Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12635 del 25/06/2020
Cassazione civile sez. II, 25/06/2020, (ud. 07/05/2019, dep. 25/06/2020), n.12635
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19789/2015 proposto da:
D.F., rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO
DEFILIPPI;
– ricorrente –
contro
SCAI MOTOR SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati STEFANO FRESCHI, MATTEO DEL
BUE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 561/2014 del TRIBUNALE di PARMA, depositata il
08/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
07/05/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1.- D.D. e F. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Parma SCAI Motor s.r.l. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati da errata intestazione al PRA del libretto di circolazione e del documento di proprietà di un veicolo che la seconda aveva acquistato in nome e per conto della prima, la quale, a causa della inerzia della convenuta, era stata costretta a subire esborsi al fine di ottenere la corretta intestazione del mezzo. A sua volta D.F. era stata danneggiata essendo esposta a responsabilità per i danni dovuti alla circolazione del veicolo ed alle violazioni del C.d.S..
L’adito Tribunale accolse la domanda di D.D. limitatamente alle spese sostenute per la variazione della intestazione del mezzo, condannando la convenuta a corrisponderle la somma di Euro 495,54, e rigettando le ulteriori domande risarcitorie, ivi compresa quella proposta da D.F..
2.- Tale sentenza fu impugnata solo da quest’ultima, lamentando il mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti da lei stessa e dalla sorella a seguito della vicenda di cui si tratta.
La Corte d’appello di Bologna, con ordinanza del 3 marzo 2015, ha dichiarato inammissibile il gravame ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., ritenendo che esso non presentasse alcuna ragionevole probabilità di accoglimento per la sua manifesta infondatezza, avendo il giudice di primo grado già accolto la domanda di D.D. in relazione alle spese sostenute per ottenere la variazione della intestazione del mezzo presso il PRA, e rilevando che l’appellante non era legittimata a dolersi del mancato accoglimento delle ulteriori domande proposte dalla sorella, mentre il danno dalla stessa appellante lamentato in proprio non sussisteva, non essendo stato dedotto che ella fosse stata destinataria di irrogazione di sanzioni amministrative collegate alla circolazione del veicolo e che avesse in concreto subito pregiudizio a causa della condotta ascritta alla società convenuta, nè essendo stato allegato il contenuto del danno morale di cui era stato chiesto il risarcimento.
3.- Per la cassazione di tale ordinanza, e della sentenza di primo grado, ricorre D.F. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso SCAI Motor s.r.l..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo mezzo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1467,1218 e 2043 c.c., per il mancato accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti dalla ricorrente e dalla sorella D.. Quanto ai danni subiti da quest’ultima, la ricorrente li individua sia nell’esborso della somma di Euro 376,98, corrisposta per il passaggio di proprietà del mezzo, sia nei disagi subiti a causa dell’inadempimento di SCAI Motor s.r.l., da valutare in via equitativa.
Il danno a carico della ricorrente consisterebbe – insiste D.F. – nella erronea intestazione a lei dell’autovettura, con conseguente responsabilità a suo carico in ordine ai danni causati dalla circolazione stradale, e nella sua esposizione alle sanzioni amministrative irrogate per violazioni al C.d.S..
2.-La censura è inammissibile.
Essa non si confronta affatto con la ratio decidendi della ordinanza della Corte d’appello e della sentenza del Tribunale impugnate, e ribadisce la propria richiesta di risarcimento dei danni dedotti obliterando completamente la risposta già fornita sia dal giudice di primo grado, sia da quello della impugnazione, che avevano sottolineato che il solo danno risarcibile – ed infatti risarcito – era quello conseguente agli esborsi sostenuti da D.D. per il passaggio di proprietà dell’autovettura, mentre non vi era prova della ricorrenza di alcun ulteriore pregiudizio. A tali argomentazioni nessuna considerazione la ricorrente contrappone, limitandosi a riprodurre i motivi della richiesta già avanzata nei gradi precedenti del giudizio. Senza considerare, quanto ai danni asseritamente a carico della sorella D. (non costituitasi nel giudizio di secondo grado), che – come già rilevato dalla Corte d’appello – F. non ha legittimazione al riguardo.
3. – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nell’ambito della ordinanza emessa dalla Corte d’appello ex art. 348-bis c.p.c.. Avrebbe errato la Corte di merito nel non spiegare sufficientemente le ragioni che la avevano indotta a ritenere inammissibile l’appello, condannando la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio, nonostante costei non fosse neanche la intestataria dell’autovettura, in tal modo non consentendo il controllo esterno sull’esercizio del potere giurisdizionale, in violazione dell’art. 111 Cost..
4.- Il motivo è privo di fondamento.
Come già chiarito sub 3, la ordinanza della Corte d’appello contiene la esplicitazione compiuta ed esauriente delle ragioni poste alla base della ritenuta inammissibilità del gravame della D., attraverso il riferimento, quanto al danno lamentato a carico della sorella della stessa, alla mancanza di legittimazione in capo all’appellante a farlo valere, e, quanto al danno dedotto in proprio, alla insussistenza dello stesso, non avendo ella allegato nè l’avvenuto pagamento di alcuna somma a titolo di sanzione ammnistrativa per violazioni al C.d.S., nè la evocazione in giudizio per domande risarcitorie derivanti dalla circolazione dell’autovettura, e nemmeno specificato i danni non patrimoniali asseritamente subiti.
Ne consegue la non configurabilità di una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
5.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 1500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020