Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12637 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. I, 24/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 24/05/2010), n.12637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.I., P.R. e P.A., quali

eredi di P.L., P.G., in proprio e quale erede

di P.L., F.A., in proprio e quale erede di

PE.RE., PE.LO., quale erede di P.

R., PE.GI., quale erede di P.V.,

tutti elettivamente domiciliati in Roma, alla Via G. Carducci n. 4,

presso l’avv. Bruni Alberto M., che li rappresenta e difende, per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CITTA’ DI CASTELLO, in persona del sindaco p.t.,

autorizzato a stare in giudizio con delibera della G.M. 24 gennaio

2005, n. 14 ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Crescenzio

n. 97, presso l’avv. Paolieri Bernardo, che rappresenta e difende

l’ente locale, per procura a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia, sezione civile,

n. 329 del 24 giugno – 28 ottobre 2004;

Udita, all’udienza del 25 febbraio 2010, la relazione del Cons. Dott.

FORTE Fabrizio;

Uditi l’avv. Fabrizio Paoletti, per delega, per i ricorrenti, l’avv.

Paolieri per il controricorrente e il P.M. Dott. PRATIS Pierfelice,

il quale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’appello di Perugia ha accolto il gravame del Comune di Citta’ di Castello contro la sentenza del locale tribunale del 14 febbraio 2002 che aveva respinto l’opposizione a precetto di detto ente locale nei confronti dei ricorrenti in questa sede e in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto detta opposizione.

Ad avviso della Corte di merito, il titolo esecutivo a base del precetto, costituito dalla sentenza del Tribunale di Perugia del 23 maggio 1997 che aveva liquidato il conguaglio dovuto dall’appellante per una cessione volontaria di aree in una procedura espropriativa, doveva essere letto nel senso che, con la somma computata per detto corrispettivo, dovessero liquidarsi gli interessi a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza n. 223 del 1983 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimita’ della L. 29 luglio 1980, n. 385 che aveva temporaneamente prorogato la pregressa normativa della L. n. 5 del 1971 per le aree edificabili, gia’ dichiarata incostituzionale nel 1980 con sentenza del giudice della L. n. 5 del 1980, “secondo quanto sara’ stabilito dalla legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime”. In difformita’ da quanto stabilito in primo grado la Corte d’appello ha ritenuto che l’ente locale, per quanto sancito nella sentenza costituente il titolo esecutivo, era obbligato a pagare, a differenza di quanto preteso dai creditori, la rivalutazione dalla data di entrata in vigore della L. n. 359 del 1992, che aveva fissato nuovi criteri per la liquidazione dell’indennita’ di esproprio costituente il prezzo della cessione su cui fissare il conguaglio dovuto e colposamente non ancora pagato, e gli interessi dalla data della sentenza della Corte costituzionale 19 luglio 1983 n. 223 al soddisfo. Precisato che si trattava solo di interpretare la pronuncia del 1997 che aveva liquidato il conguaglio da pagare sul prezzo della cessione per notar Cale del 10 dicembre 1980, la Corte di merito ha riprodotto quanto scritto in tale sentenza in ordine agli accessori dovuti con l’indennizzo, cui doveva “essere aggiunto l’importo derivante dall’applicazione degli interessi compensativi dalla definitiva espunzione dall’ordinamento delle norme dichiarate illegittime, ovverosia dal luglio 1983, quando il comune aveva la possibilita’ di liquidare il dovuto secondo il dettato della giurisprudenza citata, fino all’entrata in vigore della L. n. 359 del 1992; da tale epoca spetta la rivalutazione monetaria, calcolata secondo gli indici ISTAT, trattandosi evidentemente di debito di valore che deve essere interamente ripristinato e sussistendo da tale epoca colpa dell’amministrazione nella mancata erogazione”. In relazione alla interpretazione letterale del contenuto riprodotto della sentenza che precede, costituente il titolo, che riferisce la decorrenza degli interessi alla pubblicazione sulla G.U. della sentenza della Corte costituzionale del 1983 e collega il termine da cui calcolare la rivalutazione alla data di entrata in vigore della L. n. 359 del 1992, l’opposizione al precetto del comune che censurava l’errata anticipazione al 1983 del calcolo della rivalutazione da parte dei creditori era da ritenere fondata e da accogliere, con spese a carico delle controparti per entrambi i gradi del giudizio, dovendosi dichiarare nullo l’atto di precetto notificato il 5 marzo 1999.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso di due motivi I., R. e P.A., P.G. F. A. e Lo. e Pe.Gi., in proprio e nelle qualita’ indicate in epigrafe, nei confronti del Comune di Citta’ di Castello, che si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e della sentenza della Corte Costituzionale 19 luglio 1983 n. 223, oltre che dell’art. 2909 c.c. anche per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha distinto in due periodi le fasi in cui il comune controricorrente avrebbe potuto pagare il conguaglio: un primo periodo, dalla citata sentenza del giudice delle L. del 1983 alla nuova legge che introduceva nuovi criteri di liquidazione delle indennita’ n. 359 del 1992, e un secondo da tale legge al pagamento. L’erroneita’ di tale frazionamento ha determinato l’errore in cui e’ incorsa la Corte nel fissare in due distinti termini quello di decorrenza degli interessi compensativi e quello da cui calcolare la rivalutazione. Dalla data della sentenza della Corte costituzionale del 1983 era quindi dovuto il prezzo – indennizzo della cessione da liquidare in base alla L. n. 2359 del 1865, art. 39 e tale credito era stato liquidato come di valore dal tribunale di Perugia con la sentenza n. 313/1998, per cui la rivalutazione sarebbe stata comunque dovuta, sulle somme da pagare dal Comune, a decorrere dalla decisione del giudice delle leggi, sussistendo da tale data l’inadempimento del cessionario – acquirente ente locale.

Nessun rilievo puo’ avere ai fini degli accessori del credito, interessi e rivalutazione, la emanazione della nuova legge di determinazione dei criteri per liquidare l’indennita’ – prezzo della cessione, cioe’ della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis potendo l’ente locale pagare il dovuto sin dal 1983 e dovendosi quindi ritenere che il titolo esecutivo intendesse solo distinguere i diversi criteri di determinazione della indennita’, vigenti dopo la sentenza 223 del 1983 e non frazionare i due crediti in rapporto alla maturazione di interessi e rivalutazione sulla somma liquidata.

1.2. Si lamenta poi la violazione dell’art. 480 c.p.c. anche per omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, per aver dichiarato nullo il precetto e non ridotto solamente il dovuto nei limiti di quanto ritenuto corrispondente al titolo dalla sentenza impugnata (si cita in ricorso, nello stesso senso, Cass. 11 marzo 1992 n. 2938).

2.1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato, in quanto denuncia violazione di norme non applicate dalla sentenza oggetto di ricorso e del tutto incompatibili con la fase di esecuzione della pregressa sentenza determinativa del conguaglio, in cui si inserisce l’opposizione alla esecuzione ritenuta sussistente come tale, ogni volta che si pretenda dall’opponente di dovere una somma minore di quella di cui al titolo, non negandosi l’obbligo, sia pure in tale ridotta misura, e chiedendo quindi la sola inefficacia parziale del precetto, al quale il comune si e’ opposto in ragione del computo a suo avviso errato della rivalutazione e degli interessi, liquidate con le decorrenze pretese dai creditori e non con quelle di cui alla sentenza passata in giudicato cui dare esecuzione (sulla natura dell’opposizione, con la sentenza gia’ citata n. 2938/92, cfr. Cass. 26 febbraio 1998 n. 2123, Cass. 29 febbraio 2008 n. 5515 e 10 settembre 2009 n. 19502).

In rapporto agli accessori del credito, interessi e rivalutazione, pretesi con la procedura esecutiva, la Corte di merito ha letto la sentenza costituente il titolo a base del precetto, affermando che essa “distingue nettamente due periodi temporali, identificando il primo in quello immediatamente successivo alla sentenza n. 223/83 della Corte Costituzionale, nel quale il Comune di Citta’ di Castello avrebbe anche potuto corrispondere agli interessati l’indennita’ dovuta secondo la L. n. 2359 del 1865, art. 39 utilizzando il criterio del valore venale del bene ceduto, giusta la costante giurisprudenza della cassazione su tale punto. Facendo, invece, principiare il secondo con l’entrata in vigore della L. n. 359 del 1992 che, finalmente, aveva stabilito i criteri definitivi per la determinazione del conguaglio di valore del bene liberamente conferito, proprio come da riserva che le parti avevano apposto nel rogito di cui sopra. Lo stesso tenore letterale della pronuncia da interpretare e’ del tutto palese, visto che sono state usate le espressioni “…dal luglio 1983… fino alla data di entrata in vigore della L. n. 359 del 1992” (gli interessi).; “da tale epoca…” (la rivalutazione). Sicuramente diversa sarebbe stata la formulazione se il tribunale avesse voluto riconoscere la rivalutazione fin dal 1983” (pagg. 5 e 6 della sentenza oggetto di ricorso).

Come si afferma in piu’ pronunce di questa Corte, “l’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato, compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimita’, se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo ufficioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimita’, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quanto emessa fuori dal processo esecutivo) e’ da intendere non come momento terminale della cognizione del giudice ma come presupposto dell’esecuzione” (Cass. 9 agosto 2007 n. 17482, 5 settembre 2006 n. 19057, 25 marzo 2003 n. 4382). Il primo motivo di ricorso e’ quindi infondato per la parte in cui censura la violazione della normativa sull’espropriazione per pubblica utilita’ (L. n. 2359 del 1865, art. 39) non applicata nel merito e inammissibile in ordine alla interpretazione letterale della sentenza, costituente il titolo a base del precetto, di cui non indica i vizi logici o giuridici e neppure quali siano le ragioni che contrastano con la lettura di esso da parte della Corte di merito.

2.2. In rapporto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che certamente l’opponente Comune di Citta’ di Castello aveva chiesto, con la citazione introduttiva, di dichiarare nullo il precetto o di ridurre l’importo precettato dalla somma di L. 627.209.599 a quella minore di L. 420.678.390, corrispondente al conguaglio dovuto con il computo della rivalutazione dalla entrata in vigore della L. n. 359 del 1992, e non da epoca precedente. Tale somma minore, in corso di causa, risulta essere stata incontestatamente incassata dagli opposti con quietanza del 13 giugno 1999 e quindi la pronuncia oggetto di ricorso in motivazione esattamente afferma “la sentenza di primo grado va, dunque riformata e l’opposizione al precetto va accolta, dandosi atto che la rivalutazione monetaria compete solo dalla data di entrata in vigore della L. n. 359 del 1992. Gli appellati dovranno restituire le maggiori somme eventualmente nel frattempo percepite come da richiesta avanzata dal comune”.

Il dispositivo invece, nei punti 1 e 2 da leggere in collegamento alle parole riportate della motivazione, se da un lato “dichiara la nullita’ dell’atto di precetto notificato il 5/3/1999, dando atto che la rivalutazione monetaria compete solo dalla data di entrata in vigore della L. n. 359 del 1992” (n. 1), poi “condanna gli appellati in solido alla restituzione al comune di Citta’ di castello delle somme eventualmente nel frattempo percepite in eccesso” (numero 2).

E’ allora evidente che la parola “nullita’” deve intendersi come inefficacia totale, in quanto chiarita dalla esigenza di ricalcolare il dovuto con la rivalutazione a decorrere dall’entrata in vigore della L. 359 del 1992 e non dal luglio 1983, somme per le quali i giudici del merito hanno ritenuto che il quantum offerto e poi pagato dall’ente locale possa essere eventualmente eccedente quello in realta’ dovuto, condannando gli appellati a restituire quanto ricevuto in eccesso, senza che costoro nel ricorso evidenzino errori della decisione su tale punto decisivo con conseguente rigetto anche per tale profilo della loro impugnazione in questa sede.

3. In conclusione il ricorso deve rigettarsi e i ricorrenti dovranno rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare al comune controricorrente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte suprema di cassazione, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

 

 

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