Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12622 del 05/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 12622 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 6820-2013 proposto da:
MURIALE ISABELLA MLRSLL65S43B481D, nella qualità di figlia
ed erede legittima di Muriale Maria Caterina, e quale delegata dai
germani Muriale Domenico, Muriale Cosimo, Muriale Nicola, NIuriale
Immacolata Anna, Muriale Maria, Muriale Giulia Giuseppina,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO MONTIGLIO
67, presso lo studio dell’avvocato FEMIA DOMENICO,
rappresentata e difesa
dall’avvocato TROPIANO ANNAMARIA giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 05/06/2014

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

avverso il decreto n. 716/2012 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO del 24/10/2012, depositato il 04/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 23 maggio 2012 presso la Corte di appello di
Catanzaro Isabella MURIALE, nella qualità di erede di Maria Cateriana
Muriale e quale delegata dai germani, Domenico, Cosimo, Nicola, Immacolata
Anna, Maria e Giulia Giuseppina Muriale proponeva, ai sensi della legge n. 89
del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a
causa della non ragionevole durata del giudizio introdotto dinanzi al Tribunale
di Locri — Sezione Lavoro, dalla sua dante causa, con atto depositato in data
19.4.2005, definito in primo grado con sentenza pubblicata il 23 marzo 2012,
poi avanti alla Corte di appello di Reggio Calabria (proposto gravame in data
2.4.2012), ove era ancora pendente.
La Corte di appello di Catanzaro, con decreto in data 4 dicembre 2012,
rigettava il ricorso ritenendo che il giudizio presupposto, pendente da sette
anni, poteva essere assicurato in cinque anni, tenuto conto dei due gradi di
giudizio e che i due anni ulteriori di ritardo dovevano essere addebitati alla
parte.

Ric. 2013 n. 06820 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-2-

– controricorre.nte –

Avverso tale decisione la MURIALE ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato a due motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche
introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad
apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo
comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
Ric. 2013 n. 06820 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-3-

Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione

tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze
che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo
comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la ricorrente lamenta
omesso esame di un fatto decisivo per non avere la corte di merito tenuto
conto che i sette anni erano decorsi solo per il giudizio di primo grado ed i
cinque anni detratti non erano addebitabili alla parte.

Ric. 2013 n. 06820 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-4-

presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 115 c.p.c. per non avere la corte di merito tenuto conto che
l’Amministrazione non aveva contestato le cause del ritardo.
I due mezzi — da trattare congiuntamente per la loro evidente connessione —
sono meritevoli di accoglimento.

giudice nazionale non è vincolato a criteri rigidi e predeterminati, ma è tenuto
a compiere, caso per caso, una valutazione di tutti gli elementi previsti dalla L.
n. 89 del 2001 (complessità della fattispecie, comportamento delle parti e del
giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a
concorrervi). Nel compiere tale valutazione, tuttavia, il giudice può discostarsi
dai parametri tendenziali fissati in materia dalla CEDU (che sono di anni tre
per il giudizio di primo grado, di anni due per il giudizio di appello e di un
anno per il giudizio di legittimità) solo in misura ragionevole, e sempre che la
relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente
coerenti e congrue (Cass. n. 6039 del 2009).
La particolare complessità del giudizio di primo grado, che giustifica la
determinazione della sua ragionevole durata in un periodo superiore ai tre
anni, non può dunque essere desunta, così come ritenuto dalla Corte di
merito, dall’astensione degli avvocati dalle udienze sia perché essa rappresenta
l’esplicazione di un diritto costituzionalmente tutelato dei difensori, sia perché
si tratta di un comportamento non ascrivibile alle parti che restano
pienamente titolari del loro diritto alla durata ragionevole del processo.
Peraltro l’astensione dalle udienze non è idonea di per sé a compromettere la
durata ragionevole dei processi se non in quanto rende necessario un rinvio
delle cause che non può avvenire nei tempi brevi previsti dal codice di rito a
causa dell’inadeguatezza del sistema giudiziario a fronteggiare la domanda di
giustizia in tempi adeguati (in termini v. Cass. 19 giugno 2013 n. 15420).
Quanto poi alla richiesta di rinvii per la necessità di produzione di
Ric. 2013 n. 06820 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-5-

Nell’accertare la violazione del termine di durata ragionevole del processo il

documentazione amministrativa, osserva il Collegio che non sono detraibili
dalla durata irragionevole del processo i rinvii richiesti dalle parti non
imputabili ad un intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, o, in
generale, all’abuso del diritto di difesa (Cass. n. 11307 del 2010), dovendosi,
peraltro, anche in tale ipotesi, valutare se al protrarsi del giudizio oltre il

rinvio fra l’una e l’altra udienza, dovuti a ragioni organizzative riferibili
all’amministrazione giudiziaria (Cass. n. 7550 del 2010).
La Corte di merito si è invece limitata ad indicare le date di udienza nelle quali
vi era stata l’istanza di rinvio, senza individuare nè precisare i termini ed i
tempi della condotta dilatoria; inoltre, non ha dato conto se l’autorità
procedente avesse o meno tenuto un comportamento sollecito, attivando i
poteri ufficiosi che le avrebbero consentito di definire più celermente la
vertenza, in tal modo addebitando interamente alle parti il ritardo derivato dai
rinvii.
Infine nel computare il tempo ragionevole di durata del giudizio presupposto
non ha tenuto conto che al momento del deposito del ricorso per ottenere
l’equa riparazione (il 23.5.2012), lo stesso era ancora pendente in grado di
appello, notificato l’atto introduttivo avanti alla Corte di merito il 2.4.2012),
come specificato dalla MURIALI. Ne consegue che avendo la ricorrente
allegato detta circostanza, come peraltro evincibile anche dagli atti processuali,

termine ritenuto ragionevole non abbiano concorso anche i tempi lunghi del

la Corte d’appello – tenendo conto del modello processuale della L. n. 89 del
2001 — non avrebbe potuto computare quale tempo ragionevole di durata del
secondo grado (del giudizio presupposto) due anni, per essere stato lo stesso
introdotto da poco più di un mese, così errando nella determinazione del
complessivo periodo irragionevole.
Ricorrono dunque i denunciati vizi e conseguentemente il provvedimento
impugnato deve essere cassato in relazione ai motivi accolti, e la controversia

Ric. 2013 n. 06820 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-6-

m

va rimessa alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
gennaio 2014.

La Corte, accoglie il ricorso;

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA