Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1262 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 20/01/2011), n.1262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 71/2010 proposto da:

F.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato

CUCCIA ANDREA, rappresentata e difesa dall’avvocato GRANATA

Pierfrancesco, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI DE CALBOLI 54A7, presso lo studio

dell’avvocato COLAIUDA SERAFINO MAURIZIO, che lo rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 777/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 18/09/09, depositata il 07/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO RORDORF;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 7 ottobre 2009, ha riconosciuto efficace in Italia la declaratoria di nullità del matrimonio tra i sigg.ri B.G. e F.G., pronunciata dal tribunale ecclesiastico “per difetto di discrezione di giudizio” da parte dei coniugi al tempo del contratto matrimonio.

La sig.ra F. ha impugnato per cassazione tale sentenza lamentando: 1) che essa abbia acriticamente recepito una statuizione del tribunale ecclesiastico contenente disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano; 2) che la corte d’appello abbia immotivatamente affermato il rispetto nel procedimento ecclesiastico dei principi concernenti la competenza giurisdizionale ed il contraddittorio, ed altrettanto apoditticamente abbia negato la contrarietà della statuizione ad altra sentenza già emessa da un giudice italiano o la pendenza di altro giudizio tra le stesse parti sul medesimo oggetto, Il sig. B. ha resistito con controricorso.

2. Il ricorso è suscettibile di essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., potendosene ipotizzare la manifesta infondatezza.

2.1. L’assunto intorno alla quale ruota il primo motivo di censura – assunto secondo cui urterebbe contro l’ordine pubblico italiano la pronuncia del tribunale ecclesiastico che ha dichiarato la nullità del matrimonio per difetto di discrezione di giudizio da parte dei coniugi al momento del matrimonio – non sembra tener conto della pregressa giurisprudenza di questa corte.

Si è infatti affermato che la sentenza del tribunale ecclesiastico, la quale abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per difetto grave di uno dei coniugi della capacità di discrezione nel giudizio circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali, non si pone in contrasto con l’ordine pubblico, non ostandovi la circostanza che la suddetta pronuncia richieda un’indagine sulla psiche del soggetto, ove essa sia stata condotta con strumenti di prova ammessi dall’ordinamento interno (come nella specie appare esser avvenuto, essendo stata disposta una consulenza tecnica), giacchè la ragione posta a fondamento di tale declaratoria, è sostanzialmente corrispondente all’incapacità naturale di cui all’art. 120 c.c. (Cass. 4 giugno 1987, n. 4889); nè le differenze di disciplina in materia, fra ordinamento canonico ed ordinamento italiano incidono sui fondamentali principi del diritto statuale (Cass. 18 dicembre 1984, n. 6621).

Anche più di recente si è poi ribadito che la situazione di vizio psichico assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso non si discosta sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidità contemplata dal citato art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell’ordinamento italiano; e contrasto con tali principi non si rende ravvisabile neppure sotto il profilo del difetto di tutela dell’affidamento della controparte, perchè, mentre la disciplina generale dell’incapacità naturale in tema di contratti da rilievo alla buona o alla mala fede dell’altra parte (art. 428 c.c., comma 2), tale aspetto è invece del tutto ignorato nella disciplina dell’incapacità naturale quale causa di invalidità del matrimonio, nella quale è preminente l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico (Cass. 7 aprile 1997, n. 3002).

Se si reputa di dover tenere fermi tali principi, il primo motivo di ricorso non appare accoglibile, non assumendo per il resto rilievo decisivo la lamentata circostanza che il giudice ecclesiastico abbia (più o meno correttamente) postulato l’incapacità di entrambi, anzichè di uno solo, dei coniugi. Nè sembra rilevante il fatto che detto giudice non abbia espressamente qualificato come grave il vizio psichico che ha inficiato il consenso matrimoniale, nei termini richiesti dal canone 1095, ben potendosi il giudizio di gravità implicitamente dedurre dalla stessa circostanza che, nella specie, siano stati ravvisati gli estremi per applicare l’indicata disposizione.

2.2. Le censure contenute nel secondo motivo di ricorso parrebbero peccare di astrattezza, dal momento che la denuncia di difetto di motivazione si riferisce ad aspetti -la competenza giurisdizionale, il contraddittorio, l’eventuale contrarietà della statuizione con altra sentenza emessa da un giudice italiano, l’eventuale pendenza di altro giudizio tra le stesse parti sul medesimo oggetto – di cui neppure la stessa ricorrente individua l’effettiva sussistenza nel caso concreto. La circostanza, quindi, che la corte d’appello si sia limitata a postulare l’assenza di ostacoli al riconoscimento della sentenza ecclesiastica, senza ulteriormente analizzare la situazione sotto i suindicati profili, non sembra configurare un vizio di motivazione – o comunque non un vizio dotato del requisito della decisività – volta che non sono identificabili più specifici elementi sui quali la motivazione avrebbe eventualmente dovuto soffermarsi”.

Il controricorrente ha depositato memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

Il collegio condivide le osservazioni e le conclusioni del relatore.

Pertanto il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 56,00 per esborsi e Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 56,00 per esborsi e Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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