Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12628 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. I, 24/05/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 24/05/2010), n.12628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LINDT & SPRUNGLI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CUCINELLA LUIGI ALDO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

10/12/2007, n. 52896/06 R.G.V.D.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. SALVAGO Salvatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Roma, con decreto del 10 dicembre 2007 ha respinto la domanda della s.p.a. Lindt & Sprungli di indennizzo L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 2 per la durata irragionevole del processo intrapreso davanti al Tribunale di Napoli con citazione dell’11 luglio 2002 per ottenere la declaratoria di nullita’ di una sentenza dichiarativa di fallimento: in quanto, pur essendosi il giudizio concluso in primo grado soltanto con sentenza del 27 marzo 2007 il danno non patrimoniale riguardando la sfera delle sofferenze e degli affetti non poteva essere attribuito ad una persona giuridica;

Che la s.r.l. Lindt per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 5 motivi; cui ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia;

Che la ricorrente,deducendo violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione CEDU,nonche’ dell’art. 112 c.p.c., ha censurato la decisione per non aver considerato che il danno non patrimoniale secondo la giurisprudenza della Corte CEDU e di questa Corte, deriva automaticamente dall’irragionevole ritardo della risposta sulla domanda di giustizia o e’ comunque desumibile da elementi presuntivi, senza che rilevi l’esito del giudizio, nonche’ la fondatezza della pretesa di cui si e’ discusso nel giudizio presupposto.

Ritenuto che l’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, in relazione alla cui inosservanza la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 accorda equa riparazione (ove si sia prodotto un danno patrimoniale o non patrimoniale), stabilisce il diritto di ogni persona di ottenere entro un termine ragionevole una pronuncia sui diritti o doveri oggetto di dibattito civile. Ragion per cui, questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, e’ fermissima nel ritenere che anche per le societa’ e piu’ in generale per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, e’ – tenuto conto dell’orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo – conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri: e cio’ non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche. Sicche’, pur dovendo escludersi la configurabilita’ di un danno “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l’entita’ della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal richiedente (Cass. 337/2008; 13829/2006; 7145/2006; 21094/2005). Poiche’ nel caso nessuna di dette circostanze e’ stata prospettata neppure dal Ministero, il Collegio deve cassare il decreto impugnato in relazione alla censura accolta; e siccome la stessa Corte di appello ha determinato in tre anni il termine di durata ragionevole del processo,e quindi in anni uno, mesi 8, gg. 15 il suo irragionevole protrarsi dopo la scadenza del triennio, la Corte deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. liquidando alla s.r.l. Lindt un indennizzo che tuttavia data la modestia della posta in gioco, viene determinato in misura inferiore allo standard minimo indicato dalla Corte Edu di Euro 1000,00 per anno in base al parametro minimo di 750,00 Euro per ogni anno di ritardo, e percio’ nella misura complessiva di Euro 1.300,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale.

Deve, invece, essere respinta la censura relativa alla durata del processo, secondo la ricorrente pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005).

Le spese del giudizio di merito,in aderenza al criterio legale della soccombenza vanno gravate sul Ministero e si liquidano come da dispositivo; mentre siccome il ricorso e’ stato accolto soltanto in minima parte, il Collegio ritiene di compensare tra le parti la meta’ delle spese del giudizio di legittimita’.

PQM

LA CORTE accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere alla s.p.a. Lindt & Sprungli la somma di Euro 1.300,00 con gli interessi dalla data della domanda; lo condanna inoltre al pagamento in favore della societa’ ricorrente delle spese del giudizio di merito liquidate in complessivi Euro 780,00, di cui Euro 280,00 per diritti ed Euro 450,00 per onorario, e delle spese del giudizio di cassazione in ragione di meta’, liquidate nell’intero in Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge, da distrarsi a favore del proc. antistatario.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Cosi’ deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

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