Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12614 del 25/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 25/06/2020), n.12614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29076-2018 proposto da:

AGENZI A DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE 13756881002, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NOMENTANA 403/B2, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

FIORINI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO RAGNI;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DT CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LEONARDO SCARDIGNO;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, EMANUELE DE

ROSE, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 782/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bari, a conferma della sentenza del Tribunale di Trani, richiamandosi alle Sezioni Unite n. 23397 del 2016 che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in materia di durata della prescrizione relativamente agli avvisi di pagamento non opposti, ha affermato decorsa la prescrizione quinquennale dei crediti contributivi asseritamente dovuti da P.M. avendo accertato che tra la data della notifica dell’ultima cartella esattoriale emessa nei confronti di questi (1 marzo 2003) e quella di comunicazione dell’iscrizione ipotecaria (25 giugno 2012) erano decorsi più di cinque anni senza che, pacificamente, fossero stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione;

la cassazione della sentenza è domandata da Agenzia delle Entrate – Riscossione subentrata a Equitalia s.p.a. sulla base di due motivi;

P.M. e l’Inps,4 hanno resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è dedotta “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, in relazione all’art. 2946 c.c.”;

parte ricorrente sostiene che, pur in seguito alla sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016 a cui il giudice dell’appello si richiama, la tesi della prescrizione decennale del diritto alla riscossione sarebbe egualmente sostenibile;

il diritto ad azionare il credito portato nelle cartelle da parte dell’agente della riscossione, in assenza di previsioni normative derogatorie, rimarrebbe quello decennale;

la sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016 avrebbe riguardato la mera applicabilità dell’art. 2953 c.c., ma non si sarebbe pronunciata in merito al profilo dell’individuazione del termine di prescrizione del rapporto obbligatorio scaturente dal titolo esecutivo, che abilita l’agente della riscossione all’esercizio dell’azione di recupero coattivo, il quale, in assenza di espressa previsione per l’azione di riscossione, deve ritenersi decennale;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si contesta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, in relazione all’art. 2946 c.c.”;

dalle norme indicate in epigrafe, riferentesi all’ipotesi dell’ente creditore che intenda esperire azioni esecutive (o cautelari) su beni o elementi reddituali del debitore individuati successivamente al discarico delle cartelle per accertata inesigibilità del credito iscritto a ruolo, parte ricorrente trae conferma del fatto che il termine di prescrizione decennale sia tuttora applicabile;

i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

la Corte territoriale ha dato corretta attuazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 2016, secondo il quale “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)”;

in particolare, la doglianza contenuta nel secondo motivo è priva di rilievo nel caso in esame, atteso che essa concerne i rapporti fra enti impositori e agente della riscossione e non si rivela in grado di incidere sull’individuazione del termine di prescrizione da applicare al credito contributivo vantato dall’Inps in seguito alla notifica della cartella esattoriale;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

i compensi professionali liquidati nei confronti di P.M. vanno distratti in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di P.M., che liquida, rispettivamente, in Euro 200 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali da distrarsi in favore del difensore di questi, dichiaratosi antistatario, ed Euro 3.000,00 in favore dell’Inps al medesimo titolo, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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