Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12627 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6935/2014 proposto da:

M.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NICOTERA n. 29, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAGNO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ADOLFO BIOLE’;

– ricorrente controricorrente incidentale –

contro

AUTORITA’ PORTUALE DI GENOVA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 433/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/09/2013 R.G.N. 9/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 17012 del 5 ottobre 2012 questa Corte ha accolto il ricorso proposto da M.F.M. avverso la sentenza n. 818/2009 con la quale la Corte d’Appello di Genova aveva ritenuto legittimi i rapporti a tempo determinato intercorsi fra la ricorrente e l’Autorità Portuale di (OMISSIS), senza soluzione di continuità, a partire dal 1 giugno 2005 e sino al 31 dicembre 2008;

2. la pronuncia rescindente ha rilevato che il giudice di merito, per escludere la denunciata violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, aveva valorizzato la sola causale indicata nei contratti, desumendone la diversità della prestazione, e non aveva esaminato in modo adeguato la documentazione prodotta e le deposizioni testimoniali, dalle quali emergeva che l’attività oggetto del secondo contratto a termine era stata espletata anche nel periodo di svolgimento del primo rapporto;

3. ha ravvisato profili di contraddittorietà della motivazione, perchè il giudice d’appello aveva finito per riconoscere che la M., nella vigenza del contratto del 1 giugno 2005, si era occupata non solo della promozione crocieristica, ma anche della preparazione del progetto “(OMISSIS)”, in relazione al quale era stata poi nuovamente assunta il 1 giugno 2006;

4. ha cassato, pertanto, la sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte territoriale “per una più approfondita valutazione del materiale probatorio già acquisito in atti”;

5. il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza qui impugnata che ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto del 1 giugno 2005 ed ha condannato l’Autorità Portuale al risarcimento del danno, quantificato in misura pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre agli interessi legali;

6. a sostegno del decisum la Corte territoriale ha rilevato, in sintesi, che, già in pendenza del primo rapporto, la M. aveva svolto una significativa attività di promozione del progetto “(OMISSIS)”, che anticipava ciò che avrebbe costituito l’oggetto del secondo contratto, nel quale era stata indicata una causale solo formalmente distinta da quella posta a fondamento del primo rapporto a tempo determinato;

7. ha quindi dichiarato la nullità del termine, ma ha escluso la fondatezza della domanda di conversione, ritenendo ostativa all’accoglimento della stessa la natura di ente pubblico non economico del datore di lavoro;

8. la Corte territoriale ha valorizzato, ai fini della qualificazione dell’Autorità Portuale, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 993, nonchè le attività svolte, a tutela di interessi generali e senza alcuna finalità di lucro, ed ha aggiunto che la L. n. 84 del 1994, art. 10, comma 6, come modificata dalla L. n. 647 del 1996, art. 11, nel qualificare di diritto privato i rapporti di lavoro instaurati dalle Autorità Portuali non si riferisce all’instaurazione dei rapporti stessi, che resta regolamentata dalle disposizioni specifiche in materia, ossia dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 30 e 35;

9. ha conseguentemente ritenuto applicabile del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e, in difetto di ulteriori specifiche deduzioni, ha liquidato il danno in via equitativa quantificandolo in 12 mensilità, in ragione della durata del rapporto e della complessiva condotta del datore di lavoro;

9. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.M.F. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, ai quali ha replicato l’Autorità Portuale di (OMISSIS), che ha notificato controricorso con ricorso incidentale affidato a due motivi di doglianza, contrastati dalla M. con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso principale, articolato in più punti, denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 5 e censura la sentenza impugnata nella parte in cui, erroneamente, ha escluso la conversione del rapporto in ragione della natura di ente pubblico non economico dell’Autorità Portuale;

1.1. la M. richiama la L. n. 84 del 1994, il D.M. 7 ottobre 1996 e la Legge Finanziaria n. 296 del 2006, per sostenere che il legislatore ha inteso sottrarre i rapporti di lavoro instaurati con le Autorità Portuali dall’ambito dell’impiego pubblico, tanto che con la legge istitutiva ha escluso l’applicazione della L. n. 70 del 1975 e del D.Lgs. n. 29 del 1993 ed ha affidato la disciplina di detti rapporti alle disposizioni del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa ed a contratti collettivi nazionali di lavoro diversi da quelli previsti per le amministrazioni pubbliche, stipulati non dall’Aran bensì dall’associazione rappresentativa delle Autorità e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative;

1.2. aggiunge che il D.M. 7 ottobre 1996, nel dettare i criteri generali per il contratto collettivo, ha implicitamente escluso l’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, nel rinviare alla contrattazione collettiva la disciplina anche delle modalità di assunzione e dei criteri per la selezione del personale;

1.3. richiama, infine, giurisprudenza di questa Corte e del Consiglio di Stato per sostenere che la sentenza del giudice amministrativo richiamata nella decisione gravata non si è confrontata con i precedenti citati ed ha valorizzato, per affermare la natura di ente pubblico non economico, solo l’assenza del fine di lucro e di un regime concorrenziale, senza tener conto “della complessità e dei molteplici profili che caratterizzano la figura ibrida di questo ente”;

2. la seconda censura del ricorso principale, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione della L. n. 84 del 1994, art. 10, comma 6, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, art. 2 del CCNL dei Lavoratori dei Porti 1.1.2009/31.12.2012, perchè non poteva il giudice d’appello ritenere applicabile il D.Lgs. n. 165 del 2001 a fronte dell’espressa qualificazione privatistica del rapporto contenuta della L. n. 84 del 1994, art. 10, comma 6, ribadita anche dalle parti collettive le quali, con l’art. 2 del CCNL richiamato in rubrica hanno previsto, oltre all’assunzione a seguito di selezione per titoli e/o esami, anche quella per chiamata diretta;

3. con il terzo motivo la ricorrente principale torna a dolersi della violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 10, comma 6, L. n. 84 del 1994, artt. 10 e 6 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 5 e 6 e sostiene, in sintesi, che nella fattispecie non poteva essere applicato il divieto di conversione, in ragione della natura privatistica del rapporto affermata dalla L. n. 84 del 1994, con la quale le procedure previste dal D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 32,33,34 e 35, sono state richiamate solo limitatamente alla mobilità del personale;

4. la quarta critica del ricorso principale denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della Direttiva 1999/70/CE, della clausola 5 di cui all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 allegato alla direttiva 1999/70/CE del consiglio del 28 giugno 1999, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5” e sostiene, in sintesi, che il legislatore italiano, nell’escludere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni ha violato il principio di effettività, lasciando privo di sanzione l’abuso, e pertanto la norma di diritto interno, in quanto contrastante con quello dell’Unione, doveva essere disapplicata dalla Corte territoriale;

4.1. la M. dopo aver richiamato, a sostegno dell’invocata disapplicazione, l’ordinanza della Corte di Giustizia del 12/12/2013 in causa C-50/13, Papalia, sollecita un nuovo rinvio pregiudiziale in ordine alla compatibilità con la direttiva del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

5. infine con il quinto motivo la ricorrente principale, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5,L. n. 183 del 2010, art. 32,L. n. 300 del 1970, art. 18, si duole dell’inadeguatezza del risarcimento del danno e sostiene che quest’ultimo doveva essere liquidato, per il principio di equivalenza, tenendo conto dell’ammontare dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, prevista per il caso di accertata illegittimità del licenziamento, alla quale doveva essere sommato l’importo forfettizzato di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, che nell’impiego privato è riconosciuto in caso di conversione del rapporto;

6. il ricorso incidentale denuncia, con il primo motivo, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; diversità delle mansioni svolte tra i contratti succedutisi: contratto dal 1.6.2005 al 1.6.2006 e contratto dal 1.6.2006 al 31.12.2007, prorogato al 31.12.2008″ ed addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di non avere esaminato documentazione decisiva prodotta dalla stessa ricorrente (documento 40 delle produzioni) dalla quale emergeva che quest’ultima, in vigenza del primo contratto, si era occupata della promozione crocieristica, sicuramente prevalente rispetto ai compiti segretariali svolti per l’Ufficio speciale (OMISSIS);

6.1. addebita inoltre al Giudice d’appello di avere fatto confusione tra quest’ultimo ufficio e l’Agenzia del (OMISSIS), sorta solo nel marzo del 2006, non cogliendo di conseguenza la diversità fra l’attività preparatoria svolta prima della costituzione dell’Agenzia e quella affidata alla ricorrente con il contratto del 29.5.2006;

7. la seconda censura del ricorso incidentale, formulata in via subordinata, denuncia la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e dell’art. 2697 c.c., perchè il danno non poteva essere ritenuto in re ipsa, dovendo invece essere allegato e provato da chi assumeva di averlo subito, ed inoltre, anche a volerlo ritenere liquidabile in via equitativa, non poteva superare l’ammontare dell’indennità prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 8;

8. nel rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni, occorre esaminare con priorità il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale l’Autorità Portuale di Genova addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente dichiarato la nullità dei contratti a termine intercorsi fra le parti;

8.1. il motivo è inammissibile, perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 12 settembre 2013 e la censura esorbita dai limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo solo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

8.2. nell’interpretare la disposizione in parola le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ” nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

8.3. nel caso di specie la Corte territoriale, attenendosi alle indicazioni fornite dalla sentenza rescindente, ha valutato le deposizioni testimoniali e la produzione documentale ed ha ritenuto provata l’adibizione della M., nel secondo semestre del primo contratto, “ad un’attività che non aveva più nulla a che fare con la causale del contratto stesso ma anticipava ciò che avrebbe costituito l’oggetto del secondo contratto (portante dunque una causale solo formalmente distinta”;

8.4. il giudice d’appello ha preso specifica posizione sugli argomenti difensivi prospettati dall’Autorità Portuale, sia in relazione all’asserita differenza tra Ufficio Speciale di (OMISSIS) e Agenzia del (OMISSIS), sia con riferimento ai documenti formati in occasione della partecipazione della M. al Seatrade di (OMISSIS) (pag. 12 della sentenza impugnata), sicchè nessun omesso esame, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5, può essere addebitato alla Corte territoriale, perchè quest’ultima, non solo ha valutato il fatto storico decisivo ai fini di causa, ossia l’attività svolta sulla base dei contratti a termine della cui legittimità si discute, ma ha anche apprezzato tutte le risultanze probatorie, ivi comprese quelle delle quali la ricorrente incidentale lamenta, inammissibilmente, la mancata valorizzazione;

8.5. in realtà il motivo si risolve, in relazione a tutti gli argomenti prospettati, in una inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto e ne sollecita la revisione, non consentita in sede di legittimità;

9. il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati;

9.1. la natura di ente pubblico non economico dell’Autorità Portuale è stata affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte in recenti decisioni (Cass. S.U. n. 3733/2016 e Cass. S.U. n. 17930/2013), con le quali è stato superato un precedente orientamento espresso dalla Sezione Lavoro e sono stati ritenuti condivisibili gli argomenti spesi dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. n. 5248/2012 e n. 5801/2015; TAR Firenze n. 460/2017; TAR Lazio n. 7024/2016) per escludere che, a seguito del riordino del sistema portuale, le Autorità istituite dalla L. n. 84 del 1994, abbiano conservato la natura di ente pubblico economico che in precedenza caratterizzava gli enti portuali;

9.2. con le richiamate pronunce si è osservato che l’Autorità portuale, la quale secondo la legge istitutiva “ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa…nonchè di autonomia di bilancio e finanziaria..” (L. n. 84 del 1994, art. 6, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis), esercita “compiti e funzioni più propriamente ascrivibili alla regolazione ed al controllo dell’erogazione dei servizi che alla loro produzione ed allo scambio” ed inoltre, pur operando in regime di oggettiva economicità, non persegue finalità di lucro nè opera in regime di concorrenza con soggetti privati;

9.3. le Sezioni Unite hanno, poi, sottolineato che alla qualificazione dell’ente sulla base dei profili sostanziali, ha dato sostegno determinante e definitivo la qualificazione formale effettuata dal legislatore con la L. n. 296 del 2006, art. 1 comma 993, secondo cui “gli atti di concessione demaniale rilasciati alle autorità portuali, in ragione della natura di enti pubblici non economici delle autorità medesime, restano assoggettati alla sola imposta proporzionale di registro ed i relativi canoni non costituiscono corrispettivi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”;

9.4. la disposizione, lungi dall’avere un’efficacia innovativa, più che dare una interpretazione autentica della normativa vigente, prende atto del definitivo mutamento funzionale delle autorità portuali nell’ambito della Pubblica Amministrazione, mutamento attuato dalla L. n. 84 del 1994, per ottemperare alla decisione della Corte di Giustizia (sentenza 10.12.1991 in causa C 179/90, Merci Convenzionali Porto di Genova s.p.a.), la quale aveva ritenuto non conforme al diritto comunitario la mancanza di concorrenza che, nel precedente regime, si registrava in relazione al mercato del lavoro e dei servizi portuali;

9.5. la L. n. 84 del 1994, nell’individuare le competenze delle Autorità Portuali (art. 6, comma 1 del testo originario) e nel prevedere che le stesse ” non possono in alcun caso, nè direttamente nè attraverso la costituzione o la partecipazione in società, esercitare la gestione delle operazioni portuali di cui all’art. 16, comma 1, e di ogni altra attività strettamente connessa” (art. 6, comma 6), opera una scissione fra l’attività pubblicistica di amministrazione, indirizzo e vigilanza dei servizi che si svolgono all’interno dei porti e l’attività di gestione e di erogazione dei servizi stessi (art. 16) e riserva agli enti di nuova istituzione solo la prima, sottraendo ai medesimi tutti quei compiti, in precedenza espletati dagli enti portuali, che avevano portato a ravvisare la natura economica di questi ultimi, perchè svolti con modalità ispirate al rispetto dei criteri di imprenditorialità e di economicità propri delle imprese private;

9.6. quella operata dalla L. n. 296 del 2006, poi confermata dalle modifiche apportate alla L. n. 84 del 1994, art. 6,D.Lgs. n. 169 del 2016 (nel testo vigente l’art. 6, comma 5, prevede che l’Autorità di Sistema Portuale è ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinamento speciale), è dunque una qualificazione espressa che si innesta su un quadro normativo dal quale già si doveva desumere, sulla base degli indicatori sostanziali elaborati dalla giurisprudenza, la natura di ente pubblico non economico delle Autorità;

10. una volta ricondotte le Autorità portuali nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, le Sezioni Unite ne hanno tratto, quale conseguenza, l’applicabilità dell’art. 63 dello stesso decreto ed hanno affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie in materia di procedure concorsuali finalizzate alle assunzioni, ritenendo a ciò non ostativo il disposto della L. n. 84 del 1994, art. 10, comma 6, che, nel testo modificato dal D.L. n. 535 del 1996, convertito dalla L. n. 647 del 1996, prevede che “il rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali è di diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V – titolo I – capi II e III, titolo II – capo I, e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Il suddetto rapporto è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, che dovranno tener conto anche della compatibilità con le risorse economiche, finanziarie e di bilancio; detti contratti sono stipulati dall’associazione rappresentativa delle Autorità portuali per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative del personale delle Autorità portuali per la parte sindacale”;

10.1. hanno osservato le Sezioni Unite che occorre tenere distinto il momento genetico del rapporto dalla sua successiva gestione ed hanno ritenuto che anche le Autorità portuali, quanto al reclutamento, restano assoggettate alle regole attraverso le quali il legislatore ordinario ha attuato l’art. 97 Cost.;

11. i richiamati principi orientano nella soluzione della questione che qui viene in rilievo ed inducono a ritenere corretto il giudizio espresso dalla Corte territoriale, la quale ha escluso che in caso di illegittima apposizione della clausola di durata la nullità possa rimanere circoscritta al solo termine ed il contratto possa dare vita ad un rapporto a tempo indeterminato;

11.1. infatti, nei rapporti che si svolgono alle dipendenze di Pubbliche Amministrazioni, non è sufficiente la natura privatistica, seppure espressamente affermata dal legislatore nazionale o regionale, per sostenere che, stante l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, non potrebbe operare il divieto di conversione previsto dall’art. 36 dello stesso decreto e tornerebbe ad espandersi nella sua pienezza la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, anche quanto alle conseguenze dell’illegittima apposizione del termine;

11.2. basterà al riguardo richiamare le conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta nel risolvere l’analoga questione che si è posta in relazione ai rapporti di lavoro, egualmente qualificati di diritto privato, instaurati dalle Università con i collaboratori esperti linguistici (Cass. 21831/2014, Cass. n. 5220/2016, Cass. n. 14776/2016) e dalle Regioni con gli operai forestali (Cass. n. 24808/2015 e Cass. n. 3805/2019), rapporti in relazione ai quali si è esclusa la conversione, valorizzando la natura pubblica non economica dell’ente datore di lavoro, e ponendo l’accento sulla necessità di orientare l’esegesi della normativa speciale al rispetto dei principi fissati dall’art. 97 Cost.;

11.3. la Corte Costituzionale, infatti, da tempo ha evidenziato che “l’applicabilità di tali principi – pena l’elusione della norma della Costituzione – dipende infatti dalla natura pubblica del soggetto cui il rapporto di impiego fa capo e non dalle caratteristiche dello strumento giuridico utilizzato per allacciarlo” ed ha aggiunto che il reclutamento nelle amministrazioni pubbliche “non può rendersi indipendente dalla preventiva e condizionante valutazione dell’oggettiva necessità di personale per l’esercizio di pubbliche funzioni (sentenza n. 205 del 1996): una valutazione che, nel rispetto del principio di legalità (sentenza n. 728 del 1988), si esprime di norma, in relazione alle esigenze permanenti, connesse alle funzioni istituzionali dell’ente, attraverso le procedure previste per la definizione dell’organico e l’eventuale determinazione di nuovi posti da coprire con dipendenti di ruolo…. La carenza di una previa valutazione delle esigenze funzionali, infatti, finirebbe per incrementare inutilmente e quindi irragionevolmente il numero dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e per subordinare l’interesse pubblico a quello del personale, con ciò venendosi a determinare quell’inversione di priorità che questa Corte, in diverse circostanze, ha già ritenuto lesiva dell’art. 97 Cost. (ad es., sentenze nn. 205 del 1996, 484 del 1991, 1 del 1989 e 123 del 1968, nonchè, a contrario, 477 del 1995 e 250 del 1993), anche indipendentemente dalla recente legislazione statale di principio sull’impiego pubblico, la quale dei sopra indicati principi costituzionali costituisce una puntualizzazione” (Corte Cost. n. 59 del 1997);

11.4. non a caso, pertanto, le Sezioni Unite di questa Corte, con le pronunce richiamate al punto 9.1., sia pure ai soli fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, hanno tenuto distinte gestione e genesi del rapporto, ribadendo che quest’ultima non si sottrae ai medesimi principi che valgono per l’impiego pubblico contrattualizzato;

11.5. d’altro canto già Cass. n. 13729/2000, pur qualificando (erroneamente per quanto sopra evidenziato) l’Autorità Portuale ente pubblico economico, aveva affermato che l’assunzione presso la stessa richiedeva la previa adozione della pianta organica, deliberata nel rispetto dei requisiti e delle forme richieste dall’art. 9, comma 3, lett. i), e ne aveva tratto come conseguenza la nullità dei contratti di lavoro stipulati in contrasto con la disciplina di riordino del sistema portuale;

11.6. in via conclusiva si deve ritenere che le medesime ragioni che stanno alle base del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, impediscano l’instaurazione di stabili rapporti di lavoro con le Autorità Portuali che non tengano conto dell’effettivo fabbisogno di personale, delle esigenze finanziarie dell’ente pubblico non economico, della necessaria pubblicità delle forme di reclutamento, cioè degli interessi pubblici e dei principi consacrati dall’art. 97 Cost., che ostano all’invocata conversione del rapporto a termine, affetto da nullità, in contratto a tempo indeterminato;

11.7. una diversa interpretazione della normativa speciale dettata in tema di rapporto di impiego dalla L. n. 84 del 1994, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, esporrebbe la stessa alla censura di incostituzionalità, non solo per contrasto con il più volte richiamato art. 97 Cost., ma anche perchè del tutto ingiustificata risulterebbe la diversità di trattamento rispetto ai dipendenti delle altre Pubbliche Amministrazioni;

12. il divieto di conversione non può essere ritenuto incompatibile con il diritto dell’Unione, perchè la Corte di Giustizia da tempo ha affermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purchè sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare, e se del caso a sanzionare, il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler);

12.1. le Sezioni Unite di questa Corte si sono quindi fatte carico di fornire un’interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, che armonizzi la disposizione con i principi affermati dalla Corte di Lussemburgo ed hanno statuito che ” in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicchè, mentre va escluso siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito.” (Cass. S.U. 15.3.2016 n. 5072);

12.2. con la richiamata pronuncia, alla quale le stesse Sezioni Unite hanno dato continuità con la più recente sentenza n. 19165/2017, si è in sintesi osservato che, ove venga in rilievo la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il diritto dell’Unione non impone la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, giacchè può costituire una misura adeguata anche il risarcimento del danno;

12.3. nell’impiego pubblico contrattualizzato, poichè la conversione è impedita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art. 97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A, consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.;

12.4. peraltro, poichè la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettività alla tutela del lavoratore, sì che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio difficile da assolvere;

12.5. sulla questione qui controversa è, poi nuovamente intervenuta la Corte di Lussemburgo che, chiamata a pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha evidenziato che ” la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno” anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro);

12.6. non si ravvisa, pertanto, necessità alcuna del sollecitato rinvio pregiudiziale, perchè la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata sulla compatibilità del divieto di conversione con la direttiva 1999/70/CE, sicchè la questione qui controversa può essere risolta attenendosi all’interpretazione del diritto dell’Unione già fornita dal giudice Eurounitario;

13. sulla base dei richiamati principi, ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità (cfr. fra le tante Cass. nn. 9116, 8671, 5432, 4952 del 2019), la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 248/2018 ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, perchè “se da una parte non può che confermarsi l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato – secondo la pacifica giurisprudenza Euronitaria e nazionale -, dall’altra sussiste una misura sanzionatoria adeguata, costituita dal risarcimento del danno nei termini precisati dalla Corte di cassazione”;

14. le difese di M.M.F. e dell’Autorità Portuale non prospettano argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, condiviso dal Collegio, sicchè devono essere rigettati il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale nonchè la seconda censura dell’impugnazione incidentale;

15. al riguardo va, infatti, evidenziato, da un lato, che non vi è spazio per il riconoscimento di un maggior danno, perchè la Corte territoriale, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, ha giustificato il ricorso alla valutazione equitativa valorizzando il “difetto di ulteriori specifiche deduzioni di danno”, dall’altro che la stessa, pur non richiamando espressamente la L. n. 183 del 2010, art. 32, ha contenuto il risarcimento nei limiti previsti dalla disposizione e lo ha liquidato tenendo conto della durata del rapporto nonchè della complessiva condotta di parte datoriale, mostrando di avere valutato i parametri previsti dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, alla quale rinvia il richiamato art. 32;

16. in via conclusiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

17. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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