Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12636 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. I, 24/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 24/05/2010), n.12636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.E.R.N.A. – TRASMISSIONE ELETTRICITA’ RETE NAZIONALE, s.p.a.

soggetta a direzione e coordinamento di ENEL s.p.a., con sede in

(OMISSIS), quale procuratrice della stessa ENEL s.p.a., per

procura

autenticata dal notar Silvestro di Roma, Rep. N. 60236, del 23

dicembre 1999, in persona dell’amministratore delegato ing. M.

S., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Ennio Quirino

Visconti n. 99, presso l’avv. CONTE Ernesto, anche disgiuntamente con

gli avv.ti Filomena Passeggio e Giancarlo Bruno, la rappresenta e

difende, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA AGRICOLA DECIMA TRIGORIA s.r.l. e AZIENDA AGRICOLA TERRE DI

DECIMA s.r.l., quali aventi causa da BONIFICHE E GESTIONI AGRICOLE IN

AGRO ROMANO s.p.a., ciascuna in persona del proprio presidente del

consiglio di amministrazione e legale rappresentante p.t., ambedue

elettivamente domiciliati in Roma, alla Via dei Banchi Nuovi n. 39,

presso gli avv. Jannetti Del Grande Giuseppe e Renato Mariani che

rappresentano e difendono le due società, per procure speciali a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

1) RINASCIMENTO s.r.l., in persona del legale rappresentante,

domiciliato elettivamente nel giudizio di rinvio presso l’avv.

Frisina Pasquale da Roma.

2) GIARDINO DI ROMA, soc. coop. a r.l., con domicilio eletto in sede

di merito presso il difensore domiciliatario avv. Giuliani Maria

Luisa di Roma.

3) MARINA DI ROMA s.r.l. già domiciliate presso l’avv. Boria Pietro

da Roma.

– attrici e convenute nel merito non intimate in cassazione –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, sezione seconda

civile, n. 4634, del 7 luglio – 28 ottobre 2004;

Udita, all’udienza del 25 febbraio 2010, la relazione del Cons. dr.

FORTE Fabrizio;

Uditi l’avv. Conte, per la ricorrente, l’avv. Mariani, per la

controricorrente e il P.M. Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Per l’imposizione di una servitù di elettrodotto ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 123 (da ora: T.u. acque) e la liquidazione delle relative indennità in base al valore di mercato dei terreni asserviti, erano proposte opposizioni alla stima dall’espropriante ENEL s.p.a. e dalla espropriata Bonifiche e Gestioni Agricole in agro romano s.p.a., costituendosi nel giudizio solo alcune delle proprietarie dei fondi gravati dallo stesso peso, cioè le s.r.l. Rinascimento, Giardino di Roma, coop. e Marina di Roma e rimanendo contumaci le altre aziende danneggiate da esso.

Con sentenza n. 259 del 27 gennaio 1997, la Corte d’appello di Roma rigettava l’opposizione dell’Enel e accoglieva quella della società Bonifiche; la Corte di merito negava l’applicabilità dei criteri di determinazione della indennità d’espropriazione previsti dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis e dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, ritenendoli non operativi per l’asservimento regolato dal T.U. acque.

Su ricorso dell’ENEL s.p.a., questa Corte ha cassato la sentenza enunciando il seguente principio di diritto “L’indennità di asservimento di un fondo dovuta per la costituzione di servitù di elettrodotto, va commisurata non al valore venale di esso, ma alla indennità di esproprio determinata secondo i criteri della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis in via diretta per le aree edificabili e in virtù del rinvio, contenuto nel comma 4, al Titolo 2^ della L. n. 865 del 1971 e successive modifiche per quelle agricole o comunque non edificabili; il raccordo con le componenti della stessa indennità di asservimento, espressamente disciplinate dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 123 comporterà, quindi, che queste vengano liquidate sulla base del valore ai fini dell’indennità di espropriazione, determinato secondo i criteri di ordine generale”.

Riassunta la causa dinanzi alla Corte d’appello di Roma, questa, con sentenza n. 4634 del 28 ottobre 2004, notificata il successivo 1 dicembre 2004, ha accolto l’opposizione di Bonifiche s.p.a., cui nelle more del processo erano subentrate le s.r.l. Aziende agricole Decima Trigoria e Terre di Decima, determinando l’indennità di asservimento in Euro 206.609,10, con gli interessi dalla data del decreto prefettizio di asservimento (13 gennaio 1993) al deposito presso la competente Cassa depositi e prestiti e ha condannato l’Enel alle spese di causa. La sentenza riporta il principio di diritto a base del giudizio di rinvio e pur rilevando che il c.t.u., come dedotto dall’Enel, si era riferito ai valori espressi nell’Annuario dell’agricoltura italiana per l’anno 1993, in quanto i Bollettini ufficiali della Regione Lazio non riportavano i valori agricoli medi (V.A.M.) del seminativo irriguo prima del 1997, ha adeguato tali valori, ai sensi delle modifiche al Titolo 2^ della L. n. 865 del 1971 di cui alla L. 28 gennaio n. 10, del 1911, art. 14, al tipo di coltura in atto e al valore aziendale dei fondi in rapporto all’allevamento di bovini, cui erano destinati.

Si è quindi affermato che la perdita di valore del terreno asservito per la società proprietaria, era derivata anche dal forzato abbandono dell’attività di allevamento e dalla trasformazione di questa in quella cerealicola – foraggera, liquidandosi il dovuto nella perdita di valore indennitario del fondo asservito e non della sola area su cui incidevano le linee aeree e, in concreto, considerando che la servitù, con altra precedente dello stesso tipo e a vantaggio della stessa Enel, aveva ridotto a circa 50 ettari le aree irrigue, non potendo l’impianto d’irrigazione con getti di circa 50 metri utilizzarsi nell’area di incidenza delle linee elettriche poste ad altezza tra ml. 13 e ml. 24, per cui la liquidazione e cessazione dell’azienda zootecnica già esistente era da attribuire all’asservimento stesso ai sensi dell’art. 123 del T.U. Acque, non essendo accoglibili le censure del c.t. di parte dell’ENEL sul nesso causale tra la imposizione della servitù e la fine dell’azienda di cui era parte il fondo asservito. La sentenza afferma che il c.t.u.

aveva ritenuto necessario ridurre la misura dell’indennità del 30% per la sussistenza di cause concorrenti all’imposizione della servitù nel determinare la fine della precedente utilizzazione delle aree, così liquidando la indennità di asservimento nella misura indicata, da depositare presso la competente Cassa Depositi e prestiti, previa detrazione delle somme già depositate a vantaggio dei proprietari dei fondi asserviti. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso di tre motivi la sola ENEL s.p.a. a mezzo della sua procuratrice T.E.R.N.A., nei confronti delle società Azienda agricola Decima Trigoria e Terre di Decima s.r.l. subentrate a Bonifiche e Gestioni Agricole in agro romano, la cui opposizione è stata accolta nel merito, società che si difendono in questa sede con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, risultando nel fascicolo della ricorrente, richiamata anche nell’indice, la procura dell’Enel alla società T.E.R.N.A. che la legittima a ricorrere.

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 alla data della impugnazione e attuale comma 2, per non essersi la Corte d’appello uniformata al principio di diritto enunciato da Cass. n. 8999 del 1999 alla base del giudizio di rinvio, essendosi liquidata l’indennità con criteri diversi da quelli della L. n. 865 del 1971, art. 16 cui aveva fatto riferimento il giudice di legittimità. Lamenta la ricorrente che la Corte di merito ha seguito il c.t.u. nel ritenere erroneamente che comunque i valori agricoli medi (V.A.M.) dovessero adeguarsi, in rapporto a quanto stabilito dalla L. n. 10 del 1977, art. 14 modificativo della stessa legge del 1971, art. 15 ai valori concreti aziendali, tenendo conto del “peso economico con cui il terreno concorre, insieme con altri fattori economici, all’esercizio dell’azienda agricola di cui è parte”.

In ragione di tale valutazione aziendale del fondo e ricavando il valore dall’annuario dell’Agricoltura italiana per l’anno 1993, ridotto comunque del 30% dallo stesso c.t.u., potendo aver concorso altri elementi al cambio di destinazione delle aree espropriate, la Corte perviene alla complessiva determinazione dell’indennità liquidata. Non si sono quindi applicati i V.A.M. determinati “secondo i tipi di coltura effettivamente praticati” dalla apposita Commissione provinciale per la regione agraria in Provincia di Roma in cui sono siti i fondi asserviti e la mancanza in questa del Valore Agricolo Medio del seminativo irriguo nella classificazione della Commissione provinciale espropri prima del 1997 non giustifica la disapplicazione, potendosi applicare, secondo la ricorrente, quella di “seminativo” e non i valori dell’Annuario dell’Agricoltura italiana del 1993, che aveva portato ad un valore di circa L. 50.000.000 ad ettaro alla data dell’asservimento, anche se ridotto del 30% per l’esistenza di ragioni concorrenti con l’elettrodotto nella determinazione della perdita di valore delle aree asservite.

1.2. Si lamenta in secondo luogo l’insufficienza, inadeguatezza e contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata, in ordine al recepimento delle conclusioni del c.t.u., senza tener conto delle censure e osservazioni del consulente dell’Enel, relative alla utilizzabilità dei sistemi di irrigazione in uso a seguito dell’asservimento, con la conseguente necessità di cambiare destinazione alle aziende agricole delle controricorrenti.

L’argomentazione decisiva a base della liquidazione è che la costruzione dell’elettrodotto avrebbe impedito in fatto l’irrigazione del fondo e quindi la destinazione di esso ad allevamento bovino, essendo rimasto alle controricorrenti un residuo terreno non asservito di circa 50 ettari, di dimensioni cioè tali da rendere antieconomica l’impresa di allevamento già in esso gestita.

Si afferma dalla ricorrente che è assurdo che una linea elettrica, lunga m. 2252 e incidente quindi su meno di 8 ettari, abbia potuto impedire la irrigazione di 50 ettari e imposto l’abbandono dell’attività di allevamento di bovini in essa già svolto, anche a non considerare che, per il tecnico dell’espropriante, l’irrigazione a pioggia era comunque compatibile con le linee degli elettrodotti in concreto realizzate, in base alle norme regolamentari nella materia e alle prassi esistenti.

L’affermazione che la creazione della linea elettrica avrebbe impedito il proseguimento dell’allevamento bovino dell’espropriata, non potendo rilevare la preesistenza di altro elettrodotto in ordine al nesso causale rilevato nel merito, rende errata la liquidazione.

1.3 Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per insufficienza, inadeguatezza e contraddittorietà della motivazione, nella affermazione che la liquidazione e chiusura della preesistente azienda zootecnica sarebbe stata effetto della imposizione della servitù a vantaggio dell’Enel s.p.a..

Questa ultima aveva dimostrato che, subito dopo la occupazione di cui al presente procedimento ablativo, risultava cessata l’attività di allevamento, dopo la verifica di questo, nel 1984, anno dell’inizio dell’occupazione preordinata all’asservimento, per cui era da ritenere autonoma la scelta della società Bonifiche di liquidare le sue attività ed è errata la conclusione della Corte di merito che non ritiene convincenti le deduzioni del c.t. dell’Enel s.p.a in ordine a tale punto decisivo della controversia.

Si lamenta infine che erroneamente si è liquidato a vantaggio delle controparti il costo di rimozione e trasformazione delle stalle esistenti in loco, per L. 63.000.000, ritenuto dalla Corte d’appello una perdita subita dalle società, che invece da tali immobili avrebbero ricavato un vantaggio economico.

2.1. Il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata perchè non avrebbe liquidato le varie componenti della indennità di asservimento richiamate nell’art. 123 del T.U. Acque, con i criteri previsti nel Titolo 2^ della L. n. 865 del 1971, in riferimento alle aree asservite, per le quali doveva corrispondersi il valore c.d.

indennitario, cioè fissato in base ai valori agricoli medi determinati dalla Commissione provinciale espropri ai sensi della L. 865 del 1971, art. 16, sia in rapporto alla diminuzione di valore subita dal fondo per la servitù che per i pagamenti in percentuale o per intero di valori di aree da ritenere ablate o rese parzialmente inutilizzabili in base alla previsione della legge speciale. Il ricorso non esamina però separatamente e analiticamente le varie e singole componenti dell’indennità liquidata complessivamente nel merito, mentre la norma del T.U. Acque, specifica che esse sono la “diminuzione di valore che per la servitù subiscono il suolo e il fabbricato in tutto o in parte” (comma 1), il “quarto del valore per l’area su cui si proiettano i conduttori” in rapporto alla “parte strettamente necessaria al transito per il servizio delle condutture” e “il valore totale”, per le aree occupate da “basamenti dei sostegni delle condutture aeree o da cabine o costruzioni di qualsiasi genere, aumentate, ove occorra, da una adeguata zona di rispetto” (comma 3), dovendosi la parola “valore” identificare in quello “agricolo medio” di cui alla L. n. 865 del 1971 (cfr. sulla applicazione dei valori agricoli medi alle componenti dell’indennità che fanno riferimento a superfici, dovendosi per le costruzioni tener conto del valore venale, Cass. 27 giugno 2006 n. 14825 e 14 giugno 2000 n. 8097). Si afferma in ricorso l’erroneità del valore adottato e dell’affermazione della sentenza, per cui l’intero fondo (50 ettari) e non solo parte di esso (8 ettari circa in rapporto alla fascia larga ml. 4 di incidenza delle linee elettriche) sarebbe diminuito di valore.

Pur censurando la valutazione data nel merito ai terreni di L. 50.000.000 ad ettaro, ridotta comunque del 30% e quindi fissata in L. 3.500 a mq., perchè diversa da quella di cui ai V.A.M., il ricorso non contesta che i terreni siano “seminativi irrigui” nè chiarisce quale sia il valore agricolo medio da applicare per essi nel 1993, secondo quanto stabilito dalla Commissione espropri cui avrebbe dovuto ispirarsi la decisione impugnata, così impedendo di rilevare la decisività delle carenze motivazionali su tale punto decisivo della sentenza.

Questa afferma, condividendo sul punto le osservazioni del c.t.u., che i valori accertati sono sostanzialmente quelli tabellari per il seminativo irriguo nella regione agraria dei terreni asserviti in Provincia di Roma, logicamente adeguati a quelli reali e aziendali come previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 15 modificato dalla L. n. 10 del 1977, art. 14 (sesta pagina in fine della sentenza oggetto di ricorso).

Il richiamo ai valori tabellari per la provincia di Roma, che si rilevano dal Supplemento ufficiale n. 1 del Bollettino Ufficiale della Regione Lazio del 10 maggio 1994, pur non specificando, come è incontestato, per la regione agraria in cui sono site le aree delle controricorrenti, i valori dei seminativi irrigui, così come rilevato dalla sentenza dal c.t.u. e dai ricorrenti stessi, contiene valori medi che toccano L. 34.500.000 ad ettaro in altre regioni agrarie della stessa tabella, mantenendosi comunque a livelli in genere compatibili con l’adeguamento al valore reale ritenuto dall’ausiliare, di circa L. 35.000.000 ad ettaro, anche adottando i valori dei seminativi semplici come classificati e adeguandoli a quelli irrigui nella percentuale in cui ciò avviene per le altre regioni agrarie.

Tale adeguamento, secondo i giudici del merito, comporta l’aggancio dei V.A.M. ai valori “effettivi” dei terreni, che giustifica la stessa legittimità costituzionale del valore tabellare, come chiarisce la sentenza Corte Costituzionale 30 gennaio 1980 n. 5, che testualmente afferma “la L. n. 865 del 1971, art. 15 come sostituito dalla L. n. 10 del 1977, art. 14 prevede che per i terreni agricoli l’indennità di esproprio sia fissata, sia pure a seguito di opposizione dell’interessato alla liquidazione dell’indennità in base al valore agricolo medio, con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola. Si stabilisce così l’esatto criterio che l’indennità va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in base alle sue caratteristiche e alla sua destinazione economica…”.

Tale indicazione assume rilievo ancora più pregnante dopo la sentenza n. 348 del 27 ottobre 2007 della Corte Costituzionali, dovendosi comunque evitare una totale disparità di trattamento con i suoli edificabili delle aree agricole, anche dopo la novella del D.P.R. n. 327 del 2001. Nessun elemento fornisce il ricorso sul concreto V.A.M. almeno del “seminativo” delle aree asservite, per poter da esso ricavare quello “del seminativo irriguo” in fatto applicabile e mediamente doppio dell’altro nè in ordine ai seminativi irrigui di regioni agrarie vicine che come detto raggiungono in molti casi, qualsiasi criterio si adotti, valori simili a quello applicato di L. 3.500 a mq., considerato effettivo nella fattispecie.

La sentenza ha quindi applicato un valore corrispondente a quelli tabellari applicabili, in mancanza di una precisa individuazione del seminativo irriguo e del suo valore per le zone oggetto d’asservimento, uniformandosi in tal modo a quanto enunciato dalla sentenza di questa Corte a base del giudizio di rinvio, con conseguente infondatezza del ricorso per tale profilo.

La mancata specificazione nel ricorso dei valori tabellari di cui è chiesta l’applicazione e delle parti della relazione del c.t.u.

ritenute errate in ordine all’adeguamento di tali valori a quelli effettivi, comporta che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile per tali parti.

Risulta dal ricorso stesso che nel caso si è liquidato l’indennizzo anche in rapporto a costruzioni esistenti nella proprietà delle controricorrenti asservite, cioè alle stalle in cui erano custoditi i 133 bovini allevati, immobili per i quali unico valore da utilizzare per legge è quello venale e che secondo quanto si afferma nel ricorso stesso (punto 2.4.), la sentenza impugnata afferma che avrebbero comportato una perdita per le opponenti di L. 63.000.000, corrispondente al costo della rimozione e della necessaria trasformazione in magazzini di dette costruzioni.

Tale deduzione della stessa ricorrente evidenzia un’altra componente dell’indennità non adeguatamente impugnata nel suo complesso, non chiarendosi neppure la percentuale di diminuzione di valore subita dall’intero fondo asservito per i cinquanta ettari indicati e per le preesistenti stalle oggetto del peso imposto con la servitù, da parte della T.E.R.N.A. la quale con le sue censure non autosufficienti impedisce di raggiungere soluzioni diverse da quelle di cui alla sentenza impugnata.

Pretendere, come fa la ricorrente, che l’indennità deve coprire solo la perdita di valore dei quasi 8 ettari corrispondenti alle aree su cui si proiettano i conduttori e a quelle laterali di rispetto, che da soli comporterebbero una somma di circa L. 70.000.000 (un quarto del valore di tali aree) è sicuramente errato, alla luce dello stesso art. 123 del T.U. Considerato inoltre che alla fascia indicata, per cui andava corrisposto il quarto del valore, doveva aggiungersi quanto dovuto per le basi dei piloni e per costruzioni di manufatti strumento di esercizio della servitù, corrispondente all’intero valore agricolo di tali superfici occupate, con un’indennità complessivamente calcolabile per i due indicati titoli in circa L. 200.000.000, deve ritenersi che il computo dell’intero indennizzo operato dalla sentenza impugnata è congruo e giusto. Dai calcoli richiamati si perviene a una diminuzione di valore dell’intero fondo secondo la Corte di merito ammontante a circa L. 200.000.000, pari a poco più del 10% del valore indennitario del cespite asservito (L. 1.750.000.000 dei 50 ettari del fondo) certamente compatibile con la perdita subita per l’asservimento, a causa delle trasformazioni colturali imposte dalla servitù che ha trasformato in colture cerealicole quelle esistenti e reso antieconomica la pregressa attività aziendale di allevamento di bovini e produzione di latte.

Se è vero che non si deve tener conto dell’indennità di asservimento per il preesistente elettrodotto realizzato sugli stessi fondi a vantaggio della stessa ricorrente, tale situazione incide sulla attuale utilizzabilità del terreno nuovamente asservito per l’allevamento, con una soglia di maggiore rilevanza circa la riduzione delle aree da destinare all’allevamento che aggrava la precedente servitù da indennizzare, in quanto, solo a seguito di tale ulteriore nuovo peso e in base alla necessaria applicazione della causalità adeguata per effetto del nuovo elettrodotto, deve ritenersi essersi ancora ridotta la parte di terreno inutilizzabile per l’allevamento e la conseguente necessità di convertire l’azienda a colture cerealicole – foraggere, che la rendono di valore minore.

Su tali punti della sentenza le censure di cui al primo motivo di ricorso sono inadeguate e vanno quindi ritenute inammissibili, dovendosi escludere che la Corte di merito, nei sensi e limiti già indicati non si sia uniformata ai principi enunciati dalla Corte di cassazione nel 1999.

2.2. Inammissibili sono poi il secondo e terzo motivo di ricorso che attengono alle carenze motivazionali della sentenza impugnata in ordine alla possibilità in fatto di proseguire la irrigazione a pioggia dei terreni, necessaria per l’allevamento a causa della costruzione dell’elettrodotto la altezza delle cui linee aeree avrebbe interferito con i getti d’acqua dell’impianto di irrigazione reso in tal modo inutilizzabile.

Si tratta di un giudizio tecnico reso dall’ausiliare e fatto proprio dalla sentenza impugnata, nel quale questa Corte in sede di legittimità non può sostituirsi a quella di merito, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per tale profilo.

Altrettanto è a dire in ordine alla misura residua dei fondi rimasti a disposizione delle controricorrenti e giudicata insufficiente dal giudice di merito, per una gestione “economicamente” valida dell’allevamento; anche in tal caso non vi sono elementi che chiariscono i fatti decisivi su cui non vi sarebbe stata adeguata motivazione dalla sentenza impugnata con conseguente inammissibilità della impugnazione stessa, così come in ordine ai costi di rimozione o trasformazione delle stalle, che costituiscono anche essi una perdita per le aziende asservite. In conclusione, il primo motivo di ricorso va rigettato perchè infondato e gli altri devono dichiararsi inammissibili, con conseguente infondatezza dell’intera impugnazione.

Le spese della presente fase del giudizio devono porsi a carico della ricorrente e liquidarsi nella misura di cui in dispositivo, in favore delle controricorrenti.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alle controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte suprema di Cassazione, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

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