Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12620 del 17/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/06/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 17/06/2016), n.12620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12219-2015 proposto da:

F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI

43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO LOVISOLO

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro-

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1226/2014 del 20 giugno 2014 della COMMISSIONE

TRIBUTARIA REGIONALE della LIGURIA, SEZ. 6 depositata il 03/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

F.E. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 1226/06/2014, depositata in data 3/12/2014, con la quale in controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento, emessa per maggiori IVA ed IRPEF afferenti l’anno d’imposta 2006, a seguito di accertamento non impugnato e divenuto definitivo, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente. I giudici di primo grado ritenevano sufficientemente motivata la cartella e “non scriminante ai fini dell’applicazione delle sanzioni la sola denuncia del professionista – incaricato di tenere la contabilità della ditta individuale di titolarità del contribuente – colpevole delle omissioni fiscali”.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame del contribuente, hanno sostenuto che le doglianze, relative alla buona fede del contribuente ed alla addebitabilità al professionista incaricato di curare la contabilità dell’impresa, non potevano essere prese in considerazione, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, dovendo essere sollevate con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, costituente atto presupposto, notificato al contribuente, ed essendo invece la cartella impugnabile solo per vizi propri (nella specie non contestati, ad eccezione del vizio di motivazione, correttamente respinto dal giudice di primo grado).

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., in relazione alla eccepita “cripticità” del ruolo e della cartella di pagamento; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, e art. 24 Cost., non avendo i giudici d’appello considerato che il contribuente aveva avuto contezza della condotta colpevolmente omissiva del proprio consulente fiscale solo “dopo che l’avviso di accertamento era divenuto definitivo per tardiva presentazione (da parte dello stesso Consulente) dell’istanza di accertamento con adesione”, dal medesimo sottoscritta; 3) con il terzo motivo, l’omessa pronuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, su motivo di appello afferente la violazione e falsa applicazione, da parte dei giudici della C.T.P., della L. n. 423 del 1995, art. 1, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e art. 6, comma 3 e art. 112 c.p.c., in punto di addebitabilità delle sanzioni in capo al contribuente.

2. La prima censura è infondata.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007). Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica – premesso di non potere esaminare le doglianze, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, non attinenti a vizi propri della cartella stessa, ma relative alla buona fede del contribuente ed alla addebitabilità delle omissioni fiscali al professionista incaricato di curare la contabilità dell’impresa, dovendo queste essere sollevate con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, costituente atto presupposto, notificato al contribuente – ha ritenuto di dovere confermare quanto già efficacemente statuito dai giudici di primo grado in ordine alla congruità e chiarezza della motivazione della cartella di pagamento, a fronte della “genericità” delle censure sollevate dal contribuente in ordine alla “cripticità del ruolo” e dei “codici tributo”.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.

I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/2015).

3. La seconda censura è ugualmente infondata.

La C.T.R. ha fatto applicazione di un consolidato principio affamato ripetutamente da questa Corte secondo il quale la cartella di pagamento, relativa ad avvisi di accertamento divenuti definitivi per la mancata impugnazione in sede giurisdizionale, si esaurisce in un’intimazione di pagamento della somma dovuta dal contribuente in base all’atto presupposto ed è sindacabile ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, solo per vizi propri, non anche per questioni attinenti agli atti di accertamento dai quali è sorto il debito, che restano precluse dalla definitività dei medesimi (cfr.

Cass. 3274/2012).

Peraltro, nella specie, il contribuente non contesta che la notifica della cartella esattoriale non sia stata preceduta dalla regolare notifica dell’atto di imposizione, ma deduce che l’avviso di accertamento sia divenuto definitivo per tardiva presentazione (da parte dello stesso Consulente) dell’istanza di accertamento con adesione, dal medesimo sottoscritta.

Ora, la asserita ricorrenza dei presupposti per la non punibilità del comportamento della contribuente alla stregua del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3 – a cui tenore il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi – non concerne il diverso disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, che limita espressamente l’autonoma impugnabilità degli atti ivi individuati, quali la cartella di pagamento, solo per vizi propri.

Peraltro questa Corte ha affermato (Cass. 8630/2012) che persino “l’infedeltà dell’intermediario che, incaricato del pagamento dell’imposta e della trasmissione della dichiarazione dei redditi, ometta di provvedervi, quand’anche accertata in sede penale, non esonera il contribuente dal pagamento dell’imposta stessa, rimanendo non dovuti soltanto gli interessi e le sanzioni, in base al principio di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3”.

4. Il terzo motivo è, invece, fondato.

Lamenta il ricorrente l’omessa pronuncia su specifico motivo di appello sollevato, in ordine a quanto statuito dal giudice di primo grado riguardo alla non applicabilità delle sanzioni.

Invero, la C.T.P. aveva ritenuto necessaria, ai fini della esclusione delle sanzioni, la ricorrenza delle tre condizioni previste dal L. n. 423 del 1995, art. 1, comma 2 (denuncia penale, pagamento delle imposte ancora dovute e prova della provvista fornita al professionista), richieste ai fini dell’istanza di sospensione delle sanzioni in sede amministrativa, laddove, nella fattispecie, il contribuente aveva esclusivamente fornito la prova della denuncia penale inoltrata nei confronti del consulente fiscale.

Il contribuente appellante aveva lamentato la mancata applicazione della disposizione più favorevole di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3 (cfr. Cass. 27056/2007; Cass. 26848/2007; Cass. 26850/2007; Cass. 25136/2009).

Sul relativo motivo, il giudice d’appello non ha provveduto, nemmeno implicitamente (cfr. Cass. 11381/2013; Cass. S.U. 17931/2013; Cass. 24596/2915).

5.Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del terzo motivo del ricorso, respinti gli altri motivi, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, al fine di verificare la ricorrenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, in tema di sussistenza delle cause di non punibilità ai fini della non applicazione delle sanzioni. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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