Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12639 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 25/06/2020), n.12639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TEDESCO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18975/2015 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

76, presso lo studio dell’avvocato DONATELLO FUMIA, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIANCARLO RUSSO, FRANCESCO CAPUTO;

– ricorrente –

contro

A.F., rappresentato e difeso dagli avvocati PASQUALE P.

FATIGATO, SALVATORE FERRAZZANO;

– controricorrente al ricorso principale e all’incidentale –

e contro

COMIFIN SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TINTORETTO 88, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MIANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FABRIZIO CONTE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 976/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, per il rigetto del primo motivo, l’accoglimento del

secondo, assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 25 giugno 2015, la Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato: a) M.A. e la Comifin s.p.a., in solido tra loro, al pagamento, in favore di A.F., della somma di 35.807,68 Euro, oltre accessori di legge; b) il solo M. al pagamento, in favore dell’ A., della somma di 3.098,74 Euro, oltre accessori di legge; c) il M. e la Comifin s.p.a. al pagamento, in favore dell’ A., delle spese del doppio grado di giudizio.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il Tribunale aveva esattamente individuato nel M. il committente dei lavori, giacchè lo stesso A. aveva dedotto di essere stato contattato dal M. per la fornitura e la posa in opera degli arredi della farmacia di quest’ultimo e di avere emesso due fatture nei confronti di Comifin s.p.a. solo in quanto informato dal M. che questi si era avvalso di una formula di finanziamento; b) che l’ A. aveva riconosciuto di non avere ricevuto alcun corrispettivo dalla Comifin s.p.a., in quanto era stato il M. a versargli degli acconti; c) che, nel rapporto tra il M. e l’ A. era del tutto irrilevante la conclusione, da parte del primo con Comifin s.p.a., di un contratto di leasing; d) che l’istruttoria aveva confermato la deduzione dell’ A., il quale aveva riferito, in relazione alla fattura n. (OMISSIS), di avere sottoscritto la quietanza solo perchè tratto in inganno dal M., secondo il quale il pagamento della Comifin s.p.a. sarebbe intervenuto esclusivamente a seguito di fatture quietanzate; e) che la prova testimoniale, ammessa nonostante la vivace contestazione del M., non era stata oggetto di eccezione di nullità, da parte dell’interessato, dopo la sua assunzione; f) che la deduzione del M. di avere estinto l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento dell’importo indicato in tale fattura era stata affidata ad una deposizione inattendibile; g) che la Comifin s.p.a., in relazione a tale importo (e non anche alla diversa somma di 3.098,74 Euro, corrispondente a lavori extra-contratto), doveva essere condannata in solido, non essendo opponibile all’ A. l’accordo interno raggiunto col M..

3. Avverso tale sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito l’ A. con controricorso. La Comifin s.p.a. in liquidazione ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi. Il M. e la Comifin s.p.a. in liquidazione hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1414,1417 c.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Rileva il ricorrente: a) che l’ A. non aveva mai allegato la simulazione, assoluta o relativa della quietanza liberatoria contenuta nella fattura n. (OMISSIS), ma si era limitato a dedurre di essere rimasto vittima di un raggiro posto in essere dal M., il quale gli avrebbe detto che, se non avesse rilasciato la quietanza, non sarebbe mai stato pagato; b) che, pertanto, l’ A. avrebbe avuto l’onere di provare l’inveridicità della dichiarazione nonchè la sua derivazione da errore di fatto o da violenza; c) che dalla – peraltro inammissibile prova testimoniale non era emerso alcun riferimento ad espressioni intimidatorie o costituenti artifizi o raggiri; d) che, in tale contesto, la Corte territoriale, individuando l’esistenza di una quietanza di comodo, aveva violato l’art. 112 c.p.c.; d) che, peraltro, oltre a non essere mai stata allegata, neppure era stata dimostrata l’esistenza di un accordo simulatorio fra le parti.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2732 c.c., art. 2733 c.c., comma 2, art. 2735 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello escluso la rilevanza della quietanza, senza verificare, alla stregua delle deposizioni testimoniali raccolte, se fosse emersa la prova di un errore di fatto o di violenza.

3. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.

In primo luogo, va osservato che la modificazione, da parte del giudice di appello, della qualificazione giuridica della domanda operata dal primo giudice è illegittima – per violazione del giudicato interno formatosi in ragione dell’omessa impugnazione sul punto della parte interessata – solo se detta qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito (v., ad es., Cass. 1 giugno 2018, n. 14077).

In ogni caso, resta da considerare che la sentenza impugnata, nel riformare la decisione di primo grado, ha razionalmente interpretato la domanda proposta dall’ A., osservando che quest’ultimo non aveva mai dedotto di essere caduto in errore o di essere stato destinatario di violenza, ma di avere sottoscritto una quietanza, nonostante l’assenza di pagamento, perchè in tal senso convinto dalla controparte, la quale gli aveva rappresentato che solo in tal modo avrebbe ricevuto il pagamento.

In altri termini, l’artificio accertato dalla Corte territoriale come posto in essere dal M. si colloca sul piano delle premesse fattuali – in altre parole, dei motivi – che indussero per le parti a porre in essere una quietanza non rispondente alla realtà.

Ne discende che, in punto di fatto, non si coglie alcun vizio nella ricostruzione, da parte della Corte territoriale della portata della domanda e, in punto di diritto, che la soluzione è coerente con le indicazioni della giurisprudenza di questa Corte, che ha preso in esame i casi in cui la non veridicità della quietanza non corrisponde ad una determinazione unilaterale del creditore quietanzante, ma riflette una programmazione negoziale, vale a dire un accordo tra creditore e debitore volto a rendere ostensibile ai terzi l’attestazione dell’avvenuto pagamento, la cui non conformità alla realtà è nota alle parti e da queste condivisa.

In tali ipotesi, nelle quali la dichiarazione di ricevuto pagamento, scientemente non veridica, è frutto di un’intesa diretta a creare un’apparenza di solutio (e, si ripete, del tutto irrilevanti sono i motivi per cui le parti a ciò si siano indotte), questa Corte si è da tempo mostrata aperta all’ammissibilità della dimostrazione di un accordo simulatorio tra l’emittente di una quietanza “di favore” o “di comodo” e il destinatario della stessa, pervenendo a riconoscere che la simulazione della quietanza (“atto unilaterale recettizio contenente la confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata”) “presuppone, ai sensi dell’art. 1414 c.c., comma 2, un precedente o coevo accordo, tra il dichiarante ed il destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio” (v. Cass., Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19888).

4. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2697,2721 c.c., nonchè dell’art. 157 c.p.c., commi 1 e 2, ribadendo che la difesa aveva reiteratamente contestato l’ammissibilità della prova e che nessuna sanatoria per acquiescenza era configurabile, dal momento che la sanatoria riguarda solo le nullità e le decadenze previste dall’art. 244 c.p.c., ma non anche la prova testimoniale erroneamente ammessa.

Si aggiunge che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il M., risultato vittorioso in primo grado, non aveva l’onere di proporre appello incidentale per riproporre eccezioni o questioni superate o assorbite.

La doglianza è infondata.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi, l’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, l’una eccezione, quella d’inammissibilità, non dovendo essere confusa con l’altra, quella di nullità, nè potendo ad essa sovrapporsi, perchè la prima eccezione opera ex ante, per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce ex post, per evitare che i suoi effetti si consolidino (v., ad es., Cass. 19 settembre 2013, n. 21443; Cass. 15 febbraio 2018, n. 3763).

L’intervenuta sanatoria rende del tutto irrilevante affrontare la seconda articolazione del motivo, che investe la distinta ed autonoma ratio decidendi secondo la quale sarebbe stato onere del M. proporre appello avverso la decisione di ammettere e assumere la prova.

5. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione di legge processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, in particolare degli artt. 112,342 e 345 c.p.c.; nonchè violazione dell’art. 1417 c.c., anche con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Rileva la ricorrente: a) che la Corte territoriale, senza peraltro sottoporre la questione al contraddittorio delle parti, aveva ritenuto la sussistenza di un accordo simulatorio che l’ A. non aveva mai chiesto di accertare e non aveva devoluto con l’appello; b) che, in ogni caso, tale accordo non riguardava la Comifin s.p.a., nei confronti della quale non poteva essere utilizzata la prova testimoniale valorizzata nei rapporti tra il M. e l’ A..

Prima di esaminare il merito del motivo, occorre considerare che l’ A., nel suo controricorso, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso incidentale, per essere stato notificato oltre il termine di quaranta giorni di cui all’art. 370 c.p.c., richiamato dal successivo art. 371.

Il ricorso principale è stato notificato a Comifin s.p.a. in data 3 agosto 2015, come risulta dall’avviso di ricevimento allegato all’atto di impugnazione del M.. Ora è certo esatto che il termine per la notifica dell’atto contenente il ricorso incidentale scadeva il 10 ottobre 2015 come riconosce lo stesso controricorso dell’ A. – ma è altresì vero che esso cadeva di sabato, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, la scadenza era prorogata ex lege al primo giorno seguente non festivo, ossia appunto al 12 ottobre 2015, quando appunto è stata richiesta la notifica dell’atto.

Le doglianze sono, nel loro complesso e con le precisazioni che seguono, infondate.

Si è rilevato supra sub 3 che la Corte d’appello non ha operato alcun rilievo officioso del carattere simulatorio dell’intesa sottostante alla sottoscrizione della quietanza, dal momento che il tema dei raggiri è stato razionalmente inteso dalla sentenza impugnata come diretto ad illustrare i motivi dell’intervenuto accordo che condusse l’ A. a riconoscere l’intervenuto pagamento.

Ne discende che non vi è stata alcuna violazione di un giudicato che non risulta essersi formato, nè della regola che impone la previa instaurazione del contraddittorio quando il giudice ritenga di porre a base della decisione una questione rilevabile d’ufficio.

Del pari sono insussistenti le dedotte violazioni concernenti la posizione di terzietà della ricorrente incidentale, dal momento che, anche in ragione delle considerazioni che verranno svolte nell’esame del secondo motivo, la quietanza – e il suo carattere simulato – investe esclusivamente il rapporto negoziale tra l’ A. e il M..

6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dei principi in materia di collegamento negoziale e dell’art. 1174 c.c., per avere la Corte territoriale, pur avendo escluso la sussistenza di un rapporto a livello negoziale tra l’ A. e la Comifin s.p.a., ritenuto di condannare quest’ultima al pagamento del corrispettivo della fornitura, in solido con il committente M..

La doglianza è fondata.

La Corte d’appello, dopo avere passato in rassegna le deduzioni dell’ A., ha concluso in termini privi di qualunque equivocità, che il committente dei lavori realizzati dal primo doveva ritenersi il M. e non la Comifin s.p.a., alla quale l’ A. si era limitato a trasmettere le due fatture n. (OMISSIS).

Ciò posto, l’esistenza di una obbligazione solidale della Comifin s.p.a. avrebbe richiesto in positivo l’individuazione di un titolo autonomo rispetto al rapporto contrattuale intercorso tra il M. e l’ A..

La circostanza che, per effetto del contratto di leasing intercorso tra il M. e la Comifin s.p.a., quest’ultima sia divenuta proprietaria dei beni scelti dall’utilizzatore non vale a creare un diretto rapporto con l’ A..

Del resto, è la stessa sentenza impugnata ad osservare che siffatto effetto giuridico è scaturito dalla messa a disposizione del M. delle somme necessarie per il pagamento, con ciò escludendo l’assunzione di un’obbligazione nei confronti dell’ A..

E coglie nel segno il rilievo della ricorrente incidentale, secondo cui proprio l’assenza di un rapporto diretto spiegherebbe lo stesso meccanismo di simulazione della quietanza, diretto a dimostrare l’adempimento, da parte del M., della propria obbligazione.

La sentenza impugnata va, pertanto, in accoglimento dell’indicato motivo cassata, con conseguente assorbimento del terzo motivo del ricorso incidentale, formulato esplicitamente in via subordinata per il caso di rigetto del secondo motivo e con il quale si è denunciata violazione degli artt. 1296,1414,1415,2732 c.c. e art. 12 disp. att. gen..

7. La definizione del rapporto processuale tra il M. e l’ A. per effetto del rigetto del ricorso principale comporta la condanna del primo al pagamento, in favore del secondo, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

Per il resto, all’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che provvederà alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, in relazione al rapporto tra l’ A. e la Comifin s.p.a. in liquidazione.

PQM

Rigetta il ricorso principale; condanna il ricorrente M.A. al pagamento, in favore del controricorrente A., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il secondo motivo dello stesso ricorso, assorbito il terzo; cassa, in relazione al disposto accoglimento, la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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