Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12621 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12621 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 6340-2013 proposto da:
ANIORUSO GIUSEPPE MRSGPP47P01C726W, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio
dell’avvocato PELLICCIONI PATRIZIA, che lo rappresenta e
difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 05/06/2014

- controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 781/2011 della CORTE
D’APPELLO di SALERNO del 17.7.2012, depositato il 26/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22 giugno 2011 presso la Corte di appello di Salerno
Giuseppe AMORUSO proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda
di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a causa della non
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione del processo introdotto
dinanzi al Pretore di Castrovillari, con ricorso depositato in data 19.11.1993,
definito in primo grado con sentenza pubblicata il 10 novembre 1999, poi
avanti al Tribunale di Castrovillari (con atto di gravame depositato in data
21.12.1999) definito con sentenza pubblicata 1’11 dicembre 2000 ed infine
avanti alla Corte di Cassazione (notificato il ricorso in data 20.2.2001) definito
con sentenza di annullamento con rinvio pubblicata il 27 aprile 2004, riassunta
avanti alla Corte di appello di Catanzaro con ricorso notificato il 23.2.2005 e
decisa con sentenza pubblicata il 21 maggio 2010.
La Corte di appello di Salerno, con decreto in data 26 luglio 2012, in
accoglimento del ricorso, condannava l’Amministrazione al pagamento in
favore del ricorrente di €. 3.750,00, oltre interessi legali dalla domanda,
determinato il tempo in cui si era protratto il ritardo complessivo in cinque
anni ed un mese (stimato in nove anni e dieci mesi la durata complessiva del
processo presupposto per i tre gradi, oltre ad anni cinque e mesi tre per la fase
di rinvio, ritenuto ragionevole il tempo di cinque anni per il primo grado, due
anni ed un anno per i gradi successivi, stante la necessità di espletare prove

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09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

orali ed il tempo occorrente per la riunione dei giudizi connessi, ed in due anni
il giudizio di rinvio).
Avverso tale decisione l’AMORUSO ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato a tre motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche
introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad
apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma,
la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
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controncorso.

medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione

giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze
che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo
comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che alle
udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure
copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse
pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art. 70, terzo
comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione e mancata applicazione dell’art. 2 e ss. della legge n. 89 del 2001,
nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto
decisivo per avere la corte di merito erroneamente ritenuto che il tempo
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dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal

ragionevole per il primo grado doveva essere determinato in cinque anni,
discostandosi dai parametri tendenziali fissati in materia dalla CEDU.
Il motivo merita accoglimento.
La nozione di ragionevole durata del processo, come questa Corte ha più volte
precisato, non ha carattere assoluto, bensì relativo, e non si presta ad una

strettamente legati alla singola fattispecie, che impediscono di fissarla facendo
riferimento a cadenze temporali rigide. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2,
dispone, infatti, che la ragionevole durata di un processo va verificata in
concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta nonna la quale,
stabilendo che il Giudice deve accertare la esistenza della violazione
considerando la complessità della fattispecie, il comportamento delle parti e
del Giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a
concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, impone di avere
riguardo alla specificità del caso che egli è chiamato a valutare (ex plurimis,
Cass., n. 25008 del 2005; n. 21391 del 2005; n. 1094 del 2005; n. 6856 del 2004;
n. 4207 del 2004).
In tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo alla quale occorre avere riguardo (tra le molte, sentenza 1^ sezione
del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), tenuto conto del dovere del
Giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, di
interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella
giurisprudenza della Corte europea, nei limiti in cui detta interpretazione
conforme sia resa possibile dal suo testo e sempre che un eventuale contrasto
tra le norme della stessa e la CEDU non ponga una questione di conformità
della stessa con la Costituzione, ovvero non ne sia possibile un’interpretazione
adeguatrice alla Carta fondamentale (Cass. SS.UU. n. 1338 del 2004 e n. 1340
del 2004).

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determinazione in termini assoluti, poiché è condizionata da parametri fattuali

Dall’interpretazione del Giudice europeo è, quindi, possibile discostarsi,
purché in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia
confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue,
restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta
legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del

Nella specie l’apprezzamento sulla complessità del caso, dal quale la Corte
d’appello ha fatto discendere la possibilità di ritenere ragionevole la durata di
cinque anni (anziché tre) per il giudizio di primo grado, in particolare le
argomentazioni poste a fondamento del convincimento, si risolvono nella
affermazione secondo cui detto giudizio discenderebbe dalla “necessità di
espletare prove orali ed il tempo occorrente per valutare la riunione ad altri
procedimenti connessi “. Si tratta di motivazione assolutamente inidonea a
giustificare la grave conseguenza che la Corte d’appello ne ha tratto, elevando
di due anni la durata ragionevole complessiva del giudizio presupposto. Essa,
infatti, non spiega in alcun modo nè quale tipo di accertamenti furono
necessari per l’assunzione delle prove testimoniali, nè in quale modo detti
accertamenti abbiano inciso sulla durata del giudizio presupposto, né infine la
ragione della connessione con altri procedimenti al fine della riunione, che
certamente non può costituire causa di ritardo nella definizione dei giudizi. In
sostanza, il mero riferimento all’assunzione di prove orali e la riunione di
procedimenti connessi per affermare la complessità di un giudizio risulta una
motivazione del tutto insufficiente perché inidonea a rendere ragione della
decisione assunta.
Il decreto impugnato deve conseguentemente essere cassato.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e mancata
applicazione dell’art. 2 e ss. della legge n. 89 del 2001, nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo per avere la
corte di merito disatteso i criteri fissati dalla giurisprudenza di legittimità nella
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processo (tra le molte, Cass. n. 18686 del 2005).

liquidazione dell’indennizzo, determinato in soli €. 750,00 per anno, anche
dopo il terzo anno.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art.
92 n. 3 c.p.c. per avere la corte di merito compensate le spese processuali
deducendo a base dei giusti motivi una motivazione apodittica, quale

di sostanziale contestazione della controparte.
I sopra riassunti motivi rimangono assorbiti dall’accoglimento del primo, in
quanto il giudice del rinvio nel procedere ad un nuovo esame della domanda di
equa riparazione proposta dal ricorrente alla luce dei principi indicati,
emendando i relativi vizi motivazionali, dovrà valutare nuovamente il quantum
dell’indennizzo dovuto, tenendo conto che non si forma giudicato sui criteri di
liquidazione; in sede di rinvio dovranno essere nuovamente determinate anche
le spese processuali.
Al giudice del rinvio è demandato altresì il regolamento delle spese del giudizio
di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo ed il terzo;
cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
gennaio 2014.

A norma dell’art. 132 ultimo comma c.p.c., la presente sentenza viene
sottoscritta dal componente più anziano del collegio e dall’estensore, a
seguito del decesso del Presidente di udienza.

Il Consigliere estensore
cdr-v)
Ric. 2013 n. 06340 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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Il Ci sigliere anziano

“indispensabilità del ricorso al giudice per conseguire l’inennizzo” e la carenza

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