Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12639 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.19/05/2017),  n. 12639

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 2985 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

s.p.a. Ducati Motor Holding, nella qualità d’incorporante la s.r.l.

Ducati Corse, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’avv. Mario Martinelli, presso lo studio del quale in Roma, alla

via Adelaide Ristori, n. 38, elettivamente si domicilia;

– ricorrente-

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia – Romagna, sezione 5, depositata in data 17

dicembre 2010, n. 114;

lette le osservazioni del pubblico ministero, in persona del

sostituto procuratore generale GIACALONE Giovanni, che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società presentò tardivamente in relazione all’anno d’imposta 2004 la dichiarazione relativa all’applicazione del regime dell’iva di gruppo e a titolo di ravvedimento operoso per la tardività di presentazione pagò una sanzione ridotta. Successivamente versò l’iva periodica precedentemente compensata con altri crediti delle società del gruppo e corrispose la sanzione ridotta prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, oltre agli interessi. Le somme corrisposte a titolo di sanzioni e di interessi furono oggetto di un’istanza di rimborso; l’indebito che ne era oggetto scaturiva, nella prospettazione della contribuente, dalla violazione del principio di affidamento, ingenerato da informazioni informalmente ricevute da un funzionario dell’Agenzia delle entrate.

La società impugnò il conseguente silenzio rifiuto, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Di contro, quella regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia, osservando che la tardiva presentazione della dichiarazione prescritta impedisce l’applicazione della liquidazione di gruppo dell’iva, di modo che correttamente è stato sanzionato l’omesso versamento dell’iva, perchè illegittimamente compensata. A tanto ha aggiunto che il principio del legittimo affidamento non può essere invocato al cospetto di pareri informali e che comunque il foglio che tale parere documenterebbe non è con certezza riferibile all’Amministrazione.

Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi e che illustra con memoria, cui l’Agenzia reagisce con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la società lamenta l’insufficienza della motivazione della sentenza sul punto relativo alla natura meramente formale della violazione consistita nella tardiva presentazione della dichiarazione di applicazione del regime dell’iva di gruppo, nonchè la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 73, comma 3, e il D.M. 13 dicembre 1979, art. 3, comma 1, in combinazione con la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 – bis, e il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, relativamente alla natura formale della violazione.

La censura è infondata.

1.1.- La disciplina della liquidazione dell’iva di gruppo, all’epoca dei fatti disciplinata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, è mera procedura liquidatoria e di versamento del tributo, nella quale i soggetti del gruppo rimangono distinti e sottoposti agli altri obblighi tributari su di essi gravanti (Cass. 1 ottobre 2014, n. 20708). Giustappunto in ragione di queste caratteristiche la Corte di giustizia non ha escluso che il regime in questione rappresenti soltanto un’agevolazione rispetto all’esercizio degli obblighi di dichiarazione e dei diritti del gruppo di soggetti passivi, tra i quali si annoverano quelli di detrazione e di rimborso delle eccedenze dell’iva, anche tenendo conto della dichiarazione del Governo italiano, secondo cui la Repubblica italiana, con l’emanazione del decreto ministeriale 13 dicembre 1979, successivamente modificato col Decreto 18 dicembre 1980, non ha inteso trasporre l’art. 4, n. 4, comma 2, della sesta direttiva (Corte giust. 22 maggio 2008, causa C-162/07).

1.2. – Poichè si tratta di una procedura; che semplifica gli obblighi di dichiarazione e di versamento, consentendo compensazioni di credito infragruppo che altrimenti sarebbero escluse, è necessario che di tale procedura la contribuente dichiari di volersi avvalere. E, per farlo, è necessario altresì che la relativa opzione sia manifestata con una dichiarazione espressa, rispetto alla quale non si dà l’equipollenza di alcun comportamento concludente, come espressamente prevede il D.P.R. n. 442 del 1997, art. 4 (vedi Cass. 30 luglio 2009, n. 17708; 29 luglio 2009, n. 17576). Questa norma, difatti, prevede che, in relazione alle liquidazioni di gruppo, si deroga “a quanto previsto dai precedenti articoli” e, dunque, anche a quanto previsto dall’art. 1, a norma del quale “l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente e dalle modalità di tenuta delle scritture contabili”.

Mancando l’opzione per la procedura semplificata, inevitabilmente la società, benchè sia un’holding, dovrà dichiarare e versare l’iva secondo le regole generali e, quindi, non potrà compensare le proprie ragioni di debito/credito con ragioni di debito/credito di altre società del gruppo.

1.3. – La tardività della presentazione della dichiarazione di opzione per il regime di liquidazione dell’iva di gruppo rispetto al termine stabilito per legge è lungi dal costituire una violazione meramente formale.

Al riguardo questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che la violazione formale non punibile, ossia la violazione meramente formale, deve rispondere a due concorrenti requisiti: non deve arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non deve incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. 8 marzo 2013, n. 5897; conformi, 25 giugno 2014, n. 14402; 22 dicembre 2014, n. 27211; 15 luglio 2015, n. 14767).

Laddove, nel caso in esame, l’omessa presentazione della dichiarazione di opzione per il regime di liquidazione dell’iva di gruppo nei termini di legge:

– non consente la compensazione dei crediti iva vantati da una, o da alcune società del gruppo con l’eventuale iva a debito delle altre del medesimo gruppo;

– la compensazione ciononostante operata, in assenza dei relativi presupposti, comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il conseguente ritardato incasso erariale, col relativo deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale (fra varie, Cass. 5 agosto 2016, n. 16504; 20 novembre 2015, n. 23755);

– in relazione al periodo in cui non risulta operante il regime, in ragione della mancata presentazione della relativa dichiarazione di opzione, e ciononostante si agisca come se il regime fosse operativo, si configurano obiettivi ostacoli all’esercizio dell’attività di controllo, a nulla rilevando, come sostenuto in memoria, che nel caso in esame non fosse ancora iniziata l’attività di controllo in relazione al periodo d’imposta 2004, in quanto l’Ufficio ben avrebbe comunque potuto procedere a controlli (nel senso che è sufficiente la potenziale idoneità ad ostacolare il controllo e non già necessario, come sostenuto in memoria, un concreto pregiudizio all’esercizio della relativa attività, vedi Cass. n. 14402/14, cit.).

In definitiva, la ritardata presentazione della dichiarazione di opzione, essendo idonea ad incidere sul versamento del tributo ed anche ad ostacolare l’esercizio dell’attività di controllo, non costituisce violazione meramente formale non punibile.

Queste considerazioni spogliano di ogni rilievo le osservazioni contenute in memoria relative al fatto che la dichiarazione non è stata omessa nel caso in esame, ma presentata in ritardo, perdipiù contenuto: il ritardo, difatti, comunque ha comportato che l’operata compensazione fosse indebita, perchè, quando è stata operata, non ne sussistevano i presupposti.

1.4. – Ne scaturisce altresì l’irrilevanza delle ulteriori osservazioni sviluppate in memoria relativamente alla pretesa frizione col principio unionale di proporzionalità delle sanzioni.

Giova sottolineare che sul punto la Corte di giustizia (tra varie, Corte giust. 20 giugno 2013, causa C-259/12, Rodopi – M 91 O O D) ha rimarcato che occorre tener conto della natura e della gravità dell’infrazione sanzionata, nonchè delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione. Sotto il primo versante, il soggetto passivo che non adempie “nel termine previsto dalla legislazione nazionale il suo obbligo di contabilizzare e dichiarare elementi rilevanti ai fini del calcolo dell’imposta sul valore aggiunto da lui dovuta…si trova, in rapporto all’obiettivo di garantire l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare la frode, in una situazione diversa da quella del soggetto passivo che ha osservato i suoi obblighi contabili” (dispositivo e punto 35). Sotto il secondo versante, la Corte, nel valutare la conformità al principio di proporzionalità di sanzioni irrogate in tema d’imposta sul valore aggiunto, ha reputato idonea al raggiungimento dell’obiettivo di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta una sanzione quantificata in maniera progressiva, ragguagliata al venticinque per cento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta, se il ritardo negli adempimenti non ecceda un mese, ed al cento per cento dell’imposta dovuta qualora il ritardo sia di durata superiore (Corte giust., in causa C-259/12, punto 40).

E, da ultimo, la corte ha aggiunto (Corte giust. 27 aprile 2017, causa C-564/15, Tibor Farkas c. Nemzeti Ado- es Vamhivatal Delalfdldi Ado Foigazgatosaga) che modalità di determinazione della sanzione che la commisurino automaticamente al 50% dell’importo dell’imposta dovuta, garantiscono, in linea di principio, che esse non eccedano quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare la frode, in considerazione delle possibilità di riduzione o anche di esclusione della sanzione, al cospetto di circostanze eccezionali. Soltanto il fatto che, in quel caso, l’imposta era stata tempestivamente ed integralmente versata al venditore (anzichè, come in quell’ipotesi necessario, all’amministrazione tributaria), in tal modo elidendo ogni rischio di gettito fiscale, ha indotto la corte a reputare sproporzionato l’importo della sanzione.

Nessuna frizione si prospetta, quindi, nella fattispecie in esame, in cui il ritardo si è protratto, in base a quanto riferito in ricorso, per oltre tre mesi e la progressione è assicurata dalla combinazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, comma 1, lett. a), nel testo vigente all’epoca dei fatti, che prevede una riduzione della sanzione in considerazione del momento del ravvedimento. Ed inoltre, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, nel testo vigente all’epoca, prevedeva che, al cospetto di circostanze eccezionali che rendessero manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa potesse essere ridotta fino alla metà del minimo.

Inconferente è dunque la giurisprudenza di questa Corte richiamata in memoria (con particolare riguardo a quanto stabilito da Cass. 15 luglio 2015, n. 14767, di recente confermato da Cass. 3 marzo 2017, n. 5401), in quanto la disapplicazione in quel caso operata è stata determinata dall’entità (cento per cento della differenza rispetto all’imposta dovuta, e dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio)(della percentuale minima, nel caso in questione fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa e dall’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie.

2. – Il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, col quale la società si duole della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, nonchè dell’insufficiente motivazione della sentenza, là dove il giudice d’appello ha ritenuto applicabile la disposizione soltanto al cospetto di atti formali dell’Amministrazione e non già qualora il contribuente si sia conformato ad indicazioni rese informalmente da un funzionario addetto all’URP, è inammissibile, perchè stride con l’accertamento di fatto contenuto in sentenza, in cui si legge non soltanto che il foglio sul quale punta la società non reca alcun elemento utile a riferirlo all’Amministrazione, ma anche che non contiene alcuna indicazione espressa e chiara.

Al cospetto di quest’accertamento, il vizio di motivazione mira a proporre una revisione del ragionamento decisorio, inibita a questa Corte ed il vizio di violazione di legge risulta non congruente con le circostanze di fatto indicate.

3.- Il ricorso va quindi respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese, che liquida in Euro 2300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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