Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12636 del 17/06/2016

Cassazione civile sez. II, 17/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 17/06/2016), n.12636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22692-2011 proposto da:

R.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

Roma, V. degli Scipioni 110, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

D’IPPOLITO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

SEMERARO, come da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CAPITALIA SERVICE JV SRL, C.G., CA.AN.

R., CA.FR., CA.DA.;

– intimati –

avverso il provvedimento n. 172/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 07/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Giuseppe Semeraro, che si riporta agli atti e alle

conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, dott. Celeste Alberto, che

conclude per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Si tratta di azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) proposta da Capitalia Scrvice Jv Srl (d’ora innanzi Capitalia) nei confronti della signora N.M.R. (e delle altre parti), debitrice per circa Euro 70.000 come da ingiunzione di pagamento del 31 luglio 1994, per la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti dell’atto del 18 maggio 1994 di risoluzione della donazione modale del 2 ottobre 1993 con la quale la madre della debitrice, signora R.G., le aveva donato l’immobile in (OMISSIS). La signora N., unitamente al proprio coniuge Ca.Gi., aveva offerto alla Banca a garanzia di una situazione debitoria, con lettera in data 26 aprile 1994, l’ipoteca convenzionale su un cespite di loro proprietà. L’unico bene libero da vincoli pregiudizievoli doveva individuarsi nell’immobile donato, posto che l’altro cespite facente capo ai coniugi (appartamento in via (OMISSIS)) era già gravato da ipoteca convenzionale in favore di altro istituto di credito.

2. Il giudizio ha inizio nel novembre del 1994 e prosegue anche nei confronti degli eredi della signora N. nel frattempo deceduta l’8 aprile 2003. 11 Tribunale di Taranto, sezione stralcio, rigetta le domande della Banca.

3. Il gravame proposto dalla Banca viene accolto dalla corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che dichiara inefficace nei suoi confronti la risoluzione della donazione in questione con condanna alle spese del doppio grado.

3.1. La corte in particolare rileva la nullità della clausola risolutiva espressa contenuta nell’atto di donazione del bene dalla madre alla figlia con onere di assistenza da parte della figlia nei confronti della madre. Secondo tale clausola il venire meno dell’assistenza determinava l’automatica risoluzione della donazione e tale era il contenuto dell’atto sottoposto a revocatoria.

4. Impugna tale decisione la sola signora R.G. con tre motivi, notificando l’atto anche agli eredi della figlia N. (il coniuge Ca.An. e i tre figli An.Ra., Fr. e Da.). Capitalia Service non ha svolto attività in questa sede, così come gli altri intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato e va rigettato per quanto di seguito si chiarisce con riguardo a ciascun motivo.

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c. riguardo alla specificità dei motivi e dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla non corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La corte di appello ha riformato la sentenza sulla base di ragioni diverse da quelle poste a fondamento dell’impugnazione. Ha esaminato in modo approfondito la natura dell’atto di donazione modale quanto in particolare alla validità e all’efficacia della clausola risolutiva espressa, senza tener conto che si trattava di argomentazioni “assolutamente non richiamate” nell’atto di appello, ove sono trattate le questioni relative alla sussistenza delle condizioni per la revocabilità dell’atto ex art. 2901 c.c.. Sono stati superati i limiti dell’effetto d’evolutivo dell’appello.

1.1 – Il motivo è infondato. La corte, nella sua ampia motivazione, ha dato atto (vedi seconda pagina della motivazione della sentenza) che l’appellante ha censurato la motivazione della decisione “nella sua interezza in quanto basata su argomentazioni non comprensibili e contraddittorie e su errati presupposti in fatto in diritto” (righe 6-

7), riferendo poi in dettaglio le argomentazioni svolte nelle pagine seguenti, nelle quali si affrontano anche le questioni relative alla validità dell’atto di risoluzione della donazione modale.

2. Col secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 793 e 794 c.c., in relazione all’art. 1456 c.c., nonchè vizio motivazionale.

Ben poteva la donazione contenere una clausola risolutiva espressa, non esclusa da alcuna norma specifica. Il richiamo agli artt. 793 e 794 c.c. deve ritenersi improprio.

2.1 – Anche tale motivo è infondato. La ricorrente contesta soprattutto l’affermazione del giudice distrettuale, secondo il quale, nella donazione modale non può inserirsi la clausola risolutiva espressa. Al riguardo, basta richiamare il condiviso arresto di questa Corte (Cass. 2014 n. 14120), secondo cui, in tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell’onere non può avvenire ipso iure, senza valutazione della gravità dell’inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un modus.

3. Col terzo motivo si lamenta l’errata applicazione, al caso di specie, dell’art. 2901 c.c., in assenza dei suoi presupposti, specie quanto alla prova del consilium fraudis sia per la N., che era solo garante del debito del marito, che ben poteva estinguerlo, ma in particolare per la madre, odierna ricorrente, che era terzo rispetto all’atto e per la quale appunto non vi era alcuna prova.

3.1 – Anche l’ultimo motivo è infondato. 1,a Corte salentina ha convincentemente motivato sulla sussistenza dei prescritti requisiti del consilium fraudis (ossia la consapevolezza del pregiudizio che la dismissione dell’immobile recava alla Banca) e eventus damni (ossia il decremento del patrimonio della donataria a seguito della suddetta risoluzione della precedente donazione). Al riguardo, basta richiamare il costante orientamento di questa Corte, secondo cui “in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato” (Cass. n. 27546 del 30/12/2014, Rv. 633992). La Corte ha chiarito con riguardo all’intera vicenda e specificamente con riguardo alla posizione delle parti (madre e figlia) gli elementi di valutazione, anche presuntivi, che l’hanno condotta a tale conclusione con ragionamento logico e coerente, privo di vizi e come tale incensurabile in questa sede.

3. Nulla per le spese in mancanza di attività in questa sede della parte intimata.

PQM

Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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