2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13.
e

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13
maggio 2015

liquidate in euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi

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