Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12617 del 05/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 12617 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 5348-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
RABASCO FEDELE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
ANGELICO 78, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO
FERRARA, rappresentato e difeso dagli avvocati FERRARA SILVIO,
MAROTTA NICOLA, giusta procura a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 05/06/2014

controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 53505/09 della CORTE
D’APPELLO di ROMA del 5.12.2011, depositato 11 22/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 14 aprile 2009 presso la Corte di appello di Roma
Fedele RABASCO proponeva, ai sensi della legge n. 89 del 2001, domanda di
equa riparazione del danno patrimoniale e non sofferto a causa della non
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione del processo introdotto
dinnanzi al Tribunale di Nola, con atto di citazione notificato il 21.2.1995,
definito in primo grado con sentenza pubblicata il 19 novembre 2004, poi
avanti alla Corte di appello di Napoli (notificato l’atto di gravame in data
29.9.2005), ove era ancora pendente.
La Corte di appello di Roma, con decreto in data 22 maggio 2012, in
accoglimento del ricorso, condannava l’Amministrazione al pagamento di C.
9.000,00 in favore del ricorrente, oltre ad interessi legali dalla domanda, per
avere il giudizio presupposto avuto una durata eccedente il termine
ragionevole di nove anni (durata complessiva di tredici anni e dieci mesi,
detratto il tempo ragionevole di cinque anni, pur nella complessità del
procedimento).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Nlinistero della
giustizia, affidato a quattro motivi, cui ha replicato l’intimato con
controricorso.

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09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche

modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad
apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo

introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con

comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la
modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
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CI

giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze

comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, il Collegio ritiene superfluo riferirne i
motivi, in quanto esso appare inammissibile — come eccepito dal

che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo

controricorrente – innanzitutto perché non osserva il requisito di cui all’art.
366 n. 3 c.p.c., cioè l’esposizione sommaria dei fatti di causa. Si precisa
all’uopo che la ricostruzione dello svolgimento processuale fatta nel su esteso
“fatto” è stata compilata procedendo alla ricerca dei riferimenti negli atti
processuali senza che il ricorso fornisse le opportune indicazioni. Onde
l’avervi proceduto non esclude che lo si sia fatto in una situazione in cui
l’esposizione del fatto nel ricorso mancava o comunque era insufficiente.

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(vi

In proposito si osserva che la struttura del ricorso è la seguente: a) nella
seconda metà della seconda pagina, dopo l’indicazione delle parti, fino alla
quinta pagina si riporta in fotocopia l’atto introduttivo del giudizio,
intercalandolo a pagina quattro (nel mezzo) e a pagina cinque (nell’ultima
parte) da annotazioni in (corsivo) stampatello circa la vicenda del ricorrente,

pagine sei, sette, otto e nove; b) si enunciano, di seguito (dalla pagina tredici,
riportata nelle pagine da dieci a dodici la relata di notificazione) i motivi di
ricorso, riportati in (corsivo) stampatello, in cui le ragioni di censura vengono
esposte facendo richiamo al ricorso introduttivo, indicando le pagine,
precisando, nel primo mezzo, che vi era stata da parte della corte una
pretermissione circa la rilevanza del comportamento delle parti sulla durata del
giudizio; c) dopo al secondo (erroneamente indicato quale terzo) mezzo si
rileva che ‘soprattutto come a fronte della limitata entità potuto liquidare un
indennizzo di euro 1000 per anno di ritardo che se pure parametrato al
minimo di quanto mediamente riconosciuto non costituisce di certo un
minimo inderogabile”; d) nel successivo terzo motivo si contesta il
riconoscimento degli interessi sulle somme esposte a titolo indennitario.
Il Collegio rileva che l’esposizione del fatto sostanziale e processuale così
fornita dall’Amministrazione ricorrente sia del tutto inadeguata ed
insufficiente a far comprendere, sia pure riassuntivamente, i termini dello

segue l’integrale riproduzione in fotocopia del provvedimento impugnato alle

svolgimento del giudizio presupposto nel rispetto del requisito di cui all’art.
366 c.p.c. n. 3.
In proposito, in punto di rilievo del requisito della esposizione sommaria dei
fatti di causa, si osserva che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366
c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione
chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di
causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i
presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le
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(u< difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda il provvedimento impugnato e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito, anche tenendo legittimità (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006; n. 12688 del 2006). Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto, precisato che il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 366 c.p.c. n. 3 postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compreso il provvedimento impugnata. E, in applicazione di tale principio si è dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello (Cass. n. 4403 del 2006; ma anche Cass. n. 15808 del 2008; Cass. n. 2831 del 2009; Cass. n. 5660 del 2010). In altri termini, è indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per Ric. 2013 n. 05348 sez. M2 - ud. 09-01-2014 -6- conto della particolare natura del giudizio di equa riparazione in sede di intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione. Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del Nella specie l'esposizione del fatto che si è sopra riferita è del tutto carente non già con riferimento al livello di informazione che è dovuto a questa Corte riguardo ai documenti ed agli atti processuali sui quali fonda il ricorso, cioè si fondano i suoi motivi, ma ancora prima riguardo alle informazioni essenziali dirette a fornire le tappe della vicenda relativa al giudizio presupposto, oggetto del processo cui il ricorso si riferisce e sul suo divenire nelle fasi di merito. L'esposizione de qua, infatti, non è in alcun modo chiara ed esauriente, sebbene senza pretesa di analiticità o di carattere particolareggiato, quanto ai fatti di causa, giacché non è articolato alcun pur sommario riferimento individuatore ai fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa indennitaria; non si individuano le difese svolte dalla Amministrazione, e le conclusioni di ciascuna parte, sicché riesce incomprensibile il riferimento, nel primo motivo, alle condotte delle parti nel giudizio presupposto, nonché, al secondo motivo, quale parametro avrebbe dovuto essere esaminato, diversamente da quello adottato, oltre al difetto di domanda per gli accessori, di cui al terzo motivo. Del resto di recente, nel senso di cui sopra, si sono espresse le Sezioni Unite di questa Corte che ancora più esplicitamente, con riferimento a ricorso confezionato col sistema definito del c.d. dell'assemblaggio, come quello di specie, hanno statuito che in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata - per altro verso, è inidonea a Ric. 2013 n. 05348 sez. M2 - ud. 09-01-2014 -7- 2004). soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso, come nella specie (Cfr. anche Cass. SS.UU. n. 5698 dell'il aprile 2012). inosservanza del requisito di cui all'art. 366 n. 3 c.p.c. e di specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nel provvedimento gravato debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla prevalente dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Manca, infatti, una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nei motivi e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato (cfr., a plurimis, Cass. n. 1063 del 2005, n. 21896 del 2004, n. 13830 del 2004, n. 2707 del 2004, n. 5581 del 2003, n. 2312 del 2003, n. 15177 del 2002 e n. 6123 del 2001). Conclusivamente il ricorso principale va dichiarato inammissibile e le spese di lite del giudizio di Cassazione attribuite secondo il principio della soccombenza, con distrazione in favore degli avvocati antistatari. P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; Ric. 2013 n. 05348 sez. M2 - ud. 09-01-2014 -8- In tale situazione il ricorso risulta, dunque, inammissibile per palese condanna il Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in complessivi C. 392,50, di cui C. 292,50 per compensi, oltre ad C. 100,00 per esborsi. Dispone la distrazione delle spese in favore dei difensori antistatari. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 ^ Sezione Civile, il 9 gennaio 2014.

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