Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12629 del 17/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 17/06/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 17/06/2016), n.12629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26400 – 2011 R.G. proposto da:

A.G., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso

in virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato

Massimo Gimigliano ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Taranto, n. 116, presso lo studio dell’avvocato Stefano Turchetto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA del DEMANIO, in persona del direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domiciliano;

– controricorrenti –

e

COMUNE di STALETTì;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 763 dei 28.6/13.9.2010 della corte d’appello

di Catanzaro;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

aprile 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Massimo Gimigliano per il ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ingiunzioni notificate il 16.10.1978, il 28.5.1985 ed il 25.1.1986 l’Ufficio del Registro di Catanzaro richiedeva a A. G. il pagamento di indennità per l’occupazione di suolo demaniale marittimo in località (OMISSIS), nel territorio del comune di Stalettì.

Con citazioni a comparire innanzi al tribunale di Catanzaro A. G. proponeva separate opposizioni e sollecitava l’annullamento delle ingiunzioni.

Deduceva che il terreno apparteneva al comune di Stalettì, che aveva autorizzato 1a costruzione dei manufatti che vi insistevano.

Si costituiva l’Amministrazione Finanziaria.

Instava per il rigetto delle avverse opposizioni ed, in via riconvenzionale, perchè A.G. fosse condannato al rilascio del terreno ed al pagamento delle indennità per l’occupazione maturate successivamente alla pronuncia delle opposte ingiunzioni.

Si costituiva altresì il comune di Stalettì; deduceva di esser proprietario da tempo immemorabile del terreno occupato e ne disconosceva l’appartenenza al demanio marittimo.

Instava perchè si dichiarasse destituita di fondamento la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria e perchè si desse atto dell’intervenuto acquisto da parte sua da epoca immemorabile della proprietà del cespite.

Riunite le opposizioni, disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 86/2006 il tribunale adito dichiarava illegittime e revocava le ingiunzioni opposte, ordinava all’opponente di rilasciare all’Amministrazione Finanziaria il terreno occupato, condannava, in accoglimento dell’esperita riconvenzionale, il medesimo A. G. a risarcire all’Amministrazione i danni cagionati per l’indebita occupazione ed all’uopo quantificati in Euro 529.584,00 oltre interessi, compensava le spese di lite.

Interponeva appello A.G..

Resisteva il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Si costituiva il Comune di Stalettì; esperiva inoltre appello incidentale avverso il capo della statuizione di prime cure che aveva respinto le proprie istanze.

Con sentenza n. 763 del 28.6/13.9.2010 la corte d’appello di Catanzaro rigettava sia il gravame principale sia il gravame incidentale e compensava le spese del grado.

Esplicitava la corte distrettuale che in nessun modo erano da condividere i rilievi critici rivolti dagli appellanti agli esiti della consulenza tecnica espletata in prime cure, esiti che, viceversa, ai fini del riscontro della appartenenza allo Stato del terreno, erano appieno da recepire, segnatamente nella parte in cui si dava atto che l’esame dei titoli confermava “”la natura demaniale originaria del terreno a valle della ferrovia (…), fino alla linea di riva, di appartenenza al demanio marittimo”” (così ricorso, pagg.

23 – 24).

Esplicitava in particolare che il consulente, in sede di riscontro

dei titoli, era risalito al decreto datato 31.10.1876 con cui la “Società delle Strade Ferrate per il Mediterraneo” aveva provveduto ad espropriazioni definitive in danno del Comune di Stalettì, espropriazioni a seguito delle quali il terreno era divenuto di proprietà dello Stato; che, al contempo, il c.t.u. aveva “preso in esame anche gli elementi che andrebbero in direzione opposta alla conclusione circa la demanialità del terreno in questione” (così sentenza d’appello, pagg. 21 – 22); che, nondimeno, tali elementi non erano per nulla significativi.

Esplicitava, d’altra parte, in ordine all’asserita sussistenza degli estremi di una cosiddetta “sdemanializzazione tacita”, che “non si rinvengono nella fattispecie, o perlomeno non risultano provati, dei comportamenti univoci dello Stato dai quali desumere la volontà di far cessare la natura demaniale dei beni in argomento” (così sentenza d’appello, pag. 25); che, per giunta, per i beni del demanio marittimo la sdemanializzazione non può verificarsi tacitamente, ma richiede ai sensi dell’art. 35 cod. nav. un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa di carattere costitutivo.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.G.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio si sono costituiti ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Il Comune di Stalettì non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” (così ricorso, pag. 8).

Premette che, siccome aveva già dedotto con l’atto di appello, “ha acquisito la disponibilità del bene controverso non dall’Amministrazione dello Stato bensì dal Comune di Stalettì, in forza di convenzione” (così ricorso, pag. 8), sicchè nessun rapporto è mai insorto tra la medesima Amministrazione Finanziaria ed egli ricorrente, “sì da giustificare la proposizione dell’azione personale ed il suo accoglimento” (così ricorso, pag. 8).

Indi adduce che “l’Amministrazione Finanziaria (…) avrebbe dovuto proporre – per tutelare la sua asserita proprietà – l’azione reale di rivendica” (cfr. ricorso, pag. 9), sicchè la corte di merito ha confermato il primo dictum, con il quale “era stato ordinato il rilascio dell’immobile oggetto di causa, senza verificare adeguatamente se l’azione intentata dall’Amministrazione Finanziaria (a difesa della proprietà) (…) fosse idonea allo scopo cui era destinata” (così ricorso, pag. 8).

Adduce al contempo che, se è vero che il giudice è investito del potere – dovere di qualificazione della domanda, tuttavia l’estrinsecazione di siffatto potere è vincolata ai fatti allegati dalle parti, sicchè la qualificazione della domanda non può indurre ad identificarla con altra fondata su fatti diversi ovvero su diversa causa petendi.

Il primo motivo non merita seguito.

E difatti, contrariamente all’assunto del ricorrente, la domanda in prime cure esperita in via riconvenzionale dall’Amministrazione Finanziaria non si risolve in un’ actio in personam, sibbene costituisce senz’altro una rei vindicatio, giacchè a fondamento del rilascio all’uopo invocato la stessa Amministrazione non ha addotto altro titolo che il proprio diritto di proprietà.

Del resto l’azione di rivendicazione presuppone che l’attore assuma di essere proprietario di una cosa e di non averne più il possesso ed agisca, quindi, contro il possessore o il detentore per ottenerne la restituzione, sicchè essa richiede l’allegazione della proprietà di una certa cosa per ambito e contorni determinati (o determinandi) e la deduzione della lesione del proprio diritto in un ambito ben circoscritto, con un esatto tantundem restitutorio (cfr. Cass. 17.2.1982, n. 1004).

In questi termini la corte distrettuale ha congruamente ed esaustivamente reputato che, alla stregua degli accertamenti condotti dal c.t.u., che “ha esaminato i titoli risalendo al 1876” (così sentenza, pag. 13), fosse stata debitamente riscontrata la proprietà in capo all’ Amministrazione Finanziaria (il terreno oggetto di controversia, “seppure originariamente appartenente al Comune di Stalettì, per effetto di tali espropriazioni, è divenuto proprietà dello Stato”: così sentenza d’appello, pag. 15).

Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 823 c.c. e dell’art. 28 c.n.;

motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)” (così ricorso, pag. 9).

Adduce che l’assunto della corte di merito, secondo cui il bene oggetto di causa, in quanto “arenile”, rientra nel demanio marittimo, contrasta ed è in aperta contraddizione con gli atti di causa e, segnatamente, con l’affermazione della stessa corte secondo cui il medesimo terreno sarebbe stato oggetto “di atto ablativo finalizzato alla realizzazione del tronco della ferrovia (OMISSIS), alla fine del 1800” (così ricorso, pag. 10); che invero non è “affatto credibile che la Direzione Tecnica Governativa delle ferrovie Calabro – Sicule di Catanzaro andasse a realizzare l’opera pubblica a ridosso dell’arenile” (così ricorso, pag. 10); che, d’altronde, la spiaggia, “quale demanio pubblico naturale e necessario, è inalienabile (…) ed inespropriabile” (così ricorso, pagg. 10 – 11).

Adduce dunque che è da disconoscere coerenza al “ragionamento logico – giuridico del secondo giudice di merito che – pur dando atto che il terreno è da considerarsi attualmente arenile e quindi demanio marittimo o meglio demanio naturale necessario – lo ha fatto derivare dal demanio ferroviario ed ancora prima dal Comune di Stalettì” (così ricorso, pag. 11).

Adduce infine che “l’errore di identificazione è avvalorato dal fatto che la Corte, tra i vari elementi posti alla base della decisione sulla demanialità del bene, ha valutato (…) una “compravendita di altra parte del fondo (OMISSIS), intercorso successivamente tra il Comune di Stalettì e la Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo” (atto notaio Meneghini del 2.6.1892)” (così ricorso, pag. 12).

Il secondo motivo del pari è immeritevole di seguito.

Si premette che il motivo si specifica e si qualifica esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che A.G. col motivo de quo censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso (“in verità, detto assunto, basato anche sulle effettuate indagini peritali, contrasta ed è in aperta contraddizione con gli atti di causa e con la situazione reale del terreno”: così ricorso, pag. 10).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione).

Su tale scorta si rappresenta che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Si rappresenta, in particolare, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).

Si rappresenta, conseguentemente, che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Nei termini testè enunciati l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo sul piano logico – formale.

Più esattamente la corte di Catanzaro ha vagliato nel complesso –

non ha dunque obliterato la disamina di punti decisivi – e dipoi ha in maniera inappuntabile selezionato il materiale probatorio cui ha inteso ancorare il suo dictum (“il primo atto preso in esame dal c.t.u. è l’esproprio definitivo del 31.10.1876”; così sentenza d’appello, pag. 13; “il c.t.u. ha rinvenuto, inoltre, una planimetria risalente al 10 ottobre 1877”: così sentenza d’appello, pag. 15; “è stata, inoltre, reperita una relazione della Direzione Tecnica Governativa di Catanzaro, datata 28.1.1879”: così sentenza d’appello, pagg. 16 – 17; “l’atto Notaio Meneghini del 2.6.1892, reperito presso l’Archivio Notarile di Catanzaro”: così sentenza d’appello, pagg. 17 – 18), altresì palesando in forma nitida e coerente il percorso decisorio seguito.

In ogni caso ed a rigore con il motivo in disamina il ricorrente null’altro prospetta se non un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (“la scelta tecnica di collocare la ferrovia (previo esproprio ai danni del Comune di Stalettì) nel punto dove potevano giungere (in potenza) le acque del mare, lascia perplessi ed impedisce di individuare nella pila 17 (…) il terreno del quale l’Amministrazione Finanziaria assume di essere proprietaria così ricorso, pag. 10).

Il motivo, dunque, involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il motivo, di conseguenza, si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

Il comune di Stalettì non ha svolto difese.

E parimenti non hanno di fatto svolto difesa alcuna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio.

Nonostante il rigetto del ricorso principale, pertanto, nessuna statuizione nei suoi confronti va assunta in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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