Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12642 del 12/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 12/05/2021), n.12642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25505-2018 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,

presso lo studio Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, rappresentato e

difeso dagli avvocati RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, VINCENZO LUCIANI, e

CONCETTO FERRAROTTO;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 601/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/06/2018 R.G.N. 423/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. MUCCI ROBERTO,

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Catania ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso proposto da M.L. nei confronti dell’Università degli Studi di (OMISSIS) ed aveva dichiarato illegittima la revoca dell’incarico di direttore generale, condannando l’Ateneo a ripristinare il rapporto fino alla sua naturale scadenza, a corrispondere le retribuzioni maturate sino alla data dell’effettiva riammissione in servizio, al risarcimento del danno non patrimoniale patito dal ricorrente, quantificato in complessivi Euro 113.479,26.

2. La Corte territoriale, respinta l’eccezione di rito relativa alla nullità o improcedibilità dell’appello dell’Università per difetto di procura, ha ritenuto assorbente e fondato il motivo di gravame con il quale l’appellante aveva riproposto la questione della nullità del contratto stipulato in difetto della necessaria selezione pubblica.

3. Il giudice d’appello ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di conferimento degli incarichi dirigenziali, i principi affermati dalla Corte costituzionale sugli obblighi che l’art. 97 Cost. impone alle pubbliche amministrazioni nonchè gli arresti della giurisprudenza amministrativa e contabile, alla luce dei quali ha interpretato la L. n. 240 del 2010, art. 2 pervenendo alla conclusione che la norma, nella parte in cui impone di scegliere il direttore generale tra personalità di elevata qualificazione e comprovata esperienza pluriennale in funzioni dirigenziali, presuppone che la scelta stessa avvenga all’esito di procedura, se non concorsuale almeno selettiva, che consenta di individuare il soggetto cui conferire l’incarico fra una pluralità di aspiranti, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, nonchè di correttezza e buona fede.

4. Ne ha desunto la contrarietà a norma imperativa di legge del contratto individuale, stipulato il 20 agosto 2012 in difetto di procedura di selezione, e ha ritenuto infondata sia la domanda di accertamento dell’illegittimità della revoca, sia quella di risarcimento del danno patrimoniale e del danno alla professionalità, evidenziando che il lavoratore non può pretendere che la Pubblica Amministrazione dia esecuzione ad un negozio invalido.

5. Quanto al danno all’immagine il giudice d’appello, pur dando atto della risarcibilità dello stesso a prescindere dalla validità del rapporto contrattuale, ha sottolineato che il risarcimento presuppone la prova della diminuita considerazione del preteso danneggiato nell’ambiente universitario o nell’ambiente sociale in genere, perchè il danno non è mai in re ipsa e non è sufficiente a fini probatori la mera potenzialità lesiva della condotta sicchè, qualora si solleciti il ricorso alla prova presuntiva, occorre che siano allegate circostanze concrete dalle quali desumere il pregiudizio subito.

6. Infine la Corte territoriale ha rilevato che non sussiste responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui i fatti materiali addebitati siano sussistenti e la contestazione avvenga con modalità non ingiuriose e nel rispetto delle garanzie difensive del dipendente.

7. Sulla base di considerazioni analoghe il giudice d’appello ha ritenuto infondata anche la domanda di risarcimento del danno all’immagine proposta dall’Università, perchè non era stata offerta prova del discredito subito nè di un comportamento colposo del dirigente, e pertanto, in considerazione della parziale reciproca soccombenza, ha compensato per un quarto le spese di lite, ponendo a carico del M. la quota residua.

8. Per la cassazione della sentenza M.L. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi ai quali l’Università degli Studi di (OMISSIS) ha replicato con controricorso.

9. La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale, è stata poi fissata in pubblica udienza in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.

10. La Procura Generale ha concluso D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis, convertito in L. n. 176 del 2020, per il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione “del combinato disposto della L. n. 240 del 2010, art. 2, comma 1, lett. o e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 16, comma 1, lett. f, a sua volta recepito nel vigente statuto di Ateneo, art. 11, comma 2, lett. f) nonchè nel regolamento di Ateneo, D.R. 8 ottobre 2015, n. 3387 dell’art. 13, comma 3, in relazione agli artt. 75 e 83 c.p.c.; violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1611 del 1933, artt. 43 e 45; degli artt. 163,164,414 e 434 c.p.c. ” e sostiene, in sintesi, che dall’incontestata esistenza di un’Avvocatura di Ateneo, strutturalmente e normalmente incaricata della difesa in giudizio dell’Università, discendeva l’obbligo per il Direttore Generale di indicare le ragioni per le quali il patrocinio veniva conferito all’Avvocatura dello Stato anzichè a quella interna e pertanto, in mancanza della necessaria previa determinazione, l’appello doveva essere ritenuto nullo per difetto di procura ad agire o di capacità ad agire.

2. La seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla Corte territoriale di avere violato l’art. 97 Cost. e la L. n. 240 del 2010, art. 2, comma 1, lett. n), nel ritenere che il contratto del 20 agosto 2012, stipulato previo conferimento dell’incarico avvenuto con delibera del Consiglio di Amministrazione su proposta del Rettore, fosse affetto da nullità perchè non preceduto da procedura selettiva.

Il ricorrente, dopo avere evidenziato la contraddittorietà della condotta processuale della controparte, che in altro giudizio instaurato innanzi al Tar aveva invece sostenuto che la nomina non dovesse essere preceduta da alcuna forma di pubblicità, sostiene che il rapporto di lavoro che si instaura fra l’Università e il Direttore Generale non è assimilabile a quello dirigenziale disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, perchè solo quest’ultimo prevede l’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, sul quale poi si innesta il conferimento dell’incarico a termine. Il motivo di ricorso fa leva sulla specialità della normativa dettata dalla L. n. 240 del 2010 che, nel rispetto dell’autonomia universitaria già sancita in attuazione dell’art. 33 Cost. dalla L. n. 168 del 1989, impone solo la partecipazione al procedimento di tutti gli organi universitari e la individuazione di un soggetto che sia dotato di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali. Aggiunge che in tal senso la L. n. 240 del 2010 è stata interpretata dalla maggior parte degli Atenei statali, i quali nei loro statuti non hanno previsto nè avviso pubblico nè procedura selettiva, trattandosi di requisiti non richiesti dal legislatore che, invece, per i componenti del consiglio di amministrazione ha fatto riferimento a “candidature individuate, anche mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovate competenze in campo gestionale”. Il ricorrente evidenzia, infine, che solo nell’anno 2015 l’Università di (OMISSIS) si è dotata di un nuovo regolamento di Ateneo nel quale, con scelta innovativa rispetto al passato, è stato previsto per la prima volta l’avviso pubblico finalizzato a consentire al Rettore di effettuare la scelta discrezionale nell’ambito di una rosa di candidati idonei a ricoprire l’incarico di Direttore Generale.

3. Con il terzo motivo M.L. si duole della “violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 2, artt. 2118,2043,2059 e 2729 c.c., artt. 323,595 e 612 bis c.p.; art. 2 Cost.” e sostiene che senz’altro ingiurioso deve ritenersi l’addebito di gravissime illegalità, qualora risulti poi provata solo la condotta materiale ma non l’illegittimità della stessa. Aggiunge che la prova del pregiudizio subito doveva essere desunta, nel rispetto dell’art. 2729 c.c., da molteplici elementi gravi, precisi e concordanti allegati nel ricorso introduttivo, quali il clamore mediatico della vicenda, il ruolo apicale ricoperto dal direttore generale, la circostanza che quest’ultimo dopo l’estromissione dalla carica amministrativa si fosse trovato a dover operare all’interno dello stesso Ateneo in qualità di ricercatore confermato “con il marchio infamante di chi aveva asseritamente compiuto atti illeciti”.

4. La quarta critica addebita alla Corte territoriale l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudice di merito avrebbe omesso di considerare le allegazioni e gli elementi di prova offerti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, supportati dalla documentazione allo stesso allegata, in relazione ai quali l’Università appellante nulla aveva dedotto, tanto che l’appello avrebbe dovuto essere considerato inammissibile sul punto.

5. Infine il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 91,92 e 88 c.p.c. e censura il regolamento delle spese di lite rilevando che il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare la condotta quantomeno opportunistica dell’Università, la quale aveva essa stessa dato causa al vizio sul quale poi aveva fatto leva per eccepire, tra l’altro solo in sede di appello, la nullità del contratto.

6. Il primo motivo di ricorso è infondato alla luce del principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la difesa in giudizio delle Università deve essere assunta R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 43 dall’Avvocatura dello Stato, salvo che non ricorra una delle specifiche ipotesi derogatorie previste dal richiamato art. 43, che consente di avvalersi del patrocinio di avvocati del libero foro in caso di conflitto di interessi con l’amministrazione statale o di motivata deliberazione da sottoporre al controllo degli organi di vigilanza (Cass. S.U. n. 24876/2017).

Una volta intervenuta l’autorizzazione ex art. 43 comma 1, nella specie prevista dal R.D. n. 1592 del 1933, art. 56 non abrogato dalla L. n. 168 del 1989, la rappresentanza è “organica ed esclusiva” (art. 43, comma 3) e, pertanto, assume connotazioni analoghe a quella delle amministrazioni statali, con la conseguenza che l’assunzione della difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato non richiede alcun mandato nè presuppone un previo atto deliberativo.

6.1. I richiamati principi non subiscono deroghe qualora, come nella fattispecie, l’Università, esercitando il potere di autonomia statutaria previsto dall’art. 33 Cost. e dalla L. n. 168 del 1989, si doti di un’avvocatura interna, perchè anche in tal caso non vengono meno gli interessi pubblici che il legislatore ha apprezzato nel dettare la disciplina del patrocinio autorizzato.

Infatti le ragioni per le quali enti diversi dallo Stato sono tendenzialmente obbligati ad avvalersi dell’Avvocatura non si esauriscono nella sola necessità di evitare inutile dispendio di denaro pubblico, giacchè la difesa unitaria persegue anche l’obiettivo di tutelare, ove non emerga un evidente conflitto, l’interesse del singolo ente in modo armonico rispetto alle esigenze pubbliche perseguite dallo Stato e dalla P.A. nel suo complesso.

Va, quindi, escluso che l’Università, seppure in condizione di avvalersi di dipendenti autorizzati all’esercizio della professione legale, debba esplicitare le ragioni per le quali ritenga opportuno affidare la difesa all’Avvocatura, perchè il potere di rappresentanza è conferito a quest’ultima dalla legge e la Delib. motivata è richiesta solo qualora l’ente ritenga di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario.

7. E’, invece, fondato il secondo motivo di ricorso, giacchè ha errato la Corte territoriale nell’estendere al direttore generale dell’università principi che valgono, quanto all’instaurazione del rapporto, per l’impiego pubblico a tempo determinato o indeterminato.

Con la L. n. 240 del 2010 il legislatore, nel dichiarato intento di accrescere la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ha delineato un modello uniforme di organizzazione delle università pubbliche e, nel formale rispetto del riparto di competenze di cui all’art. 33 Cost. (Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato), con l’art. 2 ha fissato principi e criteri direttivi che si pongono come limite, anche interno, all’autonomia statutaria.

Alle Università è stato, quindi, imposto di adeguare i propri statuti al nuovo assetto organizzativo delineato dalla legislazione statale la quale, oltre a prevedere la costituzione di organi necessari (rettore, senato accademico, consiglio di amministrazione, collegio dei revisori dei conti, nucleo di valutazione e direttore generale), di quegli organi ha indicato le principali attribuzioni, dettando anche regole inerenti la composizione, le procedure di formazione, la durata in carica, il regime delle ineleggibilità e incompatibilità.

Il legislatore, poi, ha fissato termini e procedure per l’adeguamento degli statuti, ribadendo il potere di controllo ministeriale già previsto dalla L. n. 168 del 1989, art. 6 e prevedendo anche un potere di intervento sostitutivo, da esercitare in caso di inerzia dell’Ateneo, previa diffida.

Peraltro la legge, sia pure ponendo limiti e criteri direttivi, rinvia alla fonte statutaria la disciplina definitiva del complessivo assetto organizzativo dell’università (art. 2, comma 1), sicchè si può sin d’ora affermare che nelle materie non disciplinate o nei casi in cui un limite non sia espressamente posto, torna ad espandersi in tutta la sua pienezza l’autonomia riconosciuta dall’art. 33 Cost., comma 6.

8. Fra gli organi necessari dell’ateneo è stato inserito il direttore generale, al quale il legislatore ha attribuito “la complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo” nonchè i “compiti, in quanto compatibili, di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 6”, da esercitare “sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio di amministrazione”.

Quanto alle modalità di costituzione del rapporto che si instaura con il direttore generale, la lett. n) del richiamato art. 2 prevede l’intervento di tutti gli organi di governo dell’Ateneo, perchè il potere di nomina è attribuito al consiglio di amministrazione, su proposta del rettore e previo parere del senato accademico. Si stabilisce, inoltre, che il designato deve essere scelto tra “personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali” e che l’incarico deve essere regolato da “contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato di durata non superiore a quattro anni rinnovabile”. Al Ministro dell’Istruzione, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze, è rimessa la fissazione dei criteri e dei parametri per la quantificazione del trattamento economico ed infine si prevede il collocamento in aspettativa senza assegni qualora l’incarico venga conferito a dipendente pubblico.

8.1. Si tratta, quindi, di una disciplina speciale (cfr. Cass. n. 4876/2020) che sottrae il rapporto intercorrente con il direttore generale dall’ambito dell’impiego pubblico e dall’applicazione della normativa dettata per la dirigenza dal D.Lgs. n. 165 del 2001, decreto che, non a caso, viene richiamato solo limitatamente ai compiti elencati dall’art. 16, in quanto compatibili.

Va rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, nel caso in cui sia la legge a qualificare espressamente come privato il rapporto di lavoro, anche dopo la contrattualizzazione dell’impiego pubblico, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto stesso, valorizzando la natura del datore di lavoro e lo stabile inserimento nell’organizzazione amministrativa dell’ente, perchè risulta essere prevalente, rispetto a detti criteri, la definizione normativa (Cass. S.U. n. 14847/2006, Cass. S.U. n. 18622/2008; Cass. S.U. n. 24670/2009; Cass. S.U. n. 8985/2010).

8.2. Il legislatore, inoltre, nell’individuare nel direttore generale un “organo” dell’Ateneo, distinto dagli organi di governo e da quelli di controllo ma anche dalla dirigenza amministrativa dell’Università, ha evidentemente inteso affidare ad una figura manageriale apicale la complessiva gestione ed organizzazione dell’apparato amministrativo, assegnando all’organo di gestione il compito di realizzare il necessario raccordo fra gli organi di governo, titolari del potere di indirizzo strategico, e la struttura burocratica dell’ente.

In ragione di questa peculiare funzione si comprende la partecipazione, sia pure con poteri diversi, del rettore, del consiglio di amministrazione e del senato accademico alla procedura di designazione che precede la conclusione del contratto, procedura che evidentemente è giustificata dalla natura fiduciaria dell’incarico.

9. Ferma, quindi, l’impossibilità di estendere al rapporto del quale qui si discute la disciplina dettata per l’impiego pubblico contrattualizzato, va detto che la L. n. 240 del 2010, art. 2 quanto alle modalità di individuazione del direttore generale, si limita a prevedere che lo stesso debba essere scelto tra soggetti in possesso dei titoli indicati nella richiamata lettera n) e non limita ulteriormente l’autonomia statutaria dell’Università.

Come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte la legge “nello stabilire le caratteristiche del direttore generale dell’Ateneo… nulla specifica circa le concrete modalità di individuazione della figura a cui conferire l’incarico di direttore generale, e se cioè debba avvenire per chiamata diretta, ovvero mediante procedura selettiva e se questa debba essere meramente idoneativa ovvero necessariamente comparativa” (Cass. S.U. n. 22431/2018).

E’ significativo al riguardo il confronto con la lettera i) stessa Legge nella quale, invece, per la scelta dei componenti del consiglio di amministrazione si è fatto riferimento a “candidature individuate, anche mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello con una necessaria attenzione alla qualificazione scientifica culturale”.

9.2. Non è contestato fra le parti che, all’epoca, lo Statuto dell’Università di (OMISSIS) non imponesse di effettuare la scelta all’esito di una procedura selettiva, sicchè erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto il contratto affetto da nullità, pur in assenza di una norma imperativa che fissasse, quale condizione per la stipula del negozio di diritto privato, la previa procedimentalizzazione della scelta.

Ribadito che non trovano applicazione nella fattispecie le norme che disciplinano la costituzione del rapporto di impiego pubblico, va richiamato l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di nullità virtuale, secondo cui, ove manchino norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, il vizio genetico deve essere escluso sulla base della “tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità” (Cass. S.U. n. 26724/2007).

10. Ne discende che, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, da condurre sulla base dei principi enunciati nei punti che precedono.

Restano, di conseguenza assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto motivo.

Al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

L’accoglimento del ricorso rende inapplicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater quanto al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e assorbe gli ulteriori motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di (OMISSIS), in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021

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