Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12617 del 24/05/2010

Cassazione civile sez. II, 24/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 24/05/2010), n.12617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ALESSANDRIA 208, presso lo studio dell’avvocato CARDARELLI ITALO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati SEMINO ADOLFO,

SEMINO NICOLA;

– ricorrente –

contro

D.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 116, presso lo studio dell’avvocato

COLICA ROBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DOVICO CARLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 17/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. ENNIO MALZONE;

udito l’Avvocato Ida CARDARELLI con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CARDARELLI Italo, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato COLICA Roberto, difensore del resistente che ha

chiesto inammissibilità o rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del maggio 1989 D.R., deducendo che Z.A., proprietario del quartino sovrastante, contraddistinto con il n. 13, aveva costruito un locale bagno, che occupava l’area di un cavedio e oscurava le aperture del latistante magazzino di sua proprietà, chiedeva la condanna del convenuto all’eliminazione delle opere con ripristino dello stato dei luoghi.

Il convenuto, costituitosi, contestava l’avverso dedotto e, assumendo che la proprietà dell’attore versava in stato di degrado, con pericolo di infiltrazioni di umidità nel proprio appartamento, chiedeva in via riconvenzionale la condanna dello stesso all’esecuzione delle opere di manutenzione necessarie per evitare il lamentato pericolo.

Il Tribunale, esperita c.t.u., con sentenza n. 259/97 condannava il convenuto a demolire il locale bagno edificato a sbalzo sul muro perimetrale condominiale, in quanto costruito senza il consenso dei condomini, con lesione del diritto di costoro sul bene comune e con privazione di aria e luce in precedenza godute dal sottostante immobile del D.; rigettava la riconvenzionale del convenuto, che condannava al pagamento di un terzo delle spese di lite.

La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 42/04, depositata il 18.12.03, rigetta tanto l’appello principale proposto dallo Z. quanto quello incidentale del D., confermando la decisione del Tribunale e compensando per intero le spese del grado.

Per la cassazione della decisione ricorre lo Z. esponendo due motivi, cui resiste l’intimato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso si ripropone la questione della legittimazione passiva della domanda, avanzata in sede conclusionale di primo grado sul presupposto, non provato, che l’appartamento, ove era stato costruito il locale bagno, apparteneva in proprietà alla società semplice Mucci, cui era stato venduto da tale B.M. L. con atto per notaio Moro 19.1.1984, mentre lo Z.A. ne era divenuto l’amministratore unico.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta l’addebitabilità dei fatti allo Z., per avere costui agito in nome della società e perchè il manufatto era di epoca precedente al 19.7.1989.

inammissibile, perchè coperta dal giudicato, è la prima questione, in quanto, avanzata in sede conclusionale di primo grado, non è stata riproposta in sede di appello.

Ed invero, pur volendosi accedere alla tesi della rilevabilità di ufficio della vexia questio, la medesima trova la preclusione del giudicato, stabilita dall’art. 346 c.p.c., per non essere stata riproposta in sede di appello.

Non migliore sorta incontra il secondo motivo di ricorso, perchè attiene ad una questione di fatto, non suscettibile di esame in sede di legittimità, perchè alla medesima è stata data adeguata risposta.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile e il ricorrente sopporta le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200, 00 per spese, oltre spese generali ed oneri accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010

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