Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12621 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 25/06/2020), n.12621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2101/2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ABAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato NICOLA NOVIZIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROCCO TRUNCELLITO, EMILIO

PAOLO SALVIA;

– ricorrente –

contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7811/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2014 r.g.n. 9314/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.G., già dipendente della RAI s.p.a. con qualifica di telecineoperatore (T.C.O.), propose l’8 ottobre 1996 un ricorso per il riconoscimento della qualifica di Capo servizio dal 1 febbraio 1994. Tale domanda venne rigettata in primo e in secondo grado e il rigetto venne confermato in sede di legittimità (sentenza n. 21212/2005).

1.1. Con ricorso depositato il 26 febbraio 2008 presso il Tribunale di Napoli il C. agiva una seconda volta relativamente allo stesso periodo per ottenere il riconoscimento del diritto alla qualifica di coordinatore dei T.C.O., intermedia tra quella a suo tempo rivendicata e quella all’epoca posseduta, e per la condanna della RAI al pagamento delle relative differenze retributive. Assumeva il ricorrente che si era formato un giudicato a sè favorevole nel primo giudizio, atteso che in quella sede i giudici di merito avevano argomentato in merito all’effettivo svolgimento di mansioni riconducibili nella qualifica di coordinatore dei T.C.O..

1.2. Tale domanda veniva rigettata in primo e secondo grado. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 7811/2014, rilevava che vi era un giudicato, ma di rigetto della domanda, ossia un giudicato sfavorevole al ricorrente. Osservava che all’epoca del primo giudizio il C. avrebbe dovuto proporre appello per ottenere un dispositivo favorevole sulla qualifica intermedia e che, non essendo ciò avvenuto, il giudicato di rigetto copriva anche la domanda intermedia e la seconda azione incorreva nel divieto di bis in idem.

2. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso RAI s.p.a., che ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” per avere la sentenza ipotizzato l’esistenza di una omessa pronuncia nel primo giudizio avviato dal C. senza spiegare i motivi per i quali aveva rigettato l’actio iudicati dallo stesso proposta.

2. Il secondo motivo denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in ordine alle condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite di primo grado. Si assume che, avendo la Corte di appello compensato le spese di secondo grado, avrebbe dovuto compensare quelle di primo grado, accogliendo il motivo di gravame proposto.

3. Il ricorso è infondato.

4. Quanto al primo motivo, anche a voler prescindere dai profili di inammissibilità pure sussistenti – a fronte dell’erronea denuncia di vizio motivazionale in relazione ad un presunto error in iudicando e del difetto di specificità del motivo (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) rispetto all’ordine argomentativo della sentenza impugnata, la quale ha chiaramente escluso la configurabilità di un giudicato esterno in presenza di una statuizione di totale rigetto della domanda all’epoca proposta dal ricorrente, va comunque osservato che la Corte di appello ha correttamente statuito.

4.1. La domanda di accertamento del diritto del lavoratore ad essere inquadrato, anzichè nella qualifica richiesta, in una qualifica diversa ed inferiore, ma pur sempre superiore alla qualifica attribuita dal datore di lavoro, può ritenersi domanda implicitamente inclusa in quella proposta, purchè vi sia la corrispondente prospettazione degli elementi di fatto e, segnatamente, della declaratoria contrattuale che sorregga la qualifica intermedia; pertanto, incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che abbia rigettato la domanda di inquadramento nella qualifica superiore, omettendo l’esame della domanda implicitamente proposta in relazione alla qualifica intermedia. Tuttavia, tale vizio deve essere specificamente denunciato in appello, potendo, il giudice di appello, pronunciare sul riconoscimento della qualifica intermedia solo ove ciò sia stato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione ed incorrendo, invece, nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in caso di pronuncia sulla domanda non espressamente riproposta e da intendersi rinunciata (Cass. n. 3863 del 2008). In assenza di specifico motivo di impugnazione opera il principio, desumibile dall’art. 329 c.p.c., comma 2, secondo cui l’effetto devolutivo dell’appello non si verifica per i capi della sentenza di primo grado che non siano investiti dai motivi di impugnazione, con relativa formazione del giudicato (Cass. 11557 del 2003).

4.2. La Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha precisato che nel primo giudizio, conclusosi nel 2005, non risultava proposto un motivo di impugnazione da parte del C. inteso al riconoscimento della qualifica intermedia e che nel predetto giudizio la qualifica intermedia non era stata comunque riconosciuta (neppure d’ufficio) dal giudice di appello (sentenza n. 34/2001) nè dal giudice di legittimità (sentenza n. 21212/2005), la cui pronuncia aveva coperto il dedotto e il deducibile fino alla stessa data (posteriore alla data del pensionamento del C., avvenuto nel 2004). Ha pertanto concluso che il passaggio in giudicato del rigetto della domanda relativa al riconoscimento della qualifica superiore in nessun modo poteva essere interpretato come pronuncia di accertamento della qualifica intermedia di coordinatore del T.C.O., come invece preteso dal C..

4.3. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in argomento, atteso che il giudicato esterno di cui si discute è inequivocabilmente di rigetto della originaria domanda proposta dal ricorrente, non avendo costui impugnato (come accertato nella sentenza impugnata) il mancato riconoscimento della qualifica intermedia.

5. Escluso dunque che sussista un giudicato esterno utilmente invocabile nel secondo giudizio per pretendere la declaratoria del diritto e le differenze retributive relative alla qualifica intermedia, deve concludersi che le argomentazioni contenute nelle sentenze di merito relative al primo giudizio restino mere enunciazioni incidentali, prive di relazione causale con il decisum.

5.1. Difatti, come più volte affermato da questa Corte, il giudicato si forma, oltre che sull’affermazione o negazione del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del decisum, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversia e prive di relazione causale col decisum. L’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicchè ogni affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione deve considerarsi un obiter dictum, come tale non vincolante (v., tra le altre, Cass. n. 3793 del 2019 e 1815 del 2012).

6. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

6.1. La Corte di appello di Napoli ha dichiarato di fare applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte in tema di spese processuali, solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (cfr., ex plurimis, Cass. n. 2730 del 2012). La relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 5828 del 2006).

7. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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