Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1264 del 19/01/2018
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1264 Anno 2018
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA
Ud. 19/10/2017
ORDINANZA
CC
sul ricorso 12847-2016 proposto da:
AZIENDA
AGRICOLA
dell’amministratore
CAMILLA
SS
MIRELLA
in
BINDA,
persona
considerata
domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIUSEPPE ANTONINO LOCANDRO giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
2017
2012
RIZZARDI ADELAIDE, considerata domiciliata ex lege in
ROMA,
presso
CASSAZIONE,
RENATQ
la
CANCELLERIA
DELLA
CORTE
DI
rappresentata e difesa dall’avvocato
MONTANARI
qiu.5Lo_
prccura
in
calco
Al
Data pubblicazione: 19/01/2018
controricorso;
– controrícorrente
–
avverso la sentenza n. 215/2016 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 14/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/10/2017 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
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FATTI DI CAUSA
1. Adelaide Rizzardi convenne in giudizio, davanti al Tribunale di
Brescia, Sezione specializzata agraria, la società semplice Agricola Camilla
e – sulla premessa che la medesima era conduttrice di un fondo agricolo
di sua proprietà in base ad un contratto verbale e che si era resa morosa
nel pagamento dei canoni dell’ultimo triennio – chiese che il contratto di
con conseguente ordine di rilascio del fondo.
La società Agricola Camilla rimase contumace.
Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò la risoluzione del contratto
di affitto per inadempimento della società convenuta e condannò la
medesima al rilascio del fondo per la fine dell’annata agraria ed al
pagamento dei canoni residui per la somma di euro 15.750, il tutto con il
carico delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dalla società Agricola Camilla e la
Corte d’appello di Brescia, Sezione specializzata agraria, ha rigettato il
gravame, ha confermato la sentenza del Tribunale ed ha condannato
l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, preliminarmente, che erano del
tutto inconsistenti le ragioni addotte dalla parte appellante a
giustificazione della mancata comparizione in sede conciliativa e della
contumacia in primo grado; ed infatti, anche volendo ammettere che
l’amministratrice della società non fosse abituata, in considerazione
dell’età avanzata, alla lettura della posta elettronica, tuttavia la società
risultava avere un valido indirizzo PEC depositato presso la Camera di
commercio di Brescia, per cui l’eventuale incapacità di utilizzarlo non
poteva assumere alcun rilievo giustificativo.
Quanto al merito, dando per pacifico che nessuna produzione
documentale era ammissibile per la parte appellante, la Corte d’appello ha
osservato che la domanda della Rizzardi, se fondata sul dato puro e
semplice dell’intervenuta stipulazione di un contratto verbale di affitto,
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affitto fosse dichiarato risolto per grave inadempimento della convenuta,
sarebbe
stata
destinata
al
rigetto,
anche
in
considerazione
dell’inammissibilità della produzione di nuova documentazione in appello,
preclusa ai sensi dell’art. 345 del codice di procedura civile.
L’esito processuale, però, era da ritenere favorevole alla Rizzardi
perché in atti era presente la lettera del 10 febbraio 2012 con la quale
Mario Facchetti, socio dell’Agricola Camilla e per conto della medesima,
della locatrice, della somma corrispondente ai canoni di affitto relativi agli
anni dal 2009 al 2012. Quel documento rendeva certa l’esistenza del
contratto che, diversamente, non avrebbe avuto alcun riscontro oggettivo.
Ha poi aggiunto la Corte bresciana che le contestazioni difensive della
società Agricola Camilla erano da ritenere, sul punto, infondate sia da un
punto di vista formale che sostanziale. Il disconoscimento del documento
suindicato era inammissibile, posto che la sottoscrizione dello stesso non
proveniva dalla parte ma da un terzo; quanto al preteso errore invocato
dalla società appellante – secondo cui il pagamento sarebbe stato
imputato, per un fraintendimento del Facchetti, alla società Agricola
Camilla la quale, invece, non era parte del contratto di affitto – la Corte ha
ritenuto la circostanza «priva di oggettivi riscontri, a fronte della chiara
rappresentazione grafica dell’intestatario indicato come mittente della
lettera, con tanto di partita IVA della società rappresentata», non
potendosi immaginare che il Facchetti avesse frainteso l’effettivo soggetto
obbligato al pagamento.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorre la società
semplice Agricola Camilla con atto affidato a tre motivi.
Resiste Adelaide Rizzardi con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
dell’art. 214 del codice di procedura civile.
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aveva dato atto, scusandosi del ritardo, dell’avvenuto bonifico, in favore
Rileva la società ricorrente che sarebbe errata l’argomentazione della
Corte d’appello secondo cui il disconoscimento della lettera del 10 febbraio
2012 non poteva ritenersi ammissibile. Tale argomentazione viene definita
«apodittica» perché la società Agricola Camilla, benché contumace in
primo grado, aveva sollevato in appello «una chiara ed inequivoca
impugnazione» volta a contestare l’autenticità della sottoscrizione
disconoscere la scrittura privata contro di lei prodotta.
1.1. Il motivo, di per sé formulato con una tecnica che è ai limiti
dell’inammissibilità, è comunque privo di fondamento.
Ed infatti la censura, senza tenere in considerazione la motivazione
della Corte d’appello, ribadisce di aver proposto appello sul punto e
sostiene che la decisione sarebbe apodittica.
In realtà, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del
principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’onere di
disconoscimento della scrittura privata previsto dagli artt. 214 e 215 cod.
proc. civ. presuppone che il documento prodotto contro una parte del
processo provenga dalla parte stessa, mentre non opera nel diverso caso
della scrittura proveniente da un terzo, non producendosi in tal caso
l’effetto di inutilizzabilità della scrittura che, una volta disconosciuta, non
sia stata fatta oggetto di verificazione ex art. 216 cod. proc. civ. (Sezioni
Unite, sentenza 23 giugno 2010, n. 15169, nonché sentenza 31 ottobre
2014, n. 23155). La scrittura privata proveniente da un terzo, se
disconosciuta, va cioè valutata dal giudice come elemento indiziario, alla
luce del quadro probatorio complessivo. Il che è quanto la Corte di merito
ha fatto, ritenendo che dal contesto della vicenda concreta fosse pacifico
che quel documento costituiva prova dell’esistenza del contratto e che il
presunto errore nel destinatario del pagamento non fosse credibile.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
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dell’indicato documento. D’altra parte, l’art. 214 cit. consente alla parte di
Osserva la società ricorrente che la sentenza impugnata,
nell’affermare che doveva ritenersi ben difficile che Mario Facchetti,
nell’inviare la contestata lettera, avesse equivocato sul chi era tenuto
realmente al pagamento, avrebbe in tal modo erroneamente ritenuto che
la società Agricola Camilla avesse un unico socio; era pacifico in atti,
invece, che si trattava di una società semplice il cui amministratore era
grado da parte della Rizzardi.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, dimostrando di non aver correttamente inteso la
motivazione della sentenza impugnata, riconduce alla stessa
un’affermazione che manca completamente; la Corte d’appello ha
ritenuto, con una valutazione di merito insindacabile in questa sede, che
non fosse credibile che il Facchetti avesse equivocato sul destinatario del
pagamento, ma nulla ha detto sulla composizione sociale della parte
ricorrente. Né è chiaro quale sarebbe l’omissione decisiva, rilevante ai fini
del contestato vizio di motivazione.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione
dell’art. 163, terzo comma, n. 4), e dell’art. 167, primo comma, del codice
di procedura civile.
Il motivo pone in evidenza che l’attività di allegazione compete in via
esclusiva alle parti; l’inammissibilità del disconoscimento, invece, sarebbe
stata affermata dalla Corte d’appello senza che le parti l’avessero
prospettata, trattandosi di elemento estraneo all’oggetto della causa ed
alle circostanze di fatto sulle quali si era instaurato il contraddittorio.
3.1. Il motivo è inammissibile, stante la sua evidente non pertinenza
rispetto al
decisum.
La Corte d’appello, infatti, era chiamata a
pronunciarsi, alla luce di quanto si è detto a proposito del primo motivo,
sul disconoscimento del documento suindicato e tanto ha fatto,
pervenendo alle conclusioni richiamate. La contestazione prospettata si
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Mirella Binda, come emergeva anche dalla notifica della sentenza di primo
rileva, quindi, del tutto inconferente rispetto all’effettiva
ratio decidendi
della sentenza impugnata.
4. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo
2014, n. 55.
unificato, trattandosi di causa esente per legge (sentenza 31 marzo 2016,
n. 6227).
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e
condanna
la società ricorrente al
pagamento delle spese delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 2.800, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile, il 19 ottobre 2017.
Non si fa luogo all’ulteriore obbligo di versamento del contributo