Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12619 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12619 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 5693-2013 proposto da:
VOLPE CALOGERO VLPCGR49M22F299L, elettivamente
domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. DI FRANCESCO OLINDO, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 05/06/2014

- controrkorrente avverso il decreto n. 810/2012 della CORTE D’APPELLO di
CALTANISSETTA del 20.9.2012, depositato il 29/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 20 settembre 2012 presso la Corte di appello di
Caltanissetta Calogero VOLPE proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001,
domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a causa
della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione del processo
introdotto dinnanzi al Tribunale di Agrigento, con ricorso depositato in data
17.10.1991, volto ad ottenere la insinuazione tardiva del proprio credito di
lavoro nei confronti del fallimento della società Roberto Carlotta, per cui
aveva prestato l’attività, definito in primo grado con sentenza pubblicata il 13
luglio 2004, poi avanti alla Corte di appello di Palermo (atto di gravame
depositato il 23.11.2004) con sentenza del 13 settembre 2010.
La Corte di appello di Caltanissetta, con decreto in data 29 ottobre 2012,
rigettava il ricorso per essere la parte rimasta a lungo inerte, dopo avere
presentato istanza di insinuazione tardiva al G.D., chiedendo solo nel 1999 la
ricostruzione dei fascicoli e la loro riunione, solo in seguito la decisione in
sede contenziosa, mostrando un sostanziale disinteresse rispetto alla causa,
anche dopo, fino al mese di settembre 2000 e per tutto il 2001, non
comparendo in udienza ovvero chiedendo rinvii, per cui residuava per il primo
grado un periodo di tre anni che appariva ragionevole; quanto al giudizio di
appello, durato dal 23.11.2004 al 13.9.2010, stante la tardività
dell’impugnazione il ricorrente non aveva subito alcun danno dal ritardo nella
trattazione.

Ric. 2013 n. 05693 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Avverso tale decisione il VOLPE ha proposto ricorso per Cassazione, affidato
a tre motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione

rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche
introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad
apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo
comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
Ric. 2013 n. 05693 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del

comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze
che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo
comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente
denuncia violazione e mancata applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del
2001, dell’art. 111 della Cost. e della legge costituzionale n. 2 del 23.11.1999,
con contestuale violazione e mancata applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c.,
degli artt,. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., nonché dell’art. 6, par. 1, dell’art. 13 e
dell’art. 35 della CEDU. Nella sostanza il ricorrente lamenta che il processo
iniziato avanti al Tribunale di Agrigento sia durato complessivamente quasi
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Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.

venti anni (di cui quattordici anni in primo grado) e la corte nissena abbia
ritenuto di attribuire alla parte lo smarrimento del fascicolo, apparente, altresì,
la motivazione sui rinvii richiesti nel 2000 e nel 2001. Né poteva essere escluso
il danno quanto al grado di appello per essere il diritto vantato dal ricorrente
prescritto.

applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c. per non avere la corte di
merito fornito alcuna motivazione a sostegno della propria decisione.
I due mezzi — da trattare congiuntamente per la loro stretta connessione —
sono fondati.
La corte territoriale, rilevato che la parte era rimasta inerte dopo avere
presentato istanza di insinuazione tardiva, fino al 1999, allorchè richiedeva la
ricostruzione dei fascicoli, ha valutato la condotta del ricorrente improntata ad
un sostanziale disinteresse rispetto alla causa, anche dopo, non comparendo in
udienza e non chiedendo rinvii, per cui ha accertato che residuava per il
primo grado un periodo di tre anni, che appariva ragionevole; pure l’ulteriore
periodo durato dal 23.11.2004 al 13.9.2010 per il giudizio di appello veniva
ritenuto ragionevole per la tardività dell’impugnazione.
In realtà, come è stato più volte affermato (Cass. n. 8497 del 2008; Cass. n.
24040 del 2006) nell’accertare la violazione della garanzia della ragionevole
durata del processo in materia fallimentare il giudice deve considerare la
complessità del caso attraverso un esame analitico e non con la mera
enunciazione di varie evenienze processuali per accertare analiticamente quale
sia stato il tempo impiegato per portare a conclusione ciascuna fase, se – in
considerazione della obiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti la durata di ciascun procedimento sia stata ragionevole o meno e nella ipotesi
di durata da ritenersi eccessiva, quanta parte sia imputabile al comportamento
delle parti e quanta al comportamento del giudice o di altri organi della
procedura o a disfunzioni dell’apparato giudiziario. La corte territoriale,
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Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e mancata

invece, ha del tutto omesso tali valutazioni considerando che la durata della
procedura presupposta era integralmente da attribuire all’inerzia del creditore
e non già imputabile all’amministrazione della giustizia.
Di conseguenza il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle
censure accolte, mentre il terzo motivo del ricorso, relativo alla violazione e

nonché dei principi di non contestazione, lealtà, probità ed economia, per
avere la corte considerato che l’Amministrazione non aveva contestato l’an,
ma solo il quantum della domanda di indennizzo, deve ritenersi assorbito.
Conclusivamente, all’accoglimento del ricorso consegue che la causa va
rinviata ad altro giudice – che viene individuato nella Corte d’appello di
Caltanissetta in diversa composizione – che la riesaminerà alla luce dei rilievi
dianzi svolti.
Alla predetta Autorità è demandato anche il regolamento delle spese del
presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di
Cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
gennaio 2014.

falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 167 c.p.c., dell’art. 111 della Cost.,

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