Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12620 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12620 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 6211-2013 proposto da:
SANSONE GENNARO SNSGNR35R28A017K, elettivamente
domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. MAURIELLO GIUSEPPE, giusta
procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 05/06/2014

- controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 1857/2012 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI del 16.11.2012, depositato il 29/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 24 luglio 2012 presso la Corte di appello di Napoli
Gennaro SANSONE proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda
di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a causa della non
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione del processo introdotto
dinnanzi al Tribunale di Salerno, con atto di citazione notificato in data
26.6.2002, definito in primo grado con sentenza pubblicata il 2 marzo 2012.
La Corte di appello di Napoli, con decreto in data 29 novembre 2012, in
accoglimento del ricorso, condannava l’Amministrazione al pagamento in
favore del ricorrente di €. 2.750,00, oltre interessi legali dalla domanda,
determinato il tempo in cui si era protratto il ritardo complessivo in tre anni e
sei mesi (stimato in nove anni e nove mesi la durata complessiva del processo
presupposto, da cui venivano detratti gli ordinari tre anni, oltre a due anni e
tre mesi per ritardi imputabili alle parti, quale il rinvio per consentire il
deposito della c.t.u. contabile).
Avverso tale decisione il SANSONE ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato a tre motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con
controricorso.

Ric. 2013 n. 06211 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche

modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad

f

apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo
comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
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introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con

giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze

comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente
denuncia violazione e mancata applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del
2001, dell’art. 6 della CEDU in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché
l’omesso esame di un fatto decisivo per avere la corte di merito erroneamente
affermato che i processi analoghi durano in media tre/quattro anni in primo
grado, considerato che peraltro nella specie la controversia era stata decisa in
mancanza di qualsiasi attività istruttoria, senza che fosse espletata la
consulenza disposta dal G.I..
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dell’art. 6, par. 1, della
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che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo

CEDU, dell’art. 132 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per
avere la corte territoriale erroneamente addossato alla parte il mancato
deposito della c.t.u.. Insiste il ricorrente anche per la mancata applicazione
dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c. per non avere la corte di merito fornito
alcuna motivazione a sostegno della propria decisione.

2 della legge n. 89 del 2001, dell’art. 6, par. 1 della CEDU in relazione all’art.
2697 c.c. e 81 disp. att. c.p.c., nonché omessa motivazione su un fatto
controverso, sempre con riferimento alla vexata questio della disponibilità
della documentazione per un celere espletamento dell’incarico preritale.
I tre mezzi — da trattare congiuntamente per la loro evidente connessione —
sono meritevoli di accoglimento.
Nell’accertare la violazione del termine di durata ragionevole del processo il
giudice nazionale non è vincolato a criteri rigidi e predeterminati, ma è tenuto
a compiere, caso per caso, una valutazione di tutti gli elementi previsti dalla L.
n. 89 del 2001 (complessità della fattispecie, comportamento delle parti e del
giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a
concorrervi). Nel compiere tale valutazione, tuttavia, il giudice può discostarsi
dai parametri tendenziali fissati in materia dalla CEDU (che sono di anni tre
per il giudizio di primo grado, di anni due per il giudizio di appello e di un
anno per il giudizio di legittimità) solo in misura ragionevole, e sempre che la
relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente
coerenti e congrue (Cass. n. 6039 del 2009).
La particolare complessità del giudizio di primo grado, che giustifica la
determinazione della sua ragionevole durata in un periodo superiore ai tre
anni, non può dunque essere desunta, così come ritenuto dalla Corte di
merito, dal mero fatto che sia stata disposta c.t.u., ove non si chiarisca che la
necessità è dipesa da un’oggettiva difficoltà dell’indagine, anziché dalla

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Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art.

lentezza e dalla scarsa professionalità dei tecnici incaricati o da sopravvenuti
mutamenti legislativi.
Non sono, inoltre, detraibili dalla durata irragionevole del processo i rinvii
richiesti dalle parti non imputabili ad un intento dilatorio o a negligente inerzia
delle stesse, o, in generale, all’abuso del diritto di difesa (Cass. n. 11307 del

giudizio oltre il termine ritenuto ragionevole non abbiano concorso anche i
tempi lunghi del rinvio fra l’una e l’altra udienza, dovuti a ragioni organizzative
riferibili all’amministrazione giudiziaria (Cass. n. 7550 del 2010).
La Corte di merito si è invece limitata a rilevare che il ritardo nel deposito
dell’elaborato peritale e le conseguenti richieste di rinvio erano stati motivati
dalla mancata consegna della documentazione contabile in possesso delle
parti, comportamento che denotava una loro inerzia, senza indicare quale di
esse non vi avesse provveduto, nè precisati i termini ed i tempi di detta
condotta dilatoria; inoltre, non ha dato conto se l’autorità procedente avesse
o meno tenuto un comportamento sollecito, attivando i poteri ufficiosi che le
avrebbero consentito di definire più celermente la vertenza, in tal modo
addebitando interamente alle parti il ritardo derivato dai rinvii.
Ricorrono dunque i denunciati vizi e conseguentemente il provvedimento
impugnato deve essere cassato in relazione ai motivi accolti, e la controversia
va rimessa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.
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2010), dovendosi, peraltro, anche in tale ipotesi, valutare se al protrarsi del

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9

gennaio 2014.

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