Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12615 del 17/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 17/06/2016), n.12615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23102-2014 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, rappresentato

e difeso dall’avvocato MAURIZIO RIMAMI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA CARCAVALLO, SERGIO

PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 111/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

25/06/2014, depositata il 27/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato Antonella Patteri difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’11 maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 27 giugno 2014, la Corte di Appello di Perugia dichiarava inammissibile la domanda proposta da L.S. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento del beneficio, di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e succ. modifiche, della maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto.

La Corte territoriale rilevava che dalla domanda amministrativa presentata all’INPS (in data 15 giugno 2005) alla proposizione del ricorso giudiziale avvenuta il 23 novembre 2009 era decorso il termine decadenziale (tre anni e trecento giorni) previsto di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art 4, convertito nella L. n. 438 del 1992.

Per la cassazione di tale decisione il L. propone ricorso affidato a due motivi.

L’INPS resiste con controricorso.

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 come modificato dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4 conv. in L. 14 novembre 1992, n. 438 e, poi, dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, commi 1 e 4, conv. in L. 15 luglio 2011, n. 111 assumendosi che, nel caso in questione, non poteva trovare applicazione la decadenza prevista dal menzionato art. 47, comma 2 in quanto con la domanda di riconoscimento dei benefici della rivalutazione contributiva per esposizione ultradecennale all’amianto si chiedeva solo un beneficio non autonomo, bensì, strumentale “ai fini pensionistici”.

Il motivo è manifestamente infondato alla luce del principio enunciato da questa Corte in plurime decisioni (per tutte, tra le più recenti, cfr. Cass. n. 16132 del 30 luglio 2015) secondo cui la decadenza prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito nella L. n. 438 del 1992 riguarda non i singoli ratei bensì il diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto sia esso richiesto da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione. Si è, infatti, precisato che non sono applicabili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 12720/2009 perchè detto diritto è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) – in base ai criteri ordinari – il diritto al trattamento pensionistico.

Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5 cit. in quanto il termine di decadenza di cui alla menzionata norma poteva decorrere solo in presenza di un provvedimento esplicito dell’INPS che fosse rispettoso, nel contenuto, del disposto dell’art. 47, comma 5 cit..

Anche tale motivo è infondato.

Ed infatti, in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 (nel testo modificato dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4 convertito, con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438) dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua infine – nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui alla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 7 e di centottanta giorni, previsto dalla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46, commi 5 e 6), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno). Ne consegue che, al fine di impedirne qualsiasi sforamento in ragione della natura pubblica della decadenza regolata dall’anzidetto art. 47, il termine decorre, oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quello di omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47. (Cass. SU n. 12718 del 29/05/2009 e succ. conformi).

Alla luce di quanto esposto, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della riportata relazione e, quindi, rigetta il ricorso.

Il consolidarsi solo in epoca recente della giurisprudenza di legittimità soprarichiamata giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, seni n. 3774 del 18 febbraio 2014).

Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2016

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