Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12622 del 19/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/05/2017, (ud. 12/12/2016, dep.19/05/2017),  n. 12622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15150-2010 proposto da:

A.F.A., elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE

SANZIO 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MAZZELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA ANNONI giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 49/2009 della COMM. TRIB. REG. della LOMBARDIA

depositata il 14/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MAZZELLA per delega dell’Avvocato

ANNONI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato in data 8 febbraio 2006, A.F.A. impugnava dinanzi alla C.T.P. di Milano il diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di autotutela presentata dal contribuente al fine di ottenere lo sgravio della cartella di pagamento, notificata il 9 agosto 2003, emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, in relazione alla dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 1999. Secondo l’ A., il diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria era illegittimo, in quanto non teneva conto della dichiarazione “rettificativa” presentata il 15 novembre 2001.

La commissione tributaria adita respingeva il ricorso sul presupposto che l’atto di diniego di autotutela non fosse autonomamente impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Proposto appello dal contribuente, la C.T.R. della Lombardia, con sentenza del 14 aprile 2009, dichiarava inammissibile il gravame.

Il giudice di appello ha rilevato che l’appellante si era limitato a ribadire nel merito le doglianze già formulate in primo grado, senza censurare la statuizione della sentenza impugnata con la quale la commissione tributaria aveva ritenuto che il diniego di autotutela non fosse autonomamente impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19.

Avverso la suddetta decisione il contribuente propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso – rubricato “violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53; artt. 329 e 342 c.p.c.) – il contribuente sostiene che con l’atto di appello aveva dedotto sia che il diniego di autotutela era un atto autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario, sia che tale giudice avrebbe potuto sindacare nel merito il corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione.

2. Il motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata – nella parte riportata a pag. 3 del ricorso si legge: “la Commissione rileva che il contribuente avrebbe dovuto far valere le proprie ragioni impugnando la iscrizione a ruolo di cui alla cartella notificata nell’anno 2003. La circostanza che l’ufficio non abbia accolto l’istanza di autotutela non integra alcun atto che possa essere oggetto di autonoma impugnazione, essendo una tale istanza diretta a sollecitare l’ufficio al riesame della questione senza tuttavia far sorgere in capo all’ufficio stesso alcun obbligo di provvedere”.

Nell’atto di appello l’ A. (v. pag. 4 del ricorso per cassazione) ha dedotto: “la Commissione Provinciale di Milano non è entrata nel merito della questione limitandosi a sostenere che non può sostituirsi all’Ufficio annullando l’atto di cui si contesta la legittimità”, rilevando, inoltre, che “il Giudice di primo grado ben avrebbe potuto sindacare la legittimità del comportamento tenuto dall’Ufficio… visto che il diniego a procedere all’annullamento della cartella di pagamento è determinato dalla ritenuta fondatezza, da parte dell’Ufficio, della pretesa tributaria basata sulla dichiarazione originaria, la CTP avrebbe dovuto sindacare nel merito della questione e, se ritenuta l’imposizione fiscale viziata dal mancato recepimento della dichiarazione rettificativa, dichiarare illegittimo il diniego e decidere per l’annullamento dello stesso. Diversamente argomentando si giustificherebbe l’attività dell’amministrazione finanziaria pur essendo la stessa sostanzialmente illecita e causativa di un danno lesivo di una situazione di diritto soggettivo, conseguente alla erronea emissione della suddetta cartella di pagamento ed al diniego, del pari illegittimo, di accoglimento dell’istanza di sgravio della stessa”. Ha quindi concluso chiedendo la riforma della sentenza di primo grado giacchè “ingiusta e gravatoria, errata nei suoi presupposti di fatto e di diritto, oltre che carente di motivazione”.

Dall’esame della sentenza di primo grado e dei motivi di appello (trascritti nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza) si evince che il ricorrente non ha impugnato entrambe le rationes decidendi poste a base della decisione del primo giudice, attinenti alla omessa impugnazione dell’iscrizione a ruolo e alla non autonoma impugnabilità del diniego di autotutela.

Per pacifica giurisprudenza, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, delle censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla riforma della decisione impugnata.

Correttamente, pertanto, la C.T.R. ha dichiarato inammissibile l’appello del contribuente, con il quale non era stata censurata la ratio decidendi della sentenza di primo grado concernente la non autonoma impugnabilità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, del diniego di autotutela.

Va, peraltro, osservato che, essendo l’atto impositivo di cui si pretende il ritiro in via di autotutela divenuto definitivo per mancata impugnazione, il contribuente deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (in termini, Cass. n. 11457 del 2010; nn. 25524 e 25563 del 2014).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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