Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12636 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 02/07/2019, dep. 25/06/2020), n.12636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22814/2015 proposto da:

6T06 di M.D., in persona del titolare M.D.,

rappresentata e difesa dagli Avvocati PAOLO PIVA, LIVIO PASSUELLO e

GIOVANNI CORBYONS, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei

quest’ultimo, in ROMA, VIA CICERONE 44;

– ricorrente –

contro

ARC s.r.l., in persona del procuratore munito dei necessari poteri

T.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato ALESSANDRO FOSCHIANI

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA MONTE

SANTO 10/A;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 400/2015 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 502/2007 il Tribunale di Bassano del Grappa, nell’ambito del procedimento di opposizione promosso da ARC s.r.l. nei confronti di 6T06 s.n.c. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 987 del 2004, revocava il suddetto decreto dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale svolta dall’opponente.

Il Giudice di primo grado rilevava preliminarmente l’avvenuto pagamento, nel corso del giudizio, da parte della Arc s.r.l. di una parte delle somme ingiunte in via monitoria (Euro 17.844,00). Osservava, poi, relativamente agli importi richiesti extra contratto dalla 6T06 s.n.c., l’assenza di riscontri probatori. Evidenziava, altresì, come la parte opposta, in sede di comparsa di costituzione, si fosse limitata a chiedere la conferma del decreto ingiuntivo, mentre con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, aveva avanzato specifiche domande di condanna al pagamento di somme diverse da quelle azionate monitoriamente, sicchè tale ultima richiesta doveva ritenersi inammissibile.

Avverso la sentenza proponeva appello 6T06 s.n.c. chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo, detratto il pagamento parziale, o la condanna della Arc s.r.l. a pagare la somma di Euro 28.592,30, maggiorata degli interessi e della rivalutazione.

Resisteva al gravame la Arc s.r.l. chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 400/2015, depositata in data 17.2.2015, la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello, condannando l’appellante alle spese di lite del grado.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la 6T06 s.n.c. sulla base di 2 motivi; resiste la Arc s.r.l. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Mancato apprezzamento della prova del pagamento delle prestazioni cd. extracontratto, erroneo accertamento della non debenza del pagamento e mancato rilievo dell’intervenuta causa di cessazione del contendere. Violazione art. 360 c.p.c., nn. 4-5. Extrapetizione”, in quanto la Arc s.r.l., nell’opposizione a decreto ingiuntivo (pag. 5), dava atto del pagamento della fattura n. (OMISSIS) relativa alle cd. spese extracontrattuali (Euro 17.844,00), donde l’abnormità del pronunciamento del Giudice di appello, nella parte in cui non considera tali fatti decisivi e incontroversi tra le parti e in atti, nel senso di essere tale somma correttamente dovuta e pagata.

1.1. – Il motivo è, in primo luogo, inammissibile.

1.2. – Nei termini in cui è stato formulato, il motivo difetta di specificità. E’, infatti, principio largamente consolidato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Se è vero, peraltro, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte. Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 18679 del 2017; Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 15952 del 2007). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007). Così, dunque, i motivi di impugnazione che prospettino (come nella specie, peraltro caratterizzata da una assai analitica, e talvolta magmatica, ricostruzione dei fatti e rapporti tra le parti, condotta da pag. 1 a pag. 24 del ricorso, con formulazione e prospettazione dei motivi condotta solo da pag. 25 a pag. 28) una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate, senza tuttavia la specifica individuazione dei diversi ed eterogenei parametri evocati, sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016).

Corollario di ciò è che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere innanzitutto articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti (come nella specie) l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. sez. un. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 10862 del 2018). Viceversa, il ricorente (che formula le proprie censure richiamando congiuntamente, oltre agli art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 112 c.p.c., anche l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato applicabile al giudizio ratione temporis) non chiarisce la specifica ratio sottesa alla proposizione del motivo.

1.3. – Peraltro, il motivo è anche infondato, poichè la Corte distrettuale, aderendo al consolidato orientamento di legittimità, ha rilevato che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario e autonomo giudizio di cognizione che si estende alla cognizione del merito delle domande proposte e della loro fondatezza, alla luce degli elementi di prova addotti dal creditore e contrastati dall’ingiunto. Per cui, qualora il giudice revochi in tutto o in parte il decreto opposto, egli può – e, se richiesto, deve – pronunciare sul merito della domanda, venendo la sentenza di condanna a sostituirsi all’originario decreto ingiuntivo quale titolo su cui si fonda il diritto al pagamento della parte vittoriosa (Cass. n. 15339 del 2000; conf. Cass. n. 5754 del 2009).

La Corte di merito ha constatato, altrettanto correttamente, come fosse incontestato che nella, fattispecie, la Arc s.r.l. avesse effettuato, in epoca successiva alla notifica del decreto ingiuntivo, il pagamento della somma di Euro 17.844,00 (di cui alla fattura n. (OMISSIS)), che rappresentava una parte della somma ingiunta, pari ad Euro 46.436,40; sicchè il decreto ingiuntivo non poteva più essere confermato in quanto emesso per una cifra superiore a quella effettivamente dovuta a seguito della parziale estinzione del credito (in tal senso, Cass. n. 4531 del 2000, secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza, la cessazione della materia del contendere verificatasi successivamente alla notifica del decreto, in conseguenza di un fatto estintivo del fondamento della pretesa azionata o che comunque comporti la carenza sopravvenuta di interesse, travolge necessariamente anche la pronunzia – di merito e suscettibile di passare in giudicato – resa nella fase monitoria, che pertanto deve essere revocata da parte del giudice dell’opposizione; cfr. anche Cass. n. 20052 del 2013; Cass. n. 21432 del 2011).

Pertanto, altrettanto correttamente la Corte distrettuale ha osservato che la società 6T06 avrebbe dovuto chiedere la revoca del decreto opposto e la condanna dell’opponente al pagamento del residuo (mentre l’opposta si limitava a chiedere la conferma del decreto ingiuntivo, detratto il pagamento parziale e la nota di accredito). E quindi, al di là della formale richiesta di conferma del decreto, la Corte di appello ha giustamente riconosciuto come, pur se la società opposta aveva, nella sostanza, voluto limitare la domanda all’importo residuo (cfr. Cass. n. 7558 del 2012), tuttavia tale domanda (relativa al residuo pagamento dell’ordine n. 108/04 di cui alla fattura n. (OMISSIS), azionata in sede monitoria) era infondata nel merito, poichè non provata.

Seppure, infatti, dalla sentenza impugnata emerge una sovrapposizione tra le due fatture n. (OMISSIS) (là dove si fa riferimento alla contestazione da parte dell’appellante 6T06 della valutazione delle istanze istruttorie espressa dal giudice di primo grado in relazione alla richiesta di pagamento degli importi extracontratto, mentre gli importi contestati riguardavano la fattura (OMISSIS) relativa ai lavori di cui al contratto), tuttavia tale sovrapposizione non ha inciso sulla valutazione del materiale probatorio richiesta alla Corte di merito, giacchè tale valutazione è stata in effetti svolta dalla Corte medesima con riguardo ai lavori di cui alla fattura n. (OMISSIS).

2. – Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce la “Violazione art. 112 c.p.c. Mancato apprezzamento della prova della corretta fornitura prevista nell’ordine n. (OMISSIS). Erronea e falsa applicazione degli artt. 1660 e 1664 c.c.. Erronea qualificazione del contratto. Violazione art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto infondata la domanda relativa al pagamento del materiale descritto nell’ordine n. (OMISSIS). Secondo la società ricorrente, la Corte avrebbe confuso la “messa a disposizione del materiale”, sempre presente in tutti gli eventi del roadmap show, con il suo montaggio (eventuale), subordinato alla sussistenza in concreto della disponibilità di spazi adeguati. Tale fraintendimento sarebbe frutto di un’erronea qualificazione del contratto, che era stato fatto rientrare nel tipo vendita/fornitura, anzichè nel contratto misto di fornitura/noleggio/appalto di servizio, con mancata applicazione, tra l’altro, di disposizioni che avrebbero comportato il diritto della ricorrente alla somma residua di cui alla fattura n. (OMISSIS), quantomeno in misura ridotta ex artt. 1660 e 1664 c.c..

2.1. – Il motivo non può essere accolto.

2.2. – Le considerazioni svolte (sub 1.2.) in ordine alla inammissibilità per difetto di specificità del primo motivo di ricorso, valgono integralmente anche per questo secondo motivo.

A ciò va aggiunto che l’affermazione della Corte di merito secondo la quale la fattura non costituisce fonte di prova in favore della parte che l’ha emessa (in tal senso Cass. n. 17371 del 2003; conf. Cass. n. 5915 del 2011; Cass. n. 5071 del 2009), non reputando che l’onere della prova (in capo al soggetto che fa valere il fatto costitutivo del diritto di credito) fosse stato soddisfatto all’esito delle prove orali, neanche con riferimento alle opere extra contratto – risulta sufficientemente e congruamente motivata, con riferimento alla valutazione del quadro probatorio acquisito. Vale pertanto il consolidato principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, ed il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

Così come articolate, le censure portate dal motivo si risolvono, viceversa, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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