Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12645 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17419-2015 proposto da:

B.P., C.S., S.J.,

CA.LO., L.N., M.A.M., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G. FERRARI n. 11, presso lo studio

dell’avvocato IGNAZIO CASTELLUCCI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANIA SARTORI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

nonchè contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO – DIREZIONE GENERALE,

ISTITUTO TECNICO STATALE “CANGRANDE DELLA SCALA” già ISTITUTO

TECNICO GEOMETRI “CASAGRANDE DELLA SCALA” DI (OMISSIS), ISTITUTO

TECNICO STATALE “MARCO POLO” già ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE

“MARCO POLO” DI (OMISSIS), LICEO SCIENTIFICO STATALE “A.

MESSEDAGLIA” DI (OMISSIS), ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE STATALE

“LORGNA-PINDEMONTE” DI (OMISSIS), UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER

IL VENETO – DIREZIONE GENERALE – UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI

VERONA già CENTRO SERVIZI AMMINISTRATIVI DI VERONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 426/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/12/2014 R.G.N. 447/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. i ricorrenti, appartenenti all’area del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, avevano convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca chiedendo il riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della L. 3 maggio 1999 n. 124;

2. il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 435/2005, aveva accolto le domande ma la pronuncia era stata riformata dalla Corte di Appello di Venezia, che aveva posto a fondamento della decisione n. 274 del 2008 la norma, definita dal legislatore di interpretazione autentica, dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, della quale la Corte Costituzionale aveva escluso l’incostituzionalità;

3. con sentenza n. 23219/2012 questa Corte, ricostruiti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, e, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata, rinviando alla Corte d’Appello di Trieste per un nuovo esame, finalizzato a “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”;

4. la sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a. quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b. quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione deve essere “globale” e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c. quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento”;

5. il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte di Appello di Trieste con la sentenza qui impugnata che ha ritenuto infondata l’originaria domanda proposta dai ricorrenti;

6. la Corte territoriale, riassunta la vicenda processuale e precisato che nel giudizio di rinvio l’accertamento doveva essere limitato alla verifica del rispetto del principio di irriducibilità della retribuzione, ha evidenziato che la stessa legge di interpretazione autentica escludeva la possibilità di una reformatio in peius, impedita dal meccanismo della temporizzazione, compiutamente illustrato quanto alle modalità di applicazione, ed ha aggiunto che la domanda dei lavoratori era stata sin dall’origine prospettata solo come diritto ad ottenere la differenza di trattamento economico derivante dalla pretesa di ottenere un inquadramento stipendiale più alto rispetto a quello che il Ministero aveva loro riconosciuto;

7. ha aggiunto che il peggioramento retributivo sostanziale non poteva essere ricavato dal mancato riconoscimento di alcune voci del salario accessorio perchè, anche a voler superare la tardività della deduzione, formulata solo nel giudizio di rinvio e per ciò inammissibile, l’errore commesso dall’amministrazione nella individuazione della base di calcolo utile ai fini della temporizzazione non poteva mettere in dubbio la legittimità astratta del criterio e costituire la causa petendi di una domanda di riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio;

8. ha precisato, inoltre, quanto agli effetti futuri del criterio adottato, che nel comparto enti locali l’anzianità di servizio non incide sugli sviluppi della carriera e, pertanto, solo grazie al trasferimento i dipendenti avrebbero potuto beneficiare di una progressione fondata unicamente sull’anzianità;

9. ha aggiunto, infine, che l’asserito pregiudizio nella quantificazione della pensione e del trattamento di fine rapporto era smentito dal chiaro tenore letterale del D.P.R. n. 104 del 1993, artt. 2 e 13 richiamato dal D.M. 5 aprile 2001;

10. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso B.P. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di cinque motivi, ai quali il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con tempestivo controricorso, mentre sono rimasti intimati l’Ufficio Scolastico Regionale e gli istituti didattici.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano nullità del procedimento e della sentenza in relazione alla violazione degli artt. 394 e 112 c.p.c. ed assumono che ha errato la Corte territoriale nel ritenere precluse nel giudizio di rinvio nuove allegazioni e richieste probatorie qualora queste ultime, come si verifica nella fattispecie, siano rese necessarie al fine di consentire l’accertamento demandato al giudice del merito dalla sentenza rescindente;

2. la nullità del procedimento e della sentenza è eccepita, con riferimento all’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., anche con la seconda censura con la quale si addebita alla decisione gravata di avere errato nell’interpretazione della domanda formulata con l’atto di riassunzione, disattendendo erroneamente la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, formulata proprio al fine di dimostrare il peggioramento retributivo;

3. il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, come interpretato dalla sentenza rescindente, e della direttiva 77/187/CE come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 6 settembre 2011 nel procedimento c-108/2010 Scattolon” ed insiste nel sostenere che la comparazione non poteva essere effettuata in maniera statica bensì doveva essere espressa in una prospettiva dinamica in quanto anche le prestazioni pensionistiche ed il trattamento di fine rapporto vanno quantificati in relazione all’anzianità di servizio ed all’ammontare della retribuzione;

4. con il quarto motivo, rubricato “violazione dell’art. 360, n. 3 per contrasto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 2 con riferimento all’art. 117 Cost. e all’art. 6 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, i ricorrenti insistono nel prospettare il contrasto della legge di interpretazione autentica con i principi sanciti dal diritto convenzionale e sollecitano questa Corte a sollevare nuovamente questione di legittimità costituzionale perchè le pronunce della Corte EDU rendono non più attuale la valutazione già espressa al riguardo dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 311/2009;

5. la questione di legittimità costituzionale è riproposta anche con il quinto motivo in relazione alla violazione dell’art. 1 del protocollo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sul rilievo che prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria relativa all’anno 2006 i ricorrenti beneficiavano quanto meno di una “speranza legittima” di ottenere il pagamento delle somme controverse e, pertanto, con il suo intervento il legislatore italiano illegittimamente si è ingerito nell’esercizio del diritto determinando la perdita del “bene”;

6. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni, per le ragioni già indicate da questa Corte con le ordinanze nn. 7429/2018 e 7610/2019, pronunciate in fattispecie analoghe;

6.1. i primi tre motivi, con i quali sostanzialmente si addebita al giudice del rinvio di non avere correttamente applicato il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, sono inammissibili perchè, da un lato, non colgono l’effettiva ratio decidendi della pronuncia nè censurano tutti gli argomenti sulla base dei quali la Corte territoriale ha rigettato l’originaria domanda, dall’altro finiscono per mettere in discussione il criterio indicato da questa Corte al punto 13 della sentenza n. 23219/2012 e per prospettare un concetto di “peggioramento” che non è quello che si trae dalla sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C- 108/10, Scattolon, e dalla pronuncia rescindente;

6.2. nello storico di lite si è evidenziato che il giudice del rinvio, analizzato il meccanismo della temporizzazione, ha ritenuto che quest’ultimo fosse di per sè idoneo a garantire la conservazione del trattamento economico in precedenza goduto ed ha aggiunto che eventuali errori dell’Amministrazione nella determinazione della base retributiva utile integrassero una diversa causa petendi rispetto a quella fatta valere nel giudizio;

6.3. questa ratio decidendi non è censurata in modo specifico dai ricorrenti, che non individuano rispetto a detta statuizione l’error in procedendo o in iudicando nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, perchè tutte le argomentazioni sviluppate nel primo motivo si incentrano solo sull’ammissibilità delle allegazioni e delle richieste istruttorie formulate nel giudizio di rinvio;

6.4. è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui “la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, nè contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato; detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione. ” (Cass. n. 17182/2020);

7. si aggiunga che il primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene che dovevano trovare ingresso le allegazioni e le richieste istruttorie, formulate nel giudizio di rinvio perchè rese necessarie dalla sentenza rescindente, non rispetta gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, in quanto i ricorrenti non riportano il contenuto dell’atto di riassunzione e dei documenti che il giudice del rinvio, erroneamente, avrebbe omesso di valutare;

7.1. il requisito imposto dal richiamato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto ai quali la Corte è giudice del “fatto processuale”, perchè l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

7.2. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019);

8. parimenti inammissibili sono le censure con le quali si sostiene che il giudice del rinvio avrebbe dovuto tener conto degli sviluppi di carriera ed effettuare la comparazione in una prospettiva “dinamica”, atteso che questa Corte al punto 13 della sentenza n. 23219/2012 ha con chiarezza individuato il momento temporale rilevante ai fini dell’accertamento, da effettuare in relazione alla data del trasferimento;

8.1. a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione (cfr. fra le tante Cass. n. 11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010; Cass. n. 1995/2015);

9. infine quanto al quarto ed al quinto motivo, occorre innanzitutto ribadire l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa del giudice di merito circa la rilevanza e la non fondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perchè il relativo provvedimento (benchè eventualmente ricompreso, da un punto di vista formale, in una sentenza) ha carattere puramente ordinatorio” (Cass. n. 284/2018);

9.1. peraltro, poichè la questione di legittimità può essere riproposta in ogni stato e grado del giudizio, le critiche mosse alla sentenza impugnata, seppure inammissibili per le ragioni indicate nel punto che precede, possono essere ritenute mera sollecitazione del potere del giudice di legittimità di promuovere, anche a prescindere dalle prospettazioni delle parti, l’incidente di costituzionalità;

9.2. al riguardo il Collegio, nel ribadire l’orientamento consolidato già espresso (cfr. fra le tante Cass. nn. 14892, 22996 e 23382 del 2020; Cass. nn. 7859 e 4437 del 2019; Cass. n. 3016/2018), non ritiene che le pronunce della Corte EDU costituiscano una sopravvenienza idonea a giustificare l’attivazione del procedimento incidentale di legittimità costituzionale in relazione ad una norma di legge la cui legittimità è stata scrutinata dalla Corte Costituzionale in più pronunce (Corte Cost. nn. 234 e 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009);

9.3. in altra vicenda che, quanto ai rapporti fra le Corti superiori, presenta profili di affinità a quella oggetto di causa, il Giudice delle leggi ha ribadito che il vincolo derivante dalle sentenze della Corte EDU attiene all’interpretazione della norma convenzionale, ma non si estende alla valutazione espressa sulla sussistenza di motivi imperativi di interesse generale, che solo la Corte Costituzionale può compiere perchè essa, a differenza della Corte di Strasburgo “opera una valutazione sistemica e non isolata dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è quindi tenuta al bilanciamento, solo ad essa spettante ” (Corte Cost. n. 264/2012; va segnalato che la stessa Corte, nuovamente adita a seguito della sopravvenienza di ulteriore pronuncia della Corte EDU, con la sentenza n. 166/2017 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica dettata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777, prospettata questa volta in relazione alla violazione non dell’art. 6 della CEDU, bensì dell’art. 1 del Protocollo addizionale, in una fattispecie nella quale la norma interpretativa aveva inciso sull’entità della pensione già corrisposta agli aventi diritto);

9.4. va, poi, ricordato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 311/2009, oltre a valutare la conformità della legge di interpretazione autentica in relazione al parametro invocato (art. 117 Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU) ha anche ribadito principi già affermati con la sentenza n. 234/2007, che aveva, da un lato, evidenziato la valenza generale del criterio del maturato economico, introdotto dalla L. n. 312 del 1980, dall’altro la necessità di un’interpretazione della L. n. 124 del 1999, art. 8 che, senza determinare una reformatio in malam partem di una situazione patrimoniale in precedenza acquisita, tenesse anche conto del regime generale dettato per l’impiego pubblico e dell’invarianza della spesa, imposta dalla stessa L. n. 124 del 1999 ai fini del rispetto dell’art. 81 Cost., invarianza della quale le parti collettive si erano poi fatte carico;

9.5. la Corte, quindi, nelle pronunce citate, sia pure in relazione ad altri parametri invocati dai giudici rimettenti, ha espresso considerazioni, anche in relazione al legittimo affidamento, dalle quali può desumersi la manifesta infondatezza della questione riproposta in questa sede dai ricorrenti;

10. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

11. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 6000,00 per competenze professionali oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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